Abusi e donne consacrate

Quando il libro uscì in prima edizione nel 2016 (EDB) era una delle prime voci che affrontava il tema scomodo degli abusi sulle donne consacrate. Esce ora la seconda edizione del volume di Anna Deodato Vorrei risorgere dalle mie ferite. Chiesa, donne, abusi (EDB, 2023 – qui) con alcuni significativi arricchimenti.

«La comprensione del tema degli abusi si è dilatata e approfondita in due direzioni: dall’abuso sessuale alle diverse forme di abuso di potere, di coscienza e spirituale; dall’abuso come dinamica di rapporto vissuto tra due persone, all’abuso che deve essere interpretato in chiave sistemica», cioè all’interno del contesto “abusante” e in relazione alle vittime “secondarie”, la famiglia e la comunità. Fino ad arrivare alle responsabilità della Chiesa.

La devastazione dell’abuso
Dopo venticinque anni di lavoro di accompagnamento, l’autrice, donna consacrata nella diocesi di Milano, così definisce l’abuso: «una dinamica di potere, supremazia, dominio verso una o più persone che sono in situazione di vulnerabilità e dipendenza per età, circostanze di vita, bisogni affettivi personali, situazioni di vulnerabilità psicofisica. È una rottura grave, che accade all’interno di una relazione di fiducia a causa di un tradimento irreparabile che lascerà una ferita perenne nell’intimo della persona».

Nella vita consacrata le forme abusanti si manifestano nella stretta cerchia delle relazioni ecclesiastiche (superiore, formatrici, confessori, direttori spirituali, fondatori ecc.) con conseguenze devastanti sulla psicologia, il fisico, le relazioni, i comportamenti e sulla stessa fede. Sono di tipo sessuale, ma anche di coscienza e spirituale.

L’abuso di coscienza «è la violazione della libertà interiore di un’altra persona». «L’abuso di coscienza diventa abuso spirituale quando l’abusatore parla e agisce a nome di Dio facendo valere la sua autorità spirituale, teologica o ecclesiale, in virtù del ministero che gli è stato conferito». Le indicazioni teoriche si mescolano e si spiegano con riferimenti diretti a casi affrontati a cui si fa riferimento con grande rispetto e discrezione. «Io sono stata abusata, sono, come si dice, una vittima…, ma pochi sanno cosa veramente vuol dire continuare a vivere come la vittima di una violenza che in un certo senso si ripete ogni volta in cui tu cerchi di riprenderti la tua libertà e la tua dignità».

Il corpo ricorda
La memoria può essere rimossa, la psiche può difendersi nella negazione, ma il corpo ricorda. E il corpo femminile in particolare, violato nella sua dimensione corporea intima e nei suoi cicli. «Il mio corpo non è più segnato dal tempo. È stato oppresso in un tempo buio. Non scorre più nel ritmo del tempo il sangue della mia vita. Attendo il tempo della luce. Attendo che il mio corpo di donna torni a parlare nel tempo».

Tornare ad amare il proprio corpo è spesso un cammino lungo e pieno di contraddizioni. La biancheria, il vestito e l’abito sono conquiste ma, qualche volta, anche negazioni: «Quanta fatica! Guarirò? Vivrò ancora? Non dico più che ho l’ansia perché ciò che sento è più forte della solita ansia, e non è tensione provocata dalla rabbia che si può scaricare, è qualcosa di più profondo, sì, è collegata alla colpa».

La colpa, accanto alla paura e alla vergogna sono i sentimenti che accompagnano l’abusata. «Per la forza simbolica della relazione e per una sorta di identificazione proiettiva, la rabbia per ciò che si è subìto si trasformerà nel senso di colpa che si insinuerà nella coscienza sino a far pensare di aver fatto qualcosa di male o di sbagliato, per meritarsi tanta violenza, sino a credere di essere “sbagliate” nel desiderare qualche minima cura per sé stesse».

La parola, il pianto e il grido sono i segnali di una progressiva coscienza di sé e della propria dignità. La discrezione, la tenerezza, la cura costituiscono il contesto del possibile riscatto.

Colpa, paura, vergogna
Anche la fede, come tutte le dimensioni vitali, è drasticamente rimessa in questione dall’abuso e necessita di una paziente ricostruzione. «Lavorando con le consacrate, questo vissuto di lutto si manifesta nel transito interiore che porta a una riappropriazione della dignità del cuore e del corpo; nella faticosa uscita dalla propria congregazione o istituzione religiosa per un nuovo progetto di vita; nel dover ritrovare motivazioni profonde per riuscire a rimanere in comunità da un più profondo e adeguato cammino personale. Tutto questo va attentamente sorretto, riconoscendo e sostenendo la lotta della fede».

Passaggi importanti sono dedicati alle comunità di riferimento che non sono elemento marginale nel permettere l’abuso e, eventualmente, nell’accompagnare il riscatto. Anche le famiglie di origine e le relazioni sororali e fraterne possono indicare alcune fragilità non risolte, ma anche rappresentare un rifugio e una consolazione dopo i drammi vissuti.

Abusatori e abusatrici
Sugli abusatori maschi – la maggioranza – molto si è già scritto. Diversamente dalle abusatrici: «La donna che abusa è quasi sempre nella condizione di poter stabilire all’interno della comunità uno stile di leadership marcatamente narcisista, paranoide e antisociale. Ha molto potere designato sulle altre e ricopre il ruolo di leader ispiratore del gruppo, di superiora o di formatrice, incarichi che richiedono, d’ufficio, una sottomissione della consacrata e una deliberata istanza d’obbligo nell’apertura dell’intimità che, teoricamente, dovrebbe permettere il discernimento».

La vittima designata è in genere giovane, docile, accondiscendente con una debole capacità di mantenere i propri confini. Nell’abuso di una donna verso l’altra la questione centrale non è il lesbismo quanto la psicodinamica narcisista associata a una struttura di personalità gravemente compromessa.

Le potenziali «abusatrici» hanno personalità disturbate, investite di potere in un contesto chiuso e privo di confronti.

Tornano nel testo ripetuti riferimenti a quanto è richiesto all’accompagnatore, ai suoi atteggiamenti e competenze, come alla insistita necessità di un intervento di rete di diverse competenze. Le numerose note rimandano alle pubblicazioni più rilevanti del settore, alle diverse scuole di intervento e alle ragioni che presiedono alle scelte compiute.

Testimoniare davanti all’assemblea
Si può agevolmente riconoscere nelle note i nomi del «gruppo di mischia», i competenti che costituiscono, assieme ad altri, il riferimento abituale delle riflessioni ecclesiali sull’abuso: Enrico Parolari, Luisa Bove, Amedeo Cencini, Gottfried Ugolini ecc.. Oltre ad una delle loro «palestre» abituali: il trimestrale Tredimensioni, edito dall’editrice Àncora. In appendice sono ripresi alcuni dei testi magisteriali fondamentali relativi agli abusi, a indicare il percorso compiuto dalla Chiesa e i grandi passi compiuti.

Nel testo emerge, infine, con una certa forza, il tema della testimonianza, di poter dire ciò che purtroppo è successo. Un’esigenza del terapeuta, per mettere in guardia le comunità religiose, e non solo, della gravità e della serietà dello scandalo, educando i credenti a prendersene cura. Ma anche delle stesse vittime. «Come fare a superare la rabbia e non allontanarsi dalla Chiesa, dalla fede? Come fare a difendermi da chi, di fronte a questi crimini, ha minimizzato, nascosto, messo a tacere, o anche peggio non ha difeso i più fragili, limitandosi meschinamente a spostare i sacerdoti a nuocere da altre parti? Di fronte a questo, noi vittime innocenti, sentiamo amplificato il dolore che ci ha ucciso».

«La Chiesa mi ha costruito e la Chiesa mi ha distrutto. Grazie alla medicina, alla psicologia e alla scrittura ho fatto molti progressi. Oggi la mia distanza radicale dall’istituzione ecclesiale non mi esime tuttavia dal chiedere una cosa essenziale per la mia completa guarigione: che la Chiesa non solo accetti di riconoscere le sue responsabilità, ma che lo dichiari chiaramente e pubblicamente, intraprendendo un’opera di ricostruzione e imponendosi una revisione generale. Con la mia testimonianza spero di contribuire a tutto ciò».

settimananews.it

Lotta agli abusi. Il Papa: «Nessun silenzio può essere accettato»

Francesco ha ricevuto questa mattina referenti dei servizi e dei centri di ascolto diocesani della Cei. «Importante perseguire coloro che commettono tali crimini, ancor più se in contesti ecclesiali»

L'udienza di papa Francesco con i referenti sei Servizi e dei Centri di ascolto per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili delle diocesi italiane

L’udienza di papa Francesco con i referenti sei Servizi e dei Centri di ascolto per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili delle diocesi italiane – Siciliani

avvenire.it

“Nessun silenzio o occultamento può essere accettato in tema di abusi. Questa non è materia negoziabile”. Così si è espresso questa mattina, 18 novembre, il Papa nell’udienza ai referenti dei servizi e dei centri di ascolto diocesani della Conferenza Episcopale Italiana. Per Francesco “è importante perseguire l’accertamento della verità e il ristabilimento della giustizia all’interno della comunità ecclesiale anche in quei casi in cui determinati comportamenti non siano considerati reato per la legge dello Stato, ma lo sono per la normativa canonica”.

“La cura delle ferite – ha proseguito il Pontefice – è anche un’opera di giustizia. Proprio per questo è importante perseguire coloro che commettono tali crimini, ancor più se in contesti ecclesiali”. “Loro stessi – ha sottolineato Papa Francesco – hanno il dovere morale di una profonda conversione personale che conduca al riconoscimento alla loro infedeltà” e all'”umile richiesta di perdono delle vittime per le proprie azioni”.

Dopo aver salutato il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, il segretario generale, monsignor Giuseppe Baturi e il vescovo incaricato di seguire l’attività di protezione dei minori, Lorenzo Ghizzoni, il Papa ha lodato l’impegno della Chiesa italiana su questo fronte. “Voi rappresentate – ha detto – l’impegno della Chiesa in Italia nel promuovere una cultura di tutela per i minori e i più vulnerabili. E mi congratulo anche perché avete risposto prontamente all’ invito con il rapporto sulla vostra rete territoriale” (rapporto presentato giovedì ad Assisi, a conclusione dell’assemblea straordinaria dei vescovi, ndr).

Francesco ha poi indicato tre verbi per indirizzare l’azione di prevenzione e protezione anche in futuro. “Custodire, ascoltare e curare”. Quanto al primo. ha spiegato: “Custodire è partecipare attivamente al dolore delle persone ferite e far sì che tutta la comunità sia responsabile della protezione dei minori e di chi è più vulnerabile. Tutta la comunità cristiana, nella ricchezza delle sue componenti e competenze, dev’essere coinvolta, perché l’azione di tutela è parte integrante della missione della Chiesa nella costruzione del Regno di Dio”. Custodire, in sostanza, “significa orientare il proprio cuore, il proprio sguardo e il proprio operato a favore dei più piccoli e indifesi”. E vuol dire anche, ha aggiunto il Pontefice, “prevenire le occasioni di male, e questo è possibile soltanto attraverso una costante attività di formazione, volta a diffondere sensibilità e attenzione alla tutela dei più fragili. E questo è importante anche fuori dal nostro mondo ecclesiastico. Pensate – ha specificato il Papa – che, secondo le statistiche mondiali, tra il 42 e il 46 per cento degli abusi si fanno in famiglia o nel quartiere. Zitto, si copre tutto: gli zii, i nonni, i fratelli, tutto. Poi, nel mondo dello sport, poi nelle scuole, e così via”.

Il secondo elemento è ascoltare, ha ribadito il Pontefice. “L’ascolto delle vittime è il passo necessario per far crescere una cultura della prevenzione, che si concretizza nella formazione di tutta la comunità, nell’attuazione di procedure e buone prassi, nella vigilanza e in quella limpidezza dell’agire che costruisce e rinnova la fiducia. Solo l’ascolto del dolore delle persone che hanno sofferto questi terribili crimini apre alla solidarietà e spinge a fare tutto il possibile perché l’abuso non si ripeta. Siamo chiamati a una reazione morale, a promuovere e a testimoniare la vicinanza verso coloro che sono stati feriti da un abuso. Saper ascoltare è prendersi cura delle vittime”.

Infine “solo percorrendo la strada del custodire e dell’ascoltare è possibile curare”. Le vittime, innanzitutto, ma anche i colpevoli. A tal proposito il Papa ha detto: “Loro stessi hanno il dovere morale di una profonda conversione personale, che conduca al riconoscimento della propria infedeltà vocazionale, alla ripresa della vita spirituale e all’umile richiesta di perdono alle vittime per le proprie azioni”.

Nell’ultima parte del suo discorso, papa Francesco è tornato a lodare l’impegno della Cei su questo fronte, aggiungendo anche una richiesta riguardo alla lotta contro la pedopornografia. “Esprimo apprezzamento per le realtà che voi rappresentate, Servizi per la tutela dei minori e Centri di ascolto, diffusi in tutto il Paese come luoghi cui riferirsi per trovare ascolto. Continuate a compiere ogni sforzo. E prendetevi cura anche di una cosa molto brutta che succede, che sono i filmati pornografici che usano i bambini. Questo succede, anzi, è a portata di mano di chiunque paghi, sul telefonino. Dove si fanno, questi filmati? Chi è il responsabile? In quale Paese? Per favore, lavorare su questo: è una lotta che dobbiamo fare perché si diffonde nei telefonini la cosa più brutta”. Continuate a compiere ogni sforzo perché tutti coloro che sono stati feriti dalla piaga degli abusi possano sentirsi liberi di rivolgersi con fiducia ai Centri di ascolto, trovando quell’accoglienza e quel sostegno che possano lenire le loro ferite e rinnovare la fiducia tradita”.

Francesco si è soffermato pure sui risultati della rilevazione sulle attività dei Servizi e dei Centri. “Mettono in luce – ha sottolineato – proprio il bene che sapete compiere sul territorio, facendovi prossimi a chi ha patito una ferita lacerante. Quello che state facendo è prezioso sia per le vittime sia per tutta la comunità ecclesiale. Emerge da queste pagine la testimonianza di un impegno costante e
condiviso. Questa è la strada per creare fiducia, la fiducia che porta ad un reale rinnovamento”. Il grazie del Pontefice si è quindi esteso anche al “supporto che state fornendo ad altre Conferenze Episcopali; come pure per il sostegno ai piani della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori verso quei Paesi, specialmente in via di sviluppo, che dispongono di scarse risorse per la
prevenzione e per l’attuazione di politiche di tutela. Andate avanti!”, ha concluso.

Abusi, workshop internazionale sulla tutela negli istituti religiosi

Alcune suore
L’iniziativa “Creare una cultura della tutela” promossa da UISG e USG si terrà alla “Fraterna Domus” di Sacrofano dal 6 al 10 novembre e si avvarrà dei contributi di oltre 130 partecipanti di 39 nazionalità diverse
Vatican News

“Creare una cultura della tutela”. È questo il titolo del workshop, promosso dalle due Unioni dei superiori e delle superiore generali (USG-UISG), su cui saranno chiamati a confrontarsi 132 partecipanti, provenienti da 90 congregazioni e rappresentanti di 39 diverse nazionalità. L’evento si terrà presso la comunità “Fraterna Domus” di Sacrofano, alle porte di Roma, dal 6 al 10 novembre 2023 e avrà come obiettivo centrale la creazione di una cultura della tutela all’interno delle congregazioni religiose. Si tratta di un’opportunità senza precedenti per i leader religiosi e i responsabili della tutela provenienti da tutto il mondo, che avranno la possibilità di apprendere, condividere esperienze e collaborare per promuovere un ambiente sicuro e inclusivo per tutti i membri delle congregazioni religiose e le persone alle quali servono, specialmente minori e adulti in situazioni de vulnerabilità.

Cinque punti chiave
Saranno cinque i punti chiave del workshop: fornire una formazione completa sui passi da compiere per creare una cultura della tutela attraverso la protezione e la prevenzione; offrire informazioni dettagliate sull’abuso di minori e adulti vulnerabili, compresi i membri religiosi e i giovani in formazione; dare voce ai sopravvissuti, consentendo loro di condividere le proprie storie; approfondire la conoscenza sulle pratiche di prevenzione degli abusi, inclusa la formazione, il reclutamento e l’attuazione di politiche; esplorare le modalità di risposta ai problemi, tra cui la gestione delle accuse, il ruolo del diritto civile e canonico, la cura delle persone colpite da abuso e la comunicazione efficace con gli altri.

Esperti nel campo
A facilitare l’incontro saranno esperti di fama internazionale nel campo della tutela e della prevenzione dell’abuso, tra cui fratel Brendan Geary, suor Maria Rosaura González Casas, padre Tim Brennan, Tina Campbell, e suor Tiziana Merletti. “Le situazioni di abuso sono un problema serio al quale dobbiamo far fronte, e questo workshop rappresenta un’opportunità per imparare a creare ambienti sicuri per i membri delle nostre congregazioni e le persone a chi serviamo”, afferma fratel Emili Turú, segretario generale dell’USG, co-organizzatore di questo evento. Da parte sua, suor Mary John Kudiyiruppil, vice segretaria della UISG, dichiara: “Siamo entusiasti di vedere che così tante persone da tutto il mondo abbiano deciso di unirsi a noi per questo evento così importante”.

L’educatore di CL arrestato per abusi. Si trovavava a Caorle presso i genitori ed era già sospeso da ogni incarico

farodiroma.it

“Dispiacere e costernazione”: è quanto esprime Comunione e Liberazione per ciò che “emerge dall’indagine in corso da parte della magistratura a carico di una persona coinvolta nell’attività educativa del movimento”. In un comunicato, si spiega che “in ottemperanza alla normativa per la tutela dei minori adottata dalla Fraternità di Comunione e Liberazione, la persona indagata è stata sospesa da ogni incarico educativo”, settimane fa, “non appena è stata segnalata l’eventualità di possibili abusi e ricevuta l’informazione che la segnalazione “era già stata rivolta anche alla autorità giudiziaria competente”.

Andrea Davoli, 52enne di Reggio Emilia insegnante di religione e responsabile provinciale del gruppo ’Gioventù studentesca’ del movimento ’Comunione e liberazione’, arrestato ieri mattina a Caorle – nella casa dei genitori – con l’accusa di violenza sessuale su minore. Su una 14enne reggiana, la stessa che ascoltata dagli investigatori ha definito Davoli “un memores”, cioè membro dei laici consacrati che fanno capo al Mivimento attraverso un istituto secolare fondato ugualmente da Don Giussani. Tra il 6 e l’8 aprile, durante un ritiro spirituale in preparazione della Pasqua a Rimini l’educatore di Cl avrebbe approfittato di un momento di debolezza della 14enne – affidata alla sua tutela dai genitori – per avere con lei un rapporto sessuale.

Stando alla ricostruzione della vicenda e alla testimonianza della giovane, l’uomo aveva prima instaurato con lei un rapporto di amicizia, partendo dal dicembre del 2022. La ragazzina ha parlato di un momento molto buio e di fragilità che stava attraversando. Poi con il passare del tempo il 52enne avrebbe iniziato a toccarle le parti intime fino ad arrivare ad avere un rapporto sessuale completo durante il ritiro spirituale che si è svolto a Rimini, lo scorso aprile. Ma non solo. La ragazzina ha raccontato che i rapporti sessuali sarebbero andati avanti anche in seguito, in particolare dopo la scuola, quando l’uomo la riaccompagnava a casa. E lui, per riuscire ad avvicinarla, in una occasione, si sarebbe nascosto dietro i cassonetti dell’immondizia in attesa di avvicinarla.

Nella nota, Comunione e Liberazione fa sapere di essere “in contatto con la famiglia della minore coinvolta per fornire ogni possibile supporto e aiuto, accompagnandoli anche nella preghiera in questa dolorosa vicenda”. Il movimento auspica che venga “mantenuto il dovuto riserbo sul caso, in attesa e confidando che il lavoro delle autorità competenti faccia al più presto chiarezza”. 

L’educatore di Comunione e Liberazione si difende: “Rapporti sessuali con la 14enne: lei era consenziente”

Non nega i rapporti sessuali con una ragazzina di 14 anni ma Andrea Davoli, il 52enne educatore di Comunione e Liberazione e insegnante di religione arrestato sabato dai carabinieri, al suo legale Liborio Cataliotti ha sempre spiegato che “la ragazza era consenziente”. L’uomo, infatti, sostiene di non aver mai usato inganni o costrizioni ne tanto meno di averla violentata abusando della sua posizione. Una tesi ribadita anche dal legale dell’educatore: “Secondo il mio assistito si è trattato di una relazione affettiva consenziente”. Secondo le ricostruzioni la relazione tra la ragazzina e il responsabile provinciale di Gioventù Studentesca “Don Giussani” di Reggio Emilia sarebbe partita nel dicembre 2022 con un bacio fino a quando, l’aprile successivo a Rimini durante un ritiro spirituale in vista della Pasqua, avrebbero consumato un rapporto completo. Per l’accusa, il 52enne avrebbe approfittato di un momento di debolezza della ragazzina, in lacrime per una incomprensione con un coetaneo.

Per il legale di Davoli si tratta di “una vicenda dove il confine tra lecito e illecito è davvero labile. Lui si è invaghito della ragazza, ma non l’ha mai costretta a fare nulla. Al di là delle questioni morali: se non fosse stato suo precettore, se i genitori non avessero affidato la ragazza a lui durante i ritiri spirituali, non ci sarebbe il reato”. Di parere diverso il gip del Tribunale di Rimini, Vinicio Cantarini, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Davoli chiesta dal sostituto procuratore Davide Ercolani che coordina le indagini. Ci sarebbe anche, secondo il magistrato, il pericolo concreto e attuale che l’indagato commetta nuovamente delitti della stessa specie oltre alla “incapacità di autocontrollo della libido e degli impulsi sessuali anche verso minori”. Nel disporre così il carcere, il Tribunale di Rimini ha anche dichiarato anche l’incompetenza territoriale, trasferendo l’inchiesta a carico dell’educatore all’autorità giudiziaria di Reggio Emilia.

In attesa che per il 52enne venga fissato l’interrogatorio di garanzia l’avvocato Cataliotti delinea la strategia difensiva spiegando che “La prima cosa che contesteremo è che ci fosse un pericolo di reiterazione del reato. È stata infatti l’unica occasione in cui può aver avuto una sbandata. Poi io stesso avevo consigliato al mio cliente, non appena mi aveva raccontato la vicenda, di interrompere ogni rapporto con lei, sia in presenza sia telematica. E così ha fatto. Proprio in questa prospettiva si era allontanato da Reggio andando dai suoi familiari a Caorle. L’altro motivo che esclude il rischio di reiterazione è il fatto che Cl, con la consueta serietà, lo aveva già sospeso prima dell’ordinanza”. Sull’accusa di atti sessuali con una minorenne aggravati dal fatto che fosse un suo educatore, l’avvocato Cataliotti sottolinea che “La questione è sottile: sopra i 14 anni infatti si può liberamente disporre della propria libertà sessuale. Ci sono delle eccezioni rappresentati dal rapporto che intercorre fra i due. Ad esempio se si è il professore o il precettore del minorenne: in questo caso il limite si alza a 16 anni. A mio avviso qui ci troviamo in una situazione di limbo, a cavallo fra lecito e illecito. Ma di sicuro non ci si trova in una condizione di violenza sessuale in senso stretto, è pacifico il consenso prestato dalla ragazza a una relazione sessuale”.

riminitoday.it

“Sono malato, devo curarmi”: così l’educatore di Cl ammetteva l’abuso al padre della vittima. Il gip: “Incapace di autocontrollo della libido”

“Sono malato, devo curarmi”: così l’educatore di Cl ammetteva l’abuso al padre della vittima. Il gip: “Incapace di autocontrollo della libido”

Il Fatto Quotidiano

in https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/08/20/sono-malato-devo-curarmi-cosi-leducatore-di-cl-ammetteva-labuso-al-padre-della-vittima-il-gip-incapace-di-autocontrollo-della-libido/7266370/

Una “personalità incapace di autocontrollo della libido e degli impulsi sessuali, anche quando indirizzati nei confronti di giovani minorenni”. Così il gip di Rimini Vinicio Cantarini descrive Andrea Davoli, il 52enne educatore di Comunione e liberazione arrestato per atti sessuali compiuti nei confronti di una ragazzina di 14 anni, motivando la necessità di sottoporlo a custodia cautelare in carcere per il rischio che commetta altri reati della stessa specie. La “posizione di “autorità” responsabile” ricoperta dall’indagato nell’ambito del gruppo “Gioventù studentesca” di Reggio Emilia, affiliato al movimento fondato da don Luigi Giussani, ne favorisce inoltre – si legge nell’ordinanza – “contatti continui con una moltitudine di giovani, che può agevolmente circuire, persuadere e indurre ad atti sessuali”. Proprio come è successo alla vittima, che Davoli ha invitato nella sua camera da letto durante un raduno spirituale a Rimini tra il 6 e l’8 aprile, spingendola “a consumare un rapporto sessuale completo e non protetto” approfittando di un momento di debolezza dovuto a un litigio con un compagno. Un episodio confessato qualche settimana dopo dalla ragazzina alla mamma, “scoppiando in un pianto liberatorio”, dopo che una delle sorelle, preoccupata per il suo improvviso cambiamento d’umore, aveva scoperto sul suo telefono una chat intima con l’educatore.

Quello, però, non era stato né il primo né l’ultimo abuso. Sentita in audizione protetta dopo la denuncia della madre, la minore ha infatti raccontato che “i primi approcci” da parte del 52enne risalivano al dicembre 2022, durante una vacanza con il gruppo: “Una sera a Parma dopo un incontro con altre persone… prima di portarmi a casa ci siamo fermati a vedere le stelle… eravamo sul cofano della macchina e lui mi ha detto se avevamo voglia di fare una cosa… avevo capito che era per baciarmi… mi ha detto: “Cosa faresti?“, e io: “Fai quello che ti senti”…”. Dopo il primo bacio, Davoli aveva intensificato le condotte di violenza: la ragazzina ha raccontato che “nelle occasioni in cui rimanevano soli aveva inizialmente cominciato a toccarla nelle parti intime e sul seno”, fino al rapporto completo avvenuto nell’aprile successivo, durante il raduno di Rimini. E ha aggiunto che anche in seguito, “al suo ritorno a Reggio Emilia, aveva continuato ad avere rapporti sessuali con l’indagato, specie dopo la scuola e nelle occasioni in cui lui l’accompagnava a casa”. L’ultimo era stato il 23 maggio, “all’interno dell’autovettura dell’indagato, quando quest’ultimo la stava accompagnando a casa dopo una riunione tenutasi nel contesto delle attività svolte dal gruppo”. Tutte queste condotte, per la Procura, costituiscono reato: anche se l’età del consenso è in via generale fissata a 14 anni, infatti, la soglia si alza a 16 anni qualora il colpevole sia un soggetto a cui il minore è affidato “per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia”.

Una volta scoperto, Davoli non ha mai tentato di negare: anzi, al padre della vittima – che gli ricordava che la sua condotta corrispondeva a uno stupro – “si limitava a rispondere solo di essere malato e che doveva farsi curare”. All’altra sorella, invece, parlava di un “forte sentimento“, affermando “di essere rammaricato per quanto accaduto, di essere a conoscenza di aver sbagliato proprio in virtù del cammino vocazionale intrapreso (…) raccomandandosi di non far trapelare nulla“. Nel frattempo tentava in tutti i modi di entrare in contatto con la minore, addirittura nascondendosi dietro i cassonetti della pattumiera nel giorno del matrimonio del fratello. “Alla luce delle risultanze investigative”, conclude il gip, “non v’è motivo di dubitare dell’attendibilità/credibilità della persona offesa, la cui propalazione, minimamente intrisa di rancore e risentimento ed estremamente precisa, coerente e circostanziata nella descrizione degli atti sessuali compiuti con l’indagato, ha già trovato una qualche implicita conferma”, in particolare “nella chat Whatsapp intercorsa tra la minore e l’indagato, da cui risulta evidente che tra le parti vi era intimità sessuale“. La custodia in carcere, sottolinea, è necessaria “non potendosi fare affidamento, allo stato e nell’immediato, sulla capacità di autodisciplina dell’indagato”.