Nel 1981, dopo il referendum sull’aborto, un settimanale cattolico titolò «Ripartiamo da 32»: la percentuale di chi aveva votato contro la 194. Ma oggi ci crediamo ancora che quel grumo di cellule è un uomo?

Colpisce il singolare understatement con cui – in generale – il mondo cattolico italiano ha accolto la sentenza della Corte costituzionale Usa che fa retromarcia sul diritto di aborto. Io che sono abbastanza anziano da ricordare il mitico «Ripartiamo da 32» (la percentuale dei contrari all’aborto nel referendum del 1981) con cui l’altrettanto mitico settimanale ciellino «Il Sabato» accolse con tono di rivincita la sconfitta elettorale, sono francamente perplesso.

Certo: sono passati quarant’anni e il clima (anche cattolico) è molto cambiato. In generale c’è assai più individualismo e soprattutto meno fiducia nella possibilità di «cambiare il mondo». Tuttavia certe cose non cambiano – non dovrebbero cambiare: per esempio che una vita è una vita. O non lo è.

Invece leggo titoli concilianti, secondo i quali è «l’ora di riflettere insieme», è tempo di «dialogo», bisogna «riaprire un dialogo non ideologico»… E come no? Ci mancherebbe, parlare fa sempre bene e aiuta a chiarirsi le idee. Senza contare che il superamento di certi steccati favorisce una ricerca più seria e condivisa del bene comune. Ma poi, giunti al dunque?

Le proposte ­che ho letto – anche di autorevoli prelati, responsabili di organismi preposti proprio alla materia – sono quelle di dare «una solida assistenza alle madri che coinvolga tutta la comunità», «garantire un’assistenza sanitaria accessibile a tutti», «predisporre misure legislative a tutela della famiglia e della maternità», favorire «la possibilità per le madri in difficoltà di  portare avanti la gravidanza e di affidare il bambino a chi può garantirne la crescita», persino «assicurare un’adeguata educazione sessuale» (arrivare alla contraccezione no, quello no: non esageriamo…). Bene! E chi mai sarebbe contrario a proposte del genere? Nemmeno un abortista, credo.

Ma poi? Ci crediamo ancora oppure no -­ come noi giovani sventolammo con orgoglio e convinzione 40 anni fa -­ che quel grumo di cellule è già un uomo? E, se lo è, a parte tutte le doverose migliorie e facilitazioni possibili per farlo nascere, davanti alla decisione finale della madre anche se non esistono ragioni terapeutiche o d’altro genere (stupro, eccetera), davanti al puro e semplice «diritto di aborto»: cosa diciamo, da cattolici?

Quarant’anni fa ci schierammo con estrema decisione e parole forti contro la 194; oggi – almeno dalle reazioni lette -­ sembriamo rassegnati a considerarla il meno peggio: e forse è proprio così. Io stesso non mi sento di reclamarne una revisione. Però mi chiedo se tanto vale allora lasciare allo Stato il compito di legiferare (in questo e in altri casi) secondo la maggioranza e riservare al santuario inviolabile della coscienza personale la decisione ultima sulle varie possibilità lasciate aperte alla scelta…

Alla fine, trovo persino più schietto il ragionamento di Vittorio Feltri che ­– dopo aver narrato una vicissitudine familiare legata a un possibile aborto – conclude: «La gente si lamenta che in Italia le culle sono vuote. Io penso che l’aborto abbia contribuito a svuotarle». Brutale ma vero.

vinonuovo.it

Lo Stato rispetti, promuova e difenda la vita, a partire dalla più fragile

Eutanasia ed aborto possono essere proposti con «motivi umanitari a parole» ma cercati «temo per motivi economici». Il monito del cardinale Angelo Bagnasco è arrivato commentando il Messaggio di Papa Benedetto XVI per la Giornata della pace.

Nel suo lungo ed articolato discorso il porporato ha ricordato, tra l’altro, che non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza verità e che «l’etica sociale si fonda ed è garantita dall’etica della vita». Entrambe, ha spiegato, «sono intimamente congiunte: l’una fonda e garantisce l’altra, l’altra invera la prima».

Parlando nella chiesa dell’Annunziata, poco prima della partenza della Marcia per la Pace, il porporato ha domandato: «Quale garanzia ci può essere se uno Stato non rispetta, non promuove, non accoglie, non difende la vita soprattutto la più fragile e la debole anche quella vita che non ha neppure il volto, neppure la voce per imporre sé stessa ed il proprio diritto? Oppure se quella vita non ha più la voce perché l’ha persa, in uno stato di incoscienza o di infermità mentale?».

Il cardinale non ha mai usato direttamente i termini “eutanasia” ed “aborto” ma, ha sottolineato lo stesso porporato: «è evidente a chi pensiamo». Quali garanzie ci possono essere, ha domandato ancora il cardinale «se la comunità, non è in grado di accogliere o non vuole accogliere, per motivi anche i più umanitari a parole, ma in realtà temo, a volte, per motivi economici?». Quali garanzie può dare uno Stato se la comunità civile «non è in grado di accogliere la vita nella fase più ultima?». «Parliamo spesso degli ultimi – ha proseguito il cardinale ricordando i poveri, i malati, coloro che hanno perso il lavoro – ma gli ultimi degli ultimi – ha sottolineato – sono coloro che non possono opporre agli altri neppure la presenza, neppure un volto, tanto meno la voce». «Una società siffatta – ha domandato ancora – che garanzie potrà dare di difendere, accogliere, sostenere, promuovere, anche con grandi sacrifici, tutte le altre fragilità della vita umana?». «Se il cuore della società non è abbastanza grande, sensibile da commuoversi di fronte a queste situazioni ultime della fragilità umana, e non le accoglie perchè dice di dover pensare alle altre fragilità, c’è un circolo che non si puo’ spezzare» ha concluso.

A margine della giornata, il cardinale ha rinnovato l’invito a restare uniti per uscire dalla crisi perché «chi si illude di farcela da solo, nel proprio piccolo orto, fallisce inevitabilmente». Ed è con questa convinzione che il cardinale ha espresso l’auspicio «che nessuno si scoraggi» e che «tutti ci stringiamo ancora di più nelle famiglie, dei gruppi, delle associazioni, delle comunità cristiane, della società civile perché solamente insieme si può superare questo momento di grande difficoltà». Il cardinale ha poi invitato tutti a «pensare al bene comune» a «pensare al bene generale secondo le responsabilità di ciascuno» auspicando che «la pace diventi realtà e non solo un sogno».

 

Adriano Torti  / avvenire.it

Parlare ai piccoli fin dal concepimento

feto

I grandi benefici del dialogo tra mamme e figli che inizia fin dall’utero materno
Di Rachel Abdalla
ROMA, 27 Dicembre 2012 (Zenit.org) – È molto importante camminare al fianco di Gesù fin da piccoli per l’accrescimento della fede. È quotidianamente che loro imparano i valori cristiani e accrescono la fede nella persona di Gesù Cristo, attraverso gli esempi che osservano dei loro genitori ed educatori.
I primi sette anni di vita costituiscono una fase fondamentale dell’esistenza umana, e sono considerati il momento più importante della formazione del carattere, della personalità, dell’affettività e dei valori; momento nel quale la formazione psicologica del bambino si sviluppa e tutte le esperienze vissute vengono assimilate e serviranno come base di condotta per il resto della sua vita.
Ma, come realizzare questo cammino quando il bambino si trova ancora nelle pancia della mamma?
Tutto inizia dal concepimento! Il bambino si sta formando all’interno di sua madre, ovvero nel più intimo del suo essere, dove risiede il bene Divino dell’amore, che sta generando questa nuova vita.
In questo momento della formazione, la madre è responsabile dello sviluppo fisico  del suo bambino, alimentandolo adeguatamente affinché venga nutrito; ma è anche responsabile della nutrizione emozionale e spirituale che inizia in questo momento.
La fede è qualcosa che trascende l’intendimento, ma che può essere sentita e vissuta fin dal concepimento dell’essere umano, dal momento che la creatura è un frutto del Creatore e, pertanto, parla e capisce la stessa lingua.
Per questo, bisogna fare in modo che, tutti i giorni, il bambino ascolti la voce di sua madre e la sua devozione a Dio, in modo che anche lui sia devoto al Signore.
La madre deve conversare con il suo bambino, raccontargli tutto quello vede, con gli occhi e con il cuore, riguardo le meraviglie realizzate dal Creatore!
Tentare di spiegargli il colore del cielo, come è la natura e come sono fatti gli arcobaleni; parlargli degli uccellini che volano, della varietà dei pesci nel mare e della bellezza degli animali.
Parlargli anche della sensazione del freddo e del caldo; della pioggia che cade dal cielo e delle nuvole che l’hanno formata….
E, principalmente, parlare dell’amore che nutre per il suo bambino e di quanto lo sta aspettando.
Il bambino conoscerà in questo modo il mondo per mezzo di quello che la madre gli racconta, attraverso le emozioni che questa gli trasmette nel descriverlo.
Questa percezione esisterà sempre, e farà sì che il bambino, nella sua vita, riesca a credere in ciò che non può vedere ma che, di fatto, esiste, perché ha imparato ad avere fede, ad aspettare per vedere quello che ancora non è visibile agli occhi, ma che può già essere sentito attraverso il cuore.
Questo esercizio deve avvenire anche dopo la nascita. In questo modo, il vincolo tra la madre, il figlio e Dio, sarà sicuramente rinforzato.
[Traduzione dal portoghese a cura di Claudia Parigi]
*Rachel Abdalla è la Fondatrice e il Presidente dell’Associazione Cattolica “I piccolini del Signore” e Cordinatrice della Catechesi per la famiglia nella parocchia Nossa Senhora dos Dores a Campinas, San Paolo; presenta il “Programma Piccolini del Signore”, all’interno del proggeto “Popolo di Dio” dell’ arcidiocesi di Campinas, su Radio Brasil Campinas; è membro dell’ Equipe do Trabalho de “Ambiente Virtual da Formacao” dell’ arcidiocesi di Campinas.

Aperta la raccolta di firme online “Uno di noi” per il diritto alla vita

Antonio Gaspari

(Zenit.org) – Da ieri è possibile raccogliere online le firme dei cittadini europei per sostenere l’iniziativa “Uno di noi”.

Si tratta della Proposta d’iniziativa dei cittadini europei per la “Protezione giuridica della dignità, del diritto alla vita e dell’integrità di ogni essere umano fin dal concepimento nelle aree di competenza UE nelle quali tale protezione risulti rilevante”.

L’Iniziativa europea “Uno di noi” è stata promossa dai movimentiper la vita di 20 Paesi, e chiede al diritto comunitario di proteggere il riconoscimento della dignità umana fin dalconcepimento.

Secondo i promotori dell’iniziativa “l’embrione umano merita il rispetto della sua dignità e integrità” e per garantire la coerenza nei settori di sua competenza dove la vita dell’embrione umano è in gioco, l’UE “deve introdurre un divieto e porre fine al finanziamento di attività presupponenti la distruzione di embrioni umani in particolare in tema di ricerca, aiuto allo sviluppo e sanità pubblica”.

Si tratta di una forma di democrazia diretta introdotta dal Trattato di Lisbona, ed implica la raccolta di almeno un milione di firme in almeno 7 Paesi diversi.

Il sito dove si possono raccogliere le informazioni (https://ec.europa.eu/citizens-initiative/ECI-2012-000005/public/index.do?lang=en) è disponibile nelle lingue: Danese, Tedesco, Estone, Greco, Inglese, Spagnolo, Francese, Italiano, Magiaro (Ungheria), Polacco, Portoghese, Rumeno, Slovacco, Sloveno, Suomi (Finlandia).

Per poter sostenere l’iniziativa occorre essere cittadini dell’Unione Europea (appartenenti ad almeno uno Stato membro) e aver raggiunto l’età alla quale si acquisisce il diritto di voto per le elezioni del Parlamento europeo (18 anni in ogni Paese, salvo l’Austria, dove ne bastano 16).

Tutti i cittadini europei favorevoli al diritto alla vita sono stati invitati a firmare e far firmare il sostegno all’iniziativa.

Per firmare il sostegno all’iniziativa: https://ec.europa.eu/citizens-initiative/ECI-2012-000005/public/signup.do

L’aborto: una ferita incancellabile per la donna

Se ne è discusso in un convegno promosso dal Movimento per la Vita

di Gaia Bottino

ROMA, sabato, 20 ottobre 2012 (ZENIT.org) – L’aborto non è solo una pratica che porta ad uccidere una vita umana: procura ferite dolorose, incancellabili e troppo spesso taciute nell’animo della donna che lo compie.

Di fronte a questa scelta disperata infatti, si nascondono non solo condizionamenti esterni provenienti dal compagno o dalla famiglia d’origine, ma soprattutto ancestrali condizionamenti mentali appartenenti alla natura umana come il rifiuto di vivere l’ambiguità di un possibile sconvolgimento della propria vita e l’innata predisposizione alla risoluzione dei problemi nel più breve tempo possibile; sentimenti così discordanti tra mente e l’anima portano la donna ad una lotta interiore dove ad avere la meglio, è in questo caso la paura: l’unica soluzione possibile al problema risulta quindi essere l’aborto.

Si sceglie l’aborto per evitare il rischio di un cambiamento radicale nella propria vita quando poi in realtà, il cambiamento avverrà comunque ma prenderà un risvolto senz’altro più doloroso rispetto all’arrivo di un figlio.

Il Movimento per la Vita Italiano ha voluto toccare questo tema in occasione dell’apertura dei lavori del convegno sulle conseguenze psichiche subite dalla donna in seguito all’aborto, organizzato a Roma nelle giornate di oggi e domani (20-21 ottobre), presso la Sala del Pio Sodalizio dei Piceni di San Salvatore in Lauro e che sta vedendo la partecipazione di esponenti di spicco del Movimento per la Vita, delle istituzioni pubbliche, oltre a religiosi e professionisti sensibili al tema della vita.

Ad introdurre l’argomento è stato Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita che ha parlato degli sforzi compiuti dal movimento nella costruzione di un dialogo con le donne protagoniste del dramma dell’aborto: “Vogliamo che la madre del bimbo abortito, possa non sentirsi perduta e che trasformi il suo dolore in un’occasione di rinascita –  ha affermato Casini –. Lo stesso Giovanni Paolo II, durante un’omelia, aveva dedicato un pensiero speciale a queste donne, spesso lasciate sole di fronte ad una decisione sofferta e portandosi poi per tutta la vita una ferita profonda. Nonostante la sofferenza, si può diventare artefici di un nuovo modo di guardare alla vita dell’uomo e alla sua difesa”.

A prendere la parola è stato poi il Cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita, che ha parlato della necessità di costruire un itinerario rivolto alla donna affinché possa essere aiutata nell’elaborazione del lutto per poi potersi riappacificare con sé stessa. “Esistono a tutt’oggi i consultori ma non basta –  ha affermato Sgreccia –. C’è bisogno di un aumento di personale operativo che aiuti la donna sia ad informarla sui rischi psicologici a cui va incontro nella fase post-aborto, sia ad accompagnarla nella difficile fase dell’elaborazione del lutto, una volta che l’aborto sia stato già compiuto”.

L’esigenza di istituire spazi di ascolto e consulenza psicologica per le donne provate dal trauma dell’aborto, ha portato alla nascita del Progetto “Futuro alla Vita”, presentato dall’Ingegner Roberto Bennati, Vicepresidente del Movimento per la Vita Italiano: l’iniziativa, cofinanziata dal Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, è destinata all’apertura di case di Accoglienza per madri emarginate dalla famiglia di origine o abbandonate dal partner o dal marito per aver scelto di tenere il bambino. Inoltre, in via sperimentale, verrà attuato uno spazio di ascolto e consulenza psicologica per sostenere le donne nel superamento di disagi psicologici vissuti in seguito all’interruzione volontaria di gravidanza.

Bennati ha ricordato inoltre l’importanza fondamentale e sempre più crescente del lavoro dei Centri di aiuto alla vita: “Nel territorio nazionale sono presenti ad oggi 600 CAV dove si svolgono attività di ascolto, consulenza e terapia psicologica per aiutare le donne che hanno abortito a ritrovare il proprio benessere fisico e psicologico e la consapevolezza della dignità e bellezza dell’essere donna e madre – ha detto l’Ing. Bennati –. A Roma vi è il CAV Palatino in Piazza Sant’Anastasia, un luogo strategico poiché a pochi metri vi è la chiesa di Sant’Anastasia dove da anni si svolge l’adorazione perpetua e molte donne vi si recano per confessarsi e chiedere aiuto”.

Il progetto “Futuro alla Vita” che ha ottenuto l’appoggio del Comune di Roma e del Governo, intende quindi fornire alle donne un percorso di conoscenza di sé, del proprio corpo e della propria personalità, iniziando a dare valore alla propria vita e a quella altrui.

La professoressa Elena Vergani, psichiatra e relatrice del convegno, ha così evidenziato come “l’aborto tocchi alla radice il rapporto tra l’individuo e quello con il Creatore, le creature ed il creato”, in quanto “nell’intimo della persona umana, la maternità rispecchia l’essenza della femminilità. Non è solo la madre a donare la vita al figlio ma quest’ultimo dà la vita alla madre realizzandola come persona”.

La dottoressa Cristina Cacace, psicoterapeuta, si è invece soffermata sul disturbo post-traumatico da stress vissuto dalle donne che hanno praticato l’aborto. “Alla morte fisica del bambino – ha affermato la dott.ssa Cacace – corrisponde anche la morte di una parte psichica della donna. Questo perché già nel momento del concepimento, senza che la donna ne sia consapevole, la sua mente dà origine ad una nuova identità, quella di madre”.

Il professor Tonino Cantelmi, psichiatra, ha poi evidenziato di come l’interruzione di gravidanza possa essere un fattore di rischio elevato per il benessere psico-fisico della donna. Per curare le psicopatologie legate all’aborto, è dunque necessario consentire al trauma vissuto dalla donna di emergere in superficie e di attribuirgli un significato nuovo e costruttivo tramite l’amore indissolubile che lega una madre al proprio figlio e che non potrà essere cancellato nemmeno dall’esperienza dell’aborto.

I pericoli dell’aborto. Nuovi studi ne confermano i rischi

di padre John Flynn, LC

ROMA,  (ZENIT.org) – I sostenitori dell’aborto spesso insistono sul fatto che deve essere legale e prontamente disponibile in modo da ridurre i rischi di salute per le donne. Alcuni studi recenti però dimostrano che l’aborto porta con se considerevoli rischi.

Il 6 settembre, LifeNews.com ha riportato una ricerca in Finlandia, pubblicata sulla rivista Human Reproduction, che aveva raccolto dati sulle 300.858 madri che tra il 1996 e il 2008 avevano partorito per la prima volta in Finlandia. I risultati hanno dimostrato che le donne che precedentemente avevano abortito tre o più volte, avevano possibilità fino a tre volte maggiori di partorire un bambino molto prematuro, ossia nato prima delle 28 settimane.

Secondo una analisi di questi risultati condotta dal dott. Peter Saunders, pubblicata su LifeNews.com, si tratta di uno studio importante, ma non di certo il primo a rivelare questi rischi: “ci sono circa 120 articoli nella letteratura mondiale che hanno dimostrato l’associazione tra aborto e nascita prematura” ha detto.

Nonostante questo lo studio finlandese ha un grosso peso sia per il gran numero di donne che ha incluso, sia perchè controllava fattori come l’età delle madri, il livello socioeconomico e vari altri fattori legati alla salute.

il 5 settembre Il Medical Daily Web site ha riportato come risultati analoghi erano stati ritrovati anche in un altro studio recentemente pubblicato. Il ricercatore-capo Siladitya Bhattacharya, titolare della cattedra di ostetricia e ginecologia dell’Università di Aberdeen, con i suoi colleghi, ha studiato come diversi metodi di aborto influenzano le probabilità di nascita premature in futuro.

Questi professori hanno studiato i dati delle donne scozzesi fra il 1981 e il 2007, e hanno scoperto che l’aborto aumenta il rischio di un parto prematuro in successive gravidanze 37%, rispetto alle donne che non sono mai state incinta in precedenza.

Complicazioni

Lo studio è stato presentato al British Science Festival. Il rischio di complicazioni future per quanto riguarda le gravidanze cresce con ogni aborto. La ricerca dimostra come anche un solo aborto porta già con sè rischi significativi per quanto riguarda la sicurezza delle gravidanze successive.

“Abbiamo scoperto che le donne, che avevano avuto un aborto indotto durante la loro prima gravidanza, erano più a rischio di andare incontro a sofferenze perinatali e materne rispetto alle donne che avevano avuto un parto o nessuna gravidanza precedente”, ha detto Bhattacharya.

Un altro studio recente, intitolato “Tassi di mortalità a breve e lungo termine associati con l’esito della prima gravidanza: Studio basato sul registro della popolazione della Danimarca 1980-2004” è stato pubblicato da David Reardon e Priscilla Coleman.

Questi due studiosi hanno studiato i registri di 463.473 donne che avevano avuto la loro prima gravidanza tra il 1980 e il 2004, 2.238 delle quali erano morte. Secondo un riassunto dello studio, pubblicato dal Medical Science Monitor: “Nella quasi totalità dei periodi studiati, i tassi di mortalità associati all’aborto spontaneo o all’aborto indotto durante la prima gravidanza, erano più alti di quelli associati alla nascita”.

Commentando per il Family Reasearch Council sui rischi dell’aborto, Jean Monahan ha sottolineato che secondo il Centers for Disease Control statunitense, dalla sentenza Roe v. Wade avvenuta nel 1973 ad oggi sono morte almeno 450 donne negli Stati Uniti come risultato di complicazioni dovute all’aborto.

Monahan ha aggiunto che si tratta di una stima bassa, dato che molti stati non riportano i loro dati sull’aborto. Tra questi c’è la California che conta all’incirca un quinto di tutti gli aborti negli Stati Uniti.

Ha commentato anche sui rischi dell’aborto mediante sostanze chimiche, col farmaco RU-486. Secondo il Food and Drug Administration dall’aprile 2011 (10 anni e mezzo dopo l’approvazione negli Stati Uniti del farmaco RU-486), ci sono stati 2.207 denunce di complicazioni. Ciò include 612 ricoveri in ospedale, 339 trasfusioni di sangue e 11 morti.

Mortalità materna

Informazioni aggiuntive sui rischi dell’aborto sono arrivate in un articolo pubblicato il 6 settembre dal Catholic Family and Human Rights Institute. Secondo Wendy Wright in uno studio dallo Sri Lanka si è scoperto che nei paesi in via di sviluppo un diffuso abuso dell’aborto “ha portato ad aborti parziali o settici incrementando la mortalità e la morbilità materna”.

Studi ulteriori fatti dall’Association for Interdisciplinary Research in Values and Social Change, hanno dimostrato che l’RU-486 ha alti tassi di complicazione, con rischi maggiori per le donne dei paesi in via di sviluppo.

In Vietnam ad esempio una donna su quattro che avevano usato il farmaco si è dovuta sottoporre ad una ulteriore operazione chirurgica per abortire a causa di un’azione incompleta del farmaco.

Wright calcolò che, dal momento in cui è stato legalizzato, almeno 14 donne sono morte negli Stati Uniti a causa all’uso del farmaco RU-486.

Nonostante tutto la spinta a rendere L’RU-486 disponibile continua. Fino ad adesso in Australia solo un piccolo numero di dottori erano autorizzati ad amministrarlo, ma adesso le farmacie potranno venderlo a seguito della decisione del Therapeutic Goods Administration, come è stato riportato dai giornali australiani il 31 agosto.

Negli ultimi sei anni in cui il farmaco RU-486 è stato reso disponibile in Australia, le cifre del TGA mostrano come vi sono stati 793 casi di “complicazioni” derivanti dall’uso del farmaco.

Wendy Francis dell’Australian Christian Lobby ha commentato: “Alle donne che affrontano una gravidanza senza sostegno, la nostra società dovrebbe offrire delle vere scelte, non delle sostanze chimiche pericolose per avvelenare il figlio non ancora nato”. Un punto valido, non solo per l’Australia, ma anche per gli altri paesi.

[Traduzione dall’inglese a cura di Pietro Gennarini]