Suor Simona e una casa aperta agli ultimi

Al convegno nazionale della Caritas la testimonianza di chi ha fatto della fraternità uno stile di vita
Suor Simona Cherici a Rho

Suor Simona Cherici a Rho

Avvenire

La vecchia casa del prete su una montagna nell’aretino ha le porte sempre aperte da quando è stata sistemata dalla gente. Ed è diventata una famiglia per madri sole con bambini, disabili e persone sommerse dal disagio. L’avventura della Fraternità della visitazione a Pian di Scò, in provincia di Arezzo, è cominciata 20 anni fa per realizzare un desiderio. Quello di suor Simona Cherici, 53 anni, ex insegnante, suor Letizia, ex amministratore di una coop sociale e suor Lucia, ex sindacalista in una grande fabbrica di calzature. Ispirate dalla mistica, poetessa e assistente sociale francese Madeleine Delbrel, che scelse di vivere una fede ritrovata sulla strada e nelle banlieue operaie degli anni Trenta, hanno chiesto all’allora vescovo di Fiesole Luciano Giovannetti cosa potevano fare.

«Per noi è stato un padre – racconta suor Simona – e credette più di noi tre nel desiderio di vivere a porte aperte una vita fraterna». Le tre vie degli ultimi, del Vangelo e della creatività che le Caritas diocesane stanno cercando nel convegno nazionale di Rho, le tre suore le hanno trovate aprendo le porte di un rudere donato dal vescovo.

«Era inabitabile dopo 35 anni di abbandono – prosegue la religiosa –. Solo il tetto era stato rifatto grazie all’otto per mille. Poi è successo un miracolo. Lavoravamo in pastorale giovanile e abbiamo chiesto aiuto ai giovani. Hanno cominciato a venire a frotte con i campi di lavoro e la gente ha iniziato ad aprirci le cantine per regalarci i mobili usati e ognuno ci portava qualcosa. Questo ci ha permesso di aprire la casa in tre settimane». Durante i lavori le suore dormivano in un centro di accoglienza dove hanno fatto il primo incontro-chiave, la giovanissima Faisa, ragazza prostituita. «Entravamo per dormire la sera, mentre lei usciva. Ci ha insegnato tantissimo. Una notte ci disse che molti facevano l’amore con lei, ma nessuno l’amava. Dopo sei mesi l’hanno trovata morta di freddo in un giardino. Abbiamo solo potuto seppellirla. È lei la madrina della nostra casa».

A Pian di Scò oggi si accolgono mamme bambini e ragazze in gravissimo disagio, spesso in emergenza abitativa. Niente soldi pubblici per scelta, la Fraternità fa parte della Caritas, fa progetti e vive di offerte. È strutturata in modo tale che in ogni stanza stiano mamme di nazionalità diverse. «Tra le tensioni e le difficoltà, l’obiettivo è imparare che la diversità può essere scomoda, ma è una risorsa. Collaboriamo con i servizi, ma il 70% delle persone viene mandata dai centri di ascolto della Caritas e siamo in rete con associazioni e imprese per l’inserimento lavorativo in modo che dopo un anno le mamme possano camminare da sole pur seguite dai servizi». In questo momento in casa ci sono 21 ospiti. In 20 anni sono state accolte 800 persone, tra cui 150 bambini. Nella casa ne sono nati 39 .

«Tanti tornano a fare i volontari per restituire, questa è la nostra forza. I poveri sono fratelli, l’importante è progettare non solo con le equipe, ma co-progettare».

Una sera terribile un bambino di due anni affetto da malformazione cardiaca morì, proprio in braccio a suor Simona. La madre glielo diede, dicendo che non si svegliava. Due giorni fa la mamma è andata nella casa annunciando che aspettava un altro figlio, mettendo le mani della religiosa sul grembo come Maria con Elisabetta. «Ora fa la volontaria e si prende cura anche di me». Il bene è circolare e ha traiettorie imprevedibili.