Sulla teologia della famiglia

di Britta Dörre

ROMA, sabato, 21 gennaio 2012 (ZENIT.org).- Perchè la Chiesa ha dato al matrimonio la dignità del Sacramento? Che c’entra la teologia con il rapporto sponsale tra uomo e donna? In che modo le relazioni tra familiari rientrano in un discorso sacramentale?

A queste ed altre domande ha voluto rispondere Carlo Rocchetta con il libro “Teologia della famiglia. Fondamenti e prospettive” pubblicato dalla EDB di Bologna.

per acuistare il libro clicca qui:

http://www.ibs.it/code/9788810408261/rocchetta-carlo/teologia-della-famiglia-fondamenti.html?shop=4533

Carlo Rocchetta è stato docente di Sacramentaria alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e alla Facoltà teologica di Firenze, è socio fondatore della Società italiana per la ricerca teologica (SIRT) e dell’International Academy for Marital Spirituality (Intams) con sede a Bruxelles.

Autore di un numero impressionate di libri e saggi è docente all’Istituto teologico di Assisi e presso le EDB dirige la collana «Corso di teologia sistematica».

Come nasce questo ampio testo sulla teologia della famiglia?

Rocchetta: Dopo più trent’anni d’insegnamento, vivo e opero da oltre un decennio in un Centro Familiare, con una comunità di coniugi, a servizio delle coppie e specialmente di quelle in difficoltà1, e non desidero altro che contribuire – nel mio piccolo – alla proclamazione del progetto di Dio sulla famiglia e all’animazione di una pastorale familiare adeguata alle complesse situazioni odierne. Lo studio si colloca in questo ambito. Sarò felice – e ringrazio fin d’ora Dio – se il volume, frutto di un lungo percorso d’indagine e d’impegno quotidiano con gli sposi e i loro figli, potrà rappresentare un contributo concreto alla riflessione teologica sulla famiglia. Non ho la pretesa – e ne sono ben cosciente – di aver elaborato col mio volume una verifica esaustiva del tema; mi basta averne individuato i fondamenti e le prospettive di fondo, non indulgendo su questioni meramente speculative; fondamenti e prospettive che spero possano rappresentare un itinerario utile per l’oggi della comunità cristiana e la sua missione, a servizio della famiglia e della sua evangelizzazione

In che senso si può parlare di “teologia della famiglia”?

Rocchetta: La dizione “teologia della famiglia” non vanta una lunga storia; risulta anzi piuttosto recente. Fino alla prima metà del XX secolo si usava quasi solo quella di “teologia del matrimonio”. La famiglia era considerata più come una realtà di ordine sociologico, morale o giuridico che propriamente dogmatico. Non esiste, a tutt’oggi, una sintesi organica e sufficientemente articolata di teologia della famiglia. Gli apporti pionieristici, pur meritevoli, si limitavano a combinare tematiche antropologiche con preoccupazioni etiche. Due limiti di fondo sembrano permanere a livello dogmatico: 1°. la teologia continua ad analizzare il matrimonio più nell’atto della sua nascita (in fieri) che nella sua permanenza come comunità sacramentale (in factum esse), insistendo sulla costituzione del sacramento piuttosto che sul sacramento costituito; 2°. la comunità familiare viene pensata più come un allargamento dell’identità della coppia che come una comunione nuziale di persone: comunità di vita e di amore indirizzata a diventare, in forza dell’evento celebrato, comunità di grazia e di salvezza per gli sposi e i figli, “piccola Chiesa” nella grande Chiesa.

Quale l’attualità del suo testo?

Rocchetta: L’attualità emerge dalle sfide che si pongono oggi alla famiglia. Da anni è sempre più accentuata la tendenza a parlare più di “famiglie” che di “famiglia”, quasi che “la” famiglia al singolare non esista più o sia comunque destinata a scomparire, in nome di una pluralità di aggregazioni molto differenziate tra loro, variamente qualificate. Il fenomeno non si presenta come un dato marginale o limitato, ma come sempre più diffuso a livello nazionale e mondiale. A quali esiti può condurre un fenomeno di questo genere? Esiste un’idea comune di famiglia, al di là delle variabili legate alle singole culture o epoche? Come rispondere alle nuove istanze? Quale contributo la teologia è in grado di fornire per motivare la visione cristiana del matrimonio e della famiglia? Sono interrogativi complessi, legati anche a scienze umane come l’etnografia, l’antropologia culturale, la sociologia, la biologia, ma su cui occorre soffermarsi, liberi da pregiudizi ideologici siano essi di stampo marxista o neoliberista, strutturalista o scientista. Il testo “Teologia della famiglia” intende rispondere a questi interrogativi, fornendo una quadro di antropologia teologica e di indigine biblico-storico-dogmatica il più possibile adeguata alle nuove sfide.

Qual è il filo rosso che lega in unità le sei parti del volume?

Rocchetta: Il filo rosso è fornito da una parola chiave di tutta la mia ricerca teologica: la parola “tenerezza”. Dio è tenerezza e col dono della grazia salvifica trasforma la tenerezza dell’uomo e della donna in tenerezza teologale. In tesa in questa ottica, la tenerezza trova il suo centro e il suo nucleo portante nella coppia/ famiglia ed è indirizzata ad allargarsi a cerchi concentrici sempre più ampi, passando per le singole persone, le mini- e macro-aggregazioni, per giungere fino all’organizzazione della vita dei popoli e del “villaggio globale”. Il problema è di essere educati alla tenerezza. Se infatti la tenerezza costituisce una qualità inscritta in ognuno di noi fin dalla nascita, essa rischia di ritrarsi nelle parti più nascoste di noi stessi, fino ad essere sostituita con attitudini esattamente contrarie come la rigidità, la durezza di cuore e l’egoismo.

Approfondire questo orizzonte – oltre a porre in luce una dimensione costitutiva del progetto di Dio – risponde all’emergenza di quel “consumismo degli affetti” imperante nella nostra cultura e dice come senza una matura affettività la famiglia non possa edificarsi come comunione di persone e realizzare la sua identità. Le crisi della coppia, il fallimento di tanti matrimoni e gli stessi disturbi di tanti giovani non hanno forse origine da questo vuoto? Solo la tenerezza come maturità affettiva edifica la comunità familiare come comunità di vita e prima comunità educante. Quanti compongono la famiglia sono chiamati ad andare a scuola di tenerezza, superando ogni forma di analfabetismo in questo campo e imparando ad arricchirsi reciprocamente dei talenti di cui ognuno è portatore, per costruire, insieme, un “noi”, una famiglia che si offra come “casa di tenerezza” per tutti, compresa la comunità ecclesiale e la società.

Lei parla di famiglia come comunità della tenerezza di Dio. Può spiegarsi?

Rocchetta: Non è comune, in teologia, qualificare la famiglia come comunità di tenerezza. E’ frequente la definizione di famiglia come “comunità di amore”, ma non è esattamente la stessa cosa. La tenerezza costituisce il páthos dell’amore e – come si avrà modo di verificare – mette in evidenza un sentire affettivo che solo indirettamente è contemplato dalla categoria di “amore”. Naturalmente “amore” e “tenerezza” si intrecciano e non possono stare l’uno senza l’altra, ma formalmente si distinguono. La prospettiva della comunità familiare come “comunità di tenerezza” non è solo suggestiva, ma essenziale, e rappresenta uno sviluppo ulteriore per una piena comprensione teologica della famiglia. I motivi dello scarso sviluppo della prospettiva sono molteplici. Uno risiede nel confondere il termine “tenerezza” con un vago sentimentalismo romantico, riducibile a sdolcinature o ad un’attitudine emotiva epidermica; ma non è così: il sentimento della tenerezza, se bene inteso, rappresenta un sentimento forte, non debole, e coincide con la maturità affettiva, e suppone il superamento di ogni forma di superficialità. Un secondo motivo è dato dal ritardo con cui il pensiero cristiano ha affrontato la teologia dei sentimenti; ritardo derivante, tra i tanti fattori, dall’influsso di un medio-platonismo in base a cui tutto ciò che riguardava la corporeità, i sensi e la sensibilità, sarebbe stato di livello inferiore rispetto alla pura spiritualità. Una visione dualista che ha influito più di quanto si pensi sull’acquisizione di una riflessione cristiana in grado di leggere la famiglia come comunità affettiva, con l’assunzione del sentimento della tenerezza quale anima e struttura portante della comunione nuziale che fonda la famiglia. Come un microsistema relazionale, la comunità familiare infatti non nasce, non si edifica e non può durare che sulla base di una concreta, autentica e matura relazione di affetto tra gli sposi, i genitori e i figli.