Sul crocifisso Europa al bivio

La Corte costituzionale tedesca ha annullato il 1° dicembre scorso una legge del Senato di Berlino, che prevedeva la parziale apertura domenicale degli esercizi commerciali. La Corte ha stabilito che la legge violava il principio costituzionale che garantisce «la destinazione della domenica al riposo e all’elevamento spirituale». Questo principio si trovava già nella Costituzione di Weimar, la prima delle Costituzioni novecentesche cosiddette lunghe, che cioè, come la nostra Carta fondamentale, non si limitano all’ordinamento delle istituzioni e alla garanzia delle libertà civili, ma tutelano diritti sociali e valori non individualistici.

Se si ragionasse come ha fatto la Corte dei diritti umani di Strasburgo, quando ha condannato l’Italia per la normativa che prevede l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, si dovrebbe dire che quanto deciso dalla Corte costituzionale tedesca sul riposo domenicale è lesivo dei diritti umani di chi non crede, o di chi professa una religione che prevede un diverso giorno festivo.

In effetti, dalle due decisioni emergono in modo emblematico modi diversi di intendere la tutela dei diritti nel mondo contemporaneo. C’è una logica individualistica, per la quale ogni pretesa, richiesta, punto di vista del singolo assume la veste giuridica del diritto umano fondamentale; e c’è una logica sociale, che gradua la tutela alla luce dell’interesse di cui si chiede la protezione e del bilanciamento con altri interessi, condotto alla luce dei valori che fondano la convivenza, tra i quali l’identità nazionale, intesa come tradizione storico-costituzionale.

L’Europa è oggi al bivio tra queste due concezioni. Per questo, a mio avviso, la "questione del crocifisso" ha una portata che va oltre gli aspetti, pur molto rilevanti, dei quali si è fin qui prevalentemente discusso. Per comprenderne la portata, sono forse utili anzitutto alcune precisazioni sul significato e gli effetti giuridici della sentenza della Corte di Strasburgo.

Si è detto che la sentenza non potrà avere effetti pratici perché il governo e le forze parlamentari hanno affermato la loro contrarietà. Si è sottolineato, in secondo luogo, che la decisione non promana dall’Unione europea, essendo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Corte di Strasburgo inserite nel diverso meccanismo istituzionale costituito dal Consiglio d’Europa. Le cose non stanno così.

Per quanto riguarda il primo aspetto, se la "Grande camera" confermerà la sentenza, anzitutto non potrà non fare altrettanto per altri ricorsi individuali, assicurando a ciascuno dei ricorrenti l’equa soddisfazione patrimoniale, che nel caso deciso è stata quantificata in cinquemila euro. Inoltre, se i ricorsi si moltiplicheranno la Corte potrà sollevare la questione del "deficit strutturale" presente in materia nell’ordinamento italiano, e sottoporla al Comitato dei ministri del Consiglio. Infine, è immaginabile che il tema torni alla Corte costituzionale, che ha di recente enunciato il principio per il quale le norme della Convenzione, così come interpretate dalla Corte, prevalgono sulla legislazione italiana, salva la verifica di costituzionalità.

Per quanto riguarda il rapporto con l’Unione europea, va ricordato che il Trattato di Lisbona ha previsto l’adesione dell’Unione alla Cedu. Non è da escludere tra l’altro che la nostra Corte costituzionale assimili i due sistemi: e va segnalato che per la Consulta il diritto dell’Unione prevale anche sulle norme costituzionali, salva la verifica dell’eventuale violazione di "principi supremi" e diritti inalienabili. La "questione del crocifisso", insomma, rimane giuridicamente aperta.

A me pare che per affrontarla in modo adeguato, sia utile collocarla in un contesto più ampio, che riguarda la concezione dei diritti che si viene affermando in Europa, e il rapporto tra giurisdizione europea e identità costituzionale italiana.

Quanto al primo aspetto, va segnalata la differenza sostanziale tra la concezione dei diritti assunta dalla nostra Costituzione e quella prevalente nei due sistemi europei, in via di unificazione, di cui si è detto. In Europa prevale infatti una concezione individualistica dei diritti, che si accompagna alla moltiplicazione dei medesimi, e che è diversa dall’impianto della nostra Carta fondamentale.

Manca, alla prima, quella esigenza di contemperamento tra diritti individuali e doveri di solidarietà, che la nostra Costituzione enuncia in modo mirabile nell’art. 2, e ripropone poi nell’articolazione della sua
Parte prima.

Questa diversità di concezione emerge nei principi in tema non solo di rapporti etico-sociali, ma anche di rapporti economici. Per questi si assiste a una vera e propria regressione ottocentesca, che assimila i diritti patrimoniali e le libertà economiche ai diritti umani fondamentali, riproponendo l’antica endiadi proprietà-libertà. Viene così colpito quel nucleo portante della nostra Carta fondamentale, significativa sintesi tra la dottrina sociale cristiana e le posizioni della sinistra, che è costituito dal principio personalistico e dal principio lavorista (per usare i concetti di Costantino Mortati), che si traducono, per i rapporti economici, nei principi della funzione sociale della proprietà privata e dei limiti dell’utilità sociale e della dignità e sicurezza della persona apposti all’iniziativa economica privata. Una sintesi che era stata auspicata, con grande antiveggenza, quarant’anni dopo la Rerum novarum, da Pio XI nella Quadragesimo anno.

La pretesa di impedire all’Italia l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche si inserisce allora in un ampio e inquietante contesto: la dimensione "sociale" scompare, e con essa la necessità del bilanciamento di valori, interessi, "diritti".

Da tempo, la Corte costituzionale è impegnata nel tentativo di elaborare un "principio di laicità" coerente alla nostra normativa costituzionale e alla nostra tradizione, che risulti dal concorso, e non dalla contrapposizione, di valori diversi: la libertà individuale, il pluralismo religioso e il riconoscimento del «cristianesimo come parte del patrimonio storico del popolo italiano». Questi valori – dice la Consulta (sentenza 203 del 1989) – «concorrono a descrivere l’attitudine laica dello Stato-comunità, che risponde non a postulati ideologici e astratti […] ma si pone a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini». È giusto che al tentativo di elaborare un principio di laicità fondato, giuridicamente e storicamente, sulla nostra tradizione (sulla nostra Costituzione e sulla nostra storia) si sovrappongano diktat espressivi di un’ideologia apparentemente moderna, in realtà per più aspetti regressiva e prenovecentesca?

E qui subentra il secondo aspetto istituzionale cui facevamo riferimento: la progressiva affermazione di un "governo dei giudici" europei, che a colpi di sentenze si sostituiscono alle sedi (democratiche e giurisdizionali) degli Stati nazionali. E ciò andando, molto spesso, oltre il testo dei Trattati, che prevedono il principio di sussidiarietà e la tutela delle "identità costituzionali" nazionali (rivendicata, in un’importante sentenza del 30 giugno scorso, dalla Corte costituzionale tedesca).
Per tale via si vengono affermando principi giuridici individualistici e liberisti, che si sostituiscono in modo surrettizio e non democratico a quelli della nostra Costituzione e della nostra tradizione.

La "questione del crocifisso" non può e non deve essere isolata, quindi, dal grande tema della necessità di reagire (anche nelle sedi istituzionali, come il Parlamento e la Corte costituzionale) alla tendenza alla disgregazione individualistica del tessuto sociale.

È da augurarsi che questa non sia materia per gli scontri politici irrazionali ai quali ci ha purtroppo abituato negli ultimi anni la politica italiana, e divenga invece l’occasione per un grande dibattito pubblico sui valori e sui principi in base ai quali si sta costruendo l’Europa.

Cesare Salvi  – avvenire