«Solo la cultura potrà curare le ferite di guerra»

Mikhail Shishkin è uno dei più importanti romanzieri russi contemporanei. Da metà degli anni ’90 vive a Zurigo, dove lavora come insegnante e traduttore per i rifugiati e si dedica alla scrittura. Da anni si oppone dichiaratamente al governo di Putin. Poche righe, a disegnare una nota biografica che sintetizza l’uomo e lo scrittore, di cui è appena stato pubblicato in Italia per 21lettere Punto di fuga (pagine 448, euro 19,50), romanzo che raccoglie le lettere che due giovani innamorati russi separati dalla guerra si scambiano negli anni, distanti nello spazio e nel tempo, così come nelle condizioni deumanizzanti dalla guerra, nella quotidiana insofferenza, in una separazione che è a sua volta metafora della condizione umana. «Solo le parole giustificano in qualche modo l’esistenza delle cose, danno un senso all’attimo, rendono reale l’irrealtà, mi rendono me stesso», scrive Shishkin, al quale abbiamo chiesto se il potere delle parole potrà salvarci: «Le parole siamo noi – ha risposto –. Diamo il senso alle parole e alla nostra esistenza. Diamo il potere alle parole. Dipende da noi: le parole uccideranno e cominceranno guerre o saranno piene di calore umano».

Lei da anni è un oppositore del governo Putin. Nel 2013 ha rifiutato di rappresentare la Russia all’Usa Book Expo proprio per la politica estera di Putin in Crimea e da anni è impegnato nella valorizzazione della cultura e della letteratura russe. Cosa pensa di questa guerra?

Nel 2014 ho scritto in un saggio pubblicato sul “Guardian”: «Il buco nero nell’universo è l’anima di un uomo che invecchia molto solo. Il buco nero è la sua paura. Russia e Ucraina sono già cadute in questo buco nero. E ora sta risucchiando l’Europa davanti ai nostri occhi». Ho scritto della guerra che Putin ha dichiarato all’Occidente, ma chi ascolta gli scrittori? Ora stiamo tutti scivolando direttamente in questo buco nero. Questa guerra è iniziata non la mattina presto del 24 febbraio, ma nel 2014 con l’aggressione contro l’Ucraina e l’annessione della Crimea. Nel 2018 ho fatto appello per boicottare il Campionato mondiale di calcio, ma i profitti del calcio erano molto più importanti della dignità umana e della solidarietà con l’Ucraina. Dopo quattro anni di guerra e migliaia di morti e feriti, tutte le nazioni sono andate a giocare a calcio davanti a Putin. Il dittatore lo percepiva come un silenzioso riconoscimento della sua aggressività. La strada per la tragedia di oggi era aperta.

C’è una foto che è diventata simbolo della resistenza ucraina in questi giorni di guerra: una finestra di una casa di Kiev in cui sono stati impilati dei libri, come a proteggersi da quanto sta accadendo fuori. Quanto può fare la cultura per contrastare questa guerra?

È un’immagine molto potente. Ahimè, anche i migliori libri dell’umanità non possono fermare la guerra. È successo alla grande letteratura tedesca che non ha potuto impedire Auschwitz. È successo alla grande letteratura russa che non ha potuto fermare il Gulag. La grande letteratura è una grande perdente? L’unica cosa che ha potuto fare è stato aiutare a sopravvivere. Ora, nel XXI secolo, abbiamo la stessa tragedia: i libri non possono impedire la guerra, i libri possono solo aiutare a sopravvivere. A ogni modo, per contrastare l’odio e il dolore abbiamo un solo rimedio: la cultura. Dopo la guerra – e sono sicuro che il regime di Putin sarà sconfitto – avremo bisogno della cultura per stabilire i legami umani tra il popolo ucraino e quello russo, per superare l’odio e il dolore. Cultura, letteratura, musica: tutto questo è l’unico modo per umanizzarci tutti.

Da anni lei vive in Europa. Questa distanza dal mondo russo, la condizione di lontananza, come influenzano il suo rapporto con la sua cultura d’origine?

Vivo in Europa nel XXI secolo e non sono emigrato dalla Russia. Ma il mio Paese è emigrato dal XXI secolo nel Medioevo. E la cosa peggiore è che molti russi sostengono questa guerra. La televisione russa ora trasmette più volte un’intervista al famoso attore Sergej Bodrov, una figura di culto in Russia: «Durante una guerra non si può parlare male di sé stessi. Anche se si sbaglia. Anche se il tuo Paese ha torto durante la guerra, non dovresti parlarne male». Ed è quello che fanno le persone. Questo è il dramma della mia patria: una piccola parte dei miei compatrioti è pronta a vivere in una società democratica e ad assumersi la responsabilità di tutto ciò che accade nel Paese, ma la stragrande maggioranza si inchina ancora al potere e accetta questo stile di vita. Se, nel corso delle generazioni, chiunque pensi con la propria testa alla vita viene spazzato via, le uniche qualità che prevarranno e renderanno possibile la sopravvivenza saranno il silenzio e la soddisfazione delle autorità. Ma si possono incolpare queste persone se quella è la loro unica strategia di sopravvivenza? Dove finisce oggi chi non tace? In galera. Oppure emigra prima che sia troppo tardi. Alcune persone coraggiose continuano a protestare anche se sanno che perderanno il lavoro, la famiglia, la libertà.

Sente di avere una responsabilità come scrittore e intellettuale? Come definirebbe le responsabilità politiche degli scrittori e degli artisti?

Posso dire che ho fatto il possibile per prevenire questa guerra durante tutti gli anni in cui ho scritto e parlato contro il regime di Putin, ma non ha aiutato. La responsabilità di un intellettuale è la stessa di tutti e di tutta la nazione insieme. Un nuovo inizio democratico in Russia è impossibile senza pagare un prezzo e riconoscere la colpa nazionale. Non c’è stata destalinizzazione in Russia e non ci sono stati processi di Norimberga per il Partito Comunista. Ora il destino della Russia dipende dalla deputinizzazione. Questa guerra continua in nome della Russia, del mio popolo. Noi russi, tutti noi, dobbiamo riconoscere apertamente e coraggiosamente la nostra colpa e chiedere perdono. Questo percorso è inevitabile per tutti i russi.

Il suo libro è un libro d’amore, ma non solo. È anche un libro che parla di comunicare quando comunicare è quasi impossibile. Ed è un libro di lettere. Le lettere sono fatte per restare nel tempo. Oggi forse sarebbero messaggi sul cellulare. Pensa che il contesto cambierebbe il significato che queste lettere rappresentano?

Le parole sono parti di noi. Le parole scritte diventano i nostri corpi dopo che ce ne andiamo da questa terra. Non importa se scriviamo su carta o su un dispositivo elettronico, l’importante è ciò che scriviamo. Avevo scritto questo libro prima dell’inizio della guerra, ma sapevo che questa guerra sarebbe arrivata. Volevo trovare una metafora di questa guerra a cui mandare il mio Volodya. Il mio Volodya è andato a questa guerra futura. Ora centinaia e migliaia di Volodya muoiono ogni giorno e ogni notte.

In una frase del libro lei scrive: «Io so che tu esisti. E tu sai che io esisto. E questo fa si? che io, qui, dove tutto è alla rovescia, sia reale». A guardare le cose dal nostro punto di vista viene il pensiero che tutto sia alla rovescia, ma purtroppo è reale. Quanto è distante la realtà dalla sua rovescia? Come possiamo farci un’idea di come andrà a finire?

Penso che tutte le persone sulla terra vorrebbero svegliarsi nel mondo senza questa guerra e senza l’orribile idea della catastrofe nucleare. Chissà cosa potrebbe rendere pazzo il dittatore nella sua disperazione? Hitler non possedeva il “pulsante rosso”, ma Putin sì. E questo è ora il nostro mondo reale. Ma esistiamo anche con le nostre speranze, le famiglie, i figli, l’amore, i libri. L’arma principale di Putin è la nostra paura. Se moriamo solo di paura, vincerà. Sono sicuro che i dittatori vengono, costruiscono la loro realtà di guerra capovolta, ma poi se ne vanno. Ma le nostre speranze, l’amore, i libri, sopravvivono e creano la nostra realtà.

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Parla Mikhail Shishkin tra i maggiori scrittori russi e oppositore di Putin, «un dittatore silenziosamente riconosciuto per anni dall’Occidente, aprendo la strada alla tragedia» «Un nuovo inizio democratico in Russia è impossibile senza pagare un prezzo e riconoscere la colpa nazionale e chiedere perdono. Il destino della Russia dipende dalla deputinizzazione»

A sinistra, il profilo Facebook di Lev Ševcenko con la foto divenuta celebre dei libri a protezione della finestra e di cui discute nell’intervista Shishkin

In basso, lo scrittore russo a Lucerna

/ Epa / Philipp Schmidli