Sinodalità e diritto canonico

Dopo il discorso di papa Francesco in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi (17 ottobre 2015) e l’indizione del nuovo sinodo (15 settembre 2018), la sinodalità è diventato tema di grande fermento nella Chiesa universale, anche perché la costituzione apostolica Episcopalis communio ha predisposto una serie di indicazioni per l’assemblea, per la fase preparatoria, celebrativa e attuativa.

La Conferenza episcopale italiana ha disposto uno schema complesso (Cammino sinodale delle Chiese in Italia) con indicazioni che vedono coinvolte tutte le diocesi per diversi anni.

Lo stesso pontefice è stato molto attento al tema della sinodalità, anche mettendo in guardia dal clericalismo, grave limite di impostazione dell’azione pastorale (cf. A. Lebra, “Clericalismo”, Settimananews, 24 settembre 2020).

La Commissione teologica internazionale [CTI] ha elaborato in un suo documento (La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa – 2 marzo 2018), definendo che cosa si intende per sinodalità: «indica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa popolo di Dio, che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla missione evangelizzatrice» (n. 6).

Sacerdozio gerarchico e sacerdozio comune
Occorrerà attendere la celebrazione del Sinodo per accoglierne le indicazioni. È utile far emergere le contraddizioni delle disposizioni canoniche attuali rispetto allo spirito di comunione: un terreno lasciato incolto perché rimangono irrisolti nodi teologici, prima che pastorali e giuridici.

Il Concilio nella Lumen gentium ha dedicato il capitolo secondo al sacerdozio comune dei fedeli, chiedendo una linea di continuità tra laici e chierici: «Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo» LG n. 1).

Ma il testo della Lumen gentium non affronta il modo di relazionarsi tra sacerdozio gerarchico e sacerdozio comune. Ne deriva così una duplice lettura: «la visione alternativa tra una visione del ministero ancorata all’agire in persona Christi e una visione di rappresentanza della comunità che sembra compromettere quella costituzione gerarchica della Chiesa affermata nel capitolo III della Lumen gentium» (Aa.Vv., Commentario al documenti del Valicano II, vol. 2, Lumen gentium , Bologna, EDB, 2015, p. 167).

La discussione sulla sinodalità, per essere espressione specifica di comunione nella Chiesa, deve affrontare l’approfondimento teologico e, di conseguenza, giuridico, delle relazioni popolo di Dio-gerarchia.

L’impostazione giuridica attuale della struttura ecclesiale è gerarchica e clericale. È vero che, in seguito al Concilio, il nuovo Codice di diritto canonico ha dedicato quindici canoni e un intero titolo agli obblighi e ai diritti di tutti i fedeli (cann. 208-223), ma la struttura ecclesiale è rimasta sostanzialmente ancorata alla gerarchia, così come prosegue il Codice di diritto canonico al Titolo III del Libro II.

I tanti compiti del vescovo
La nomina del vescovo avviene per mano pontificia, dopo un’informativa gestita dal nunzio pontificio competente, tutelata dal “segreto papale”.

La preghiera liturgica della sua consacrazione invoca il sommo sacerdozio: «con la forza dello spirito del sommo sacerdozio, abbiano il potere di rimettere i peccati, secondo il tuo mandato; dispongano i ministeri nella Chiesa secondo la tua volontà; sciolgano ogni vincolo con l’autorità che hai dato agli Apostoli».

Il vescovo, titolare di una diocesi, riassume i poteri legislativo, giudiziario, esecutivo del territorio. Nomina i componenti dell’organizzazione curiale nei suoi diversi uffici, compreso l’economo diocesano. Presiede alla formazione del clero e determina l’accesso al sacramento dell’ordine. Assegna le parrocchie, nominando parroci e collaboratori parrocchiali; nomina i componenti del collegio dei consultori. Pubblica gli statuti del consiglio presbiterale e del consiglio pastorale diocesano.

Può indire il sinodo diocesano senza vincoli di tempo. Nelle cause di nullità nel processo brevior stende e pubblica la sentenza. Per una eventuale vertenza nei suoi confronti, il percorso giuridico è il ricorso gerarchico, cioè a sé stesso. Può comminare pene; può ridurre allo stato laicale un presbitero. Supervisiona le associazioni cattoliche, compresi i monasteri sui iuris. È rappresentante legale della diocesi con responsabilità civile e penale.

Uguale schema si riproduce, a livelli inferiori, per l’autorità di un parroco. Egli è comunque rappresentante legale della parrocchia con le conseguenti responsabilità nei confronti dei collaboratori (consiglio economico parrocchiale, consiglio pastorale parrocchiale), nella gestione degli orari delle funzioni religiose, dei catechisti, cantori, lettori, ministri straordinari dell’eucarestia.

Nonostante ciò…
Nonostante questo schema, nelle stesse leggi canoniche ci sono tracce di partecipazione alle funzioni di santificare, insegnare governare da parte dei battezzati:

nelle azioni liturgiche (cann. 230; 910 § 2; 911 § 2; 943 ecc.)
nel ministero della Parola (cann. 759 e 766)
nell’assistenza canonica ai matrimoni (can. 1112)
nella cura pastorale delle parrocchie (can. 517 § 2)
nell’azione missionaria propriamente detta (can. 783)
in uffici e incarichi ecclesiastici vari (cari. 228 ½ 1-2)
nell’amministrazione dei beni ecclesiastici (can. 1282)
nella celebrazione del sinodo diocesano (cann. 460 e 463 § 2)
nell’esercizio della potestà di governo (can. 129 § 2)
nell’attività giudiziaria dei tribunali ecclesiastici: in qualità di giudici (can. 1421 § 2), come assessori-consulenti (can. 1424), come uditori (can. 1428 § 2), come promotori di giustizia e difensori del vincolo (can. 1435).
Ai fedeli laici è inoltre affidato il compito dell’animazione dell’ordine temporale, con il diritto-dovere di adempiere mansioni secolari (can. 225 § 2) ivi compresa la facoltà di istituire associazioni di fedeli (cann. 298-329), secondo le finalità proprie di associazioni cattoliche (culto, pastorale, carità).

Non esistono dunque obiezioni teologiche e giuridiche alla partecipazione più ampia alle funzioni di santificare, insegnare, governare nella Chiesa.

Addirittura in alcune parti del mondo l’applicazione concreta di tali funzioni è già in atto (si pensi alle missioni).

Sono stati fatti molti sforzi per giustificare teologicamente e giuridicamente la prevalenza – impropria – almeno nelle funzioni, della gerarchia. Spesso la giustificazione apportata è addirittura teologica («così ha voluto Cristo»), manipolando la stessa teologia. Che tale ingerenza/prevaricazione possa essere figlia di potere/gelosia è un sospetto lecito.

Ridimensionare l’impostazione gerarchico-clericale
Gli schemi partecipativi rischiano di essere ridotti a “liturgie” inefficaci e addirittura farisaiche. Nessuna vera partecipazione può dichiararsi tale se è limitata alla semplice consultazione e/o “consiglio”.

È dunque un problema invocare sinodalità con un’impostazione totalmente gerarchico-clericale, nonostante lo sforzo della definizione delle tre fasi di celebrazione del sinodo da parte della CEI in narrativa (2021-2023), sapienziale (2023-2024), profetica (2025) a cui seguiranno indicazioni di scelte evangeliche fino al termine del decennio (2030).

La conclusione si può dedurre dalle parole della stessa commissione teologica: «Molti restano i passi da compiere nella direzione tracciata dal Concilio. Oggi, anzi, la spinta a realizzare una pertinente figura sinodale della Chiesa, benché ampiamente condivisa e abbia sperimentato positive forme di attuazione, appare bisognosa di principi teologici chiari e di orientamenti pastorali incisivi» (n. 8). E ancora: «L’attuazione della dimensione sinodale della Chiesa deve integrare e aggiornare il patrimonio dell’antico ordinamento ecclesiastico con le strutture sinodali sorte per impulso del Vaticano II e dev’essere aperta alla creazione di nuove strutture», come ricordato da papa Francesco nel discorso di commemorazione del 50° del sinodo dei vescovi.
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