Silenzio in Italia, parte il Festival di Fazio

Cari Amici,
ogni volta ci sono tanti Festival di Sanremo. Mai uno solo.
C’è il Festival delle ipotesi: chi lo condurrà? A quale squadra creativa verrà affidato? Chi sarà il manager? ecc. C’è il Festival delle attese: quali gli interpreti in gara?
C’è il Festival degli uffici stampa, che si spalleggiano a vicenda, coinvolti in un’unica cordata: quello della Rai e quello del Comune della città ligure, che investe molto del proprio budget nella manifestazione di febbraio e poi quelli delle aziende che decidono di investire pubblicitariamente sull’evento televisivo dell’anno. Fatta idealmente la propria puntata nell’immaginaria roulette degli ascolti, tutti coloro che investono sul Festival hanno interesse che sia un’edizione di successo. Premiata dagli ascolti, celebrata dalla critica.
C’è un Festival che dura quasi una settimana, e ce n’è un altro, quello vero, che dura un anno intero. É fatto di anticipazioni e smentite, di corollari che contano molto di più degli argomenti centrali, che è cornice infinita, molto più importante del suo contenuto.
Comunque vada, Sanremo non può che essere un successo, perché la cordata degli interessi in gioco è molto vasta, intrecciata, potente.
Fabio Fazio ha scelto autori intellettuali, per alimentare la propria immagine di divulgatore di cultura e una co-conduttrice simpatica quanto dissacrante, cui deve gran parte del successo – sempre relativizzabile, peraltro − di Che tempo che fa.
Non è la sua prima volta. E il suo primo Festival, dissacrante, disincantato, con frequenti inquadrature sul parterre addormentato, ebbe successo di pubblico ma esiti ferali sull’immagine del Festival come evento.
Fazio può osare (un casting debole, pochissima attenzione al vero cuore della gara canora: chi vincerà?) perché come sua tradizione può contare in partenza su due pubblici che in genere sono inconciliabili: quelli che lo seguiranno perché Sanremo è Sanremo, unico luogo comune rimasto nella ritualità televisiva italiana, e quelli che lo seguiranno convinti di manifestare, guardandolo proprio quest’anno, la loro diversità. La loro condizione di spettatori critici, che si concedono al Festival con distacco, come fenomeno dal quale prendere facilmente le distanze, ma li porta per una volta a confrontarsi, senza miscelarsi, con il gusto della folla.
Di fronte a Sanremo, prima ancora che parta la sigla, tutti i programmi s’inchinano come i grattacieli in uno spot degli anni ’80 di Michelangelo Antonioni dinanzi ad una piccola vettura della Renault.
Il passaparola è uno solo: nessuna controprogrammazione.
Né da parte degli intellettuali che prima o poi Fazio ospiterà a presentare i loro libri, né da parte di chi potrebbe proporre alternative popolari al luogo comune più seguito dell’anno. Sfilandosi, uno per uno, i protagonisti del piccolo schermo rendono l’onore delle armi al vincitore prima ancora che sia sceso in campo. Decine di motivazioni convivono senza contraddirsi e decretano in partenza che il vero vincitore è uno solo: chi si è aggiudicato la conduzione del Festival. La profezia del successo si auto-avvera e non è difficile immaginare il coro mediatico che si leverà a salutare un trionfo annunciato. Chi ha puntato su Sanremo ha pensato proprio a tutto: anche a fare in modo che nella roulette degli ascolti rimanesse un solo colore. Che per gli italiani sia almeno una parentesi di autentico sollievo canoro.

Dino Boffo