GENNARO MATINO – avvenire 7/3/2010
Tempo di penitenza, la Quaresima esorta i cristiani a intraprendere un percorso di contrizione e pentimento. È un invito a rinascere dall’Alto per arrivare alla Pasqua liberi da ogni inutile fardello che impedisce di assaporare la gioia della salvezza, di risorgere con Cristo. La penitenza è dunque una dimensione della conversione, ma lungi dall’essere un atteggiamento passivo, di mortificazione fine a se stesso, induce i cristiani a invertire la rotta. Fare penitenza significa lottare non solo per resistere alla tentazione di vivere pensando solo a se stessi, ma per convertire il male in bene, ponendo rimedio ai danni procurati.
Nel passato il percorso penitenziale dava maggiore risalto alla dimensione intimistica e personale, alla necessità di recuperare il rapporto con Dio per superare l’abisso del peccato considerato come rottura dell’amicizia con il Cielo e con il prossimo. Oggi, pur rimanendo immutato questo aspetto della penitenza, è necessario sottolineare in maniera più marcata la relazione tra penitenza, conversione e responsabilità sociale. Di fatto, le ‘ strutture di peccato’, pur essendo radicate nel peccato personale di singoli uomini, sovrastano ormai la nostra società al punto tale da condizionare scelte e stili di vita dell’intera collettività caduta nel baratro del peccato sociale. Un peccato che non può essere superato solo con la conversione delle singole persone perché deriva da individui nella loro esistenza associata, nel loro essere gruppo. È un peccato organizzato e come tale chiama in causa la responsabilità collettiva, la conversione di un sistema che determina conseguenze distruttive. La corruzione ad esempio è certamente un peccato originato da un singolo individuo, tuttavia se costui lavora al servizio di una struttura che giustifica la corruzione come necessaria al sistema, ben venga la sua conversione, ma non basterà. Per invertire la rotta occorre la rivoluzione dell’intero apparato. « È egualmente sociale ogni peccato commesso contro la giustizia nei rapporti sia da persona a persona, sia dalla persona alla comunità, sia ancora dalla comunità alla persona… Sociale è ogni peccato contro il bene comune e contro le sue esigenze, in tutta l’ampia sfera dei diritti e dei doveri dei cittadini. ( Reconciliatio et Paenitentia, n. 16) » .
Gesù inaugura il tempo quaresimale gridando il vangelo, sperando che i suoi seguaci, capaci di conversione, lo agguantino per trasformare la terra in regno di bene. E quando dice: « Se non vi convertite, perirete » ( Lc 13,3 ) non intende certo lanciare un anatema, ma metterci in guardia contro scelte sbagliate che potrebbero distruggere il pianeta, trasformando ogni ricchezza in povertà.
Il richiamo, allora, è al singolo, ma inevitabilmente è alla società in cui ognuno vive, perché la conversione totale dell’individuo necessita anche del cambiamento della rete dei rapporti che lo formano come persona.
L’uomo avulso dalla società è pura astrazione: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Giusto, quindi, chiedere la contrizione individuale, la conversione dei cuori, ma ancora più importante è chiamare la collettività alla penitenza. C’è legame, oggi, tra il ritenersi cristiani e le scelte decisionali nel mondo del lavoro, nella realtà sociale? C’è coerenza tra il vivere da cristiani e l’accettare i compromessi del mondo istituzionale? La politica si può coniugare con la scelta credente? La risposta è certamente sì, a condizione di essere uomini di penitenza in strutture capaci di conversione.
Non si può rinascere dall’Alto, non si può ristabilire l’amicizia con Dio se non si lotta come collettività contro il peccato sociale per il bene comune, perché « se uno dicesse: ‘ Io amo Dio’, e odiasse il suo fratello, è un mentitore » ( 1 Gv 4,20). Se la fede vive solo la domenica in chiesa, non può esservi etica. L’ambiguità diventa sistema e il dirsi cristiano un banale intercalare.
Tempo di penitenza, la Quaresima esorta i cristiani a intraprendere un percorso di contrizione e pentimento. È un invito a rinascere dall’Alto per arrivare alla Pasqua liberi da ogni inutile fardello che impedisce di assaporare la gioia della salvezza, di risorgere con Cristo. La penitenza è dunque una dimensione della conversione, ma lungi dall’essere un atteggiamento passivo, di mortificazione fine a se stesso, induce i cristiani a invertire la rotta. Fare penitenza significa lottare non solo per resistere alla tentazione di vivere pensando solo a se stessi, ma per convertire il male in bene, ponendo rimedio ai danni procurati.
Nel passato il percorso penitenziale dava maggiore risalto alla dimensione intimistica e personale, alla necessità di recuperare il rapporto con Dio per superare l’abisso del peccato considerato come rottura dell’amicizia con il Cielo e con il prossimo. Oggi, pur rimanendo immutato questo aspetto della penitenza, è necessario sottolineare in maniera più marcata la relazione tra penitenza, conversione e responsabilità sociale. Di fatto, le ‘ strutture di peccato’, pur essendo radicate nel peccato personale di singoli uomini, sovrastano ormai la nostra società al punto tale da condizionare scelte e stili di vita dell’intera collettività caduta nel baratro del peccato sociale. Un peccato che non può essere superato solo con la conversione delle singole persone perché deriva da individui nella loro esistenza associata, nel loro essere gruppo. È un peccato organizzato e come tale chiama in causa la responsabilità collettiva, la conversione di un sistema che determina conseguenze distruttive. La corruzione ad esempio è certamente un peccato originato da un singolo individuo, tuttavia se costui lavora al servizio di una struttura che giustifica la corruzione come necessaria al sistema, ben venga la sua conversione, ma non basterà. Per invertire la rotta occorre la rivoluzione dell’intero apparato. « È egualmente sociale ogni peccato commesso contro la giustizia nei rapporti sia da persona a persona, sia dalla persona alla comunità, sia ancora dalla comunità alla persona… Sociale è ogni peccato contro il bene comune e contro le sue esigenze, in tutta l’ampia sfera dei diritti e dei doveri dei cittadini. ( Reconciliatio et Paenitentia, n. 16) » .
Gesù inaugura il tempo quaresimale gridando il vangelo, sperando che i suoi seguaci, capaci di conversione, lo agguantino per trasformare la terra in regno di bene. E quando dice: « Se non vi convertite, perirete » ( Lc 13,3 ) non intende certo lanciare un anatema, ma metterci in guardia contro scelte sbagliate che potrebbero distruggere il pianeta, trasformando ogni ricchezza in povertà.
Il richiamo, allora, è al singolo, ma inevitabilmente è alla società in cui ognuno vive, perché la conversione totale dell’individuo necessita anche del cambiamento della rete dei rapporti che lo formano come persona.
L’uomo avulso dalla società è pura astrazione: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Giusto, quindi, chiedere la contrizione individuale, la conversione dei cuori, ma ancora più importante è chiamare la collettività alla penitenza. C’è legame, oggi, tra il ritenersi cristiani e le scelte decisionali nel mondo del lavoro, nella realtà sociale? C’è coerenza tra il vivere da cristiani e l’accettare i compromessi del mondo istituzionale? La politica si può coniugare con la scelta credente? La risposta è certamente sì, a condizione di essere uomini di penitenza in strutture capaci di conversione.
Non si può rinascere dall’Alto, non si può ristabilire l’amicizia con Dio se non si lotta come collettività contro il peccato sociale per il bene comune, perché « se uno dicesse: ‘ Io amo Dio’, e odiasse il suo fratello, è un mentitore » ( 1 Gv 4,20). Se la fede vive solo la domenica in chiesa, non può esservi etica. L’ambiguità diventa sistema e il dirsi cristiano un banale intercalare.