Schuster e la forza della fragilità

Sarà per caso che da qualche tempo le ricognizioni sulla nostra storia recente portino alla ribalta figure grandi di vescovi grandi, che della loro missione hanno fatto esempio di paternità? Abbiamo seguito commossi i funerali del cardinal Martini, a Milano: e Speciale Tg1 domenica notte, ha ricordato con un documentario esemplare – per scrittura e scelta degli interventi, ritmo e pacatezza, fervore e lucidità di analisi – la figura di Ildefonso Schuster, che per 25 anni fu vescovo di Milano durante il fascismo, la guerra e il dopoguerra. «Scommettere sull’Italia», è infatti il sottotitolo che si rifà alla volontà di riscossa civile e umana, dopo gli orrori della guerra civile, che seminarono il riscatto italiano. Le parole di Mussolini («L’identità dell’Italia fascista è perfetta e inalterabile») e quelle del Cardinale («La politica è la forma più alta di carità») hanno introdotto una ricognizione biografica rigorosa. Il figlio di uno zuavo papale bavarese, che si stabilisce a Roma ma muore lasciando i due figli affidati alla carità, la giovinezza di studi, malgrado la salute malferma, e il monaco benedettino Schuster è pronto per una vita di dedizione, che nel 1929, non ancora vescovo, lo porta a Milano e a un’inarrestabile manifestazione di cura e premura nell’attività pastorale. Una figura piccola e scarna di potente fascino, la sua. Chi scrive ne ha un ricordo “magico”, il rito della Cresima nell’ombra del Duomo: e la piccola figura luminosa, la mano lieve del Cardinale che le sfiora la fronte e gli occhi remoti e acuti che si fissano nei suoi come in un lampo. «Era leggero, sembrava volasse» ricorda monsignor Manganini, e l’immagine gli richiama un sorriso. Ma l’apparente fragilità era sorretta da una inflessibile disciplina volta al dovere e al compito prefisso: in cui – come il documentario ben sintetizza – la sua vita fu accorata prova d’amore, quello della carità, cui dedicò tutto se stesso con coraggio grande e tenacia inarrestabile.

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