«Sbarrette» di cioccolato. Caffè, dolci e pizza: così i detenuti imparano l’alta cucina

Si cucina secondo le regole della cucina in cella, e quindi con coltelli e ferraglia al bando, ma è gara vera. Di sapori e di fantasia. I detenuti della casa circondariale di Rebibbia, alla periferia di Roma, italiani e stranieri, hanno cominciato stamani presto, nel cortile del carcere, a improntare un pasto, con ingredienti dei rispettivi territori di provenienza, consegnati oggi per l’occasione, e utensili ricavati da barattoli e scatolame, che, per chi s’arrangia e sa vivere d’ingegno, possono diventare grattugie e scolapasta. Le pentole ci sono, ma nei formati mini consentiti.

L’obiettivo è presentarsi a mezzogiorno davanti a una giuria di esperti per vincere la gara di cucina galeotta. Ma soprattutto per vivere una giornata piena di sapori di casa, in una mattinata di scambio con la società oltre le sbarre. Per un convivio che ha anche il buon sapore dell’orgoglio e della condivisione.

Sono otto le squadre i gara, tra le quali la “Rappresentanza dell’Africa unita”, il “Venezuela” e il “Magreb”, in questa iniziativa ‘Incontro tra i popolì promossa da una dozzina di anni dall’associazione Vic-Volontari in Carcere. Hanno vinto la squadra della ‘Fraschettà, per il gusto, il “Venezuela”, per l’estetica del piatto, e gli “Amici per sempre”, per l’originalità della pietanza.

Ma nei carceri italiani c’è anche l’alta cucina. A Napoli i corsi per diventare pizzaioli, mentre a Torino, nella casa circondariale Lorusso e Cutugno, c’è una torrefazione rinomata che lavora chicchi di caffè presidio Slow Food e seleziona cacao per poi fornire miscele tostate e “sbarrette” cioccolato ai negozi più in voga nel mondo gourmet.

Crescono la produzione alimentare di provenienza carceraria, e l’attenzione del pubblico, ma anche della critica di settore, per il fenomeno che ormai trova esempi in oltre 60 penitenziari italiani. In alcuni casi con produzioni squisite, come la pasta di mandorla realizzata dai detenuti di Siracusa o la ‘cucina galeottà, tema della gara odierna tra detenuti della casa circondariale di Rebibbia, a Roma.

Secondo una recente rielaborazione Gambero Rosso, su dati Aiab, in una sessantina di penitenziari sono circa 400 i reclusi impegnati nel food & wine, ai quali vanno aggiunti i circa 220 delle colonie agricole, dalla Sardegna all’isola di Gorgona, che rappresentano il 4,4% della popolazione carceraria che lavora. A questi numeri si devono aggiungere le aziende agricole, le Onlus, le cooperative che ospitano ex carcerati e detenuti in articolo 21, quelli che svolgono attività lavorative fuori dell’istituto. Numeri poco ‘ristrettì dunque, che comprendono anche attività artigianali, di ristorazione e del catering.

Nel pieno rispetto delle tipicità di territorio. A Sulmona per l’aglio rosso, a San Gimignano per lo zafferano, le uova di quaglia a Milano Opera, e ovviamente a Pozzuoli per il caffè “Lazzarelle”. Con nomi di fantasia che indicano tanta libertà almeno di pensiero, come i vini del carcere di Velletri: Fuggiasco, Le Sette Mandate, Recluso, Fresco di Galera. E il “Valelapena”, un corroborante vino rosso frutto della vigna di
un ettaro nella casa circondariale G. Montalto ad Alba (Cuneo).

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