Sanremo 2023. Festival: grande musica, appelli per l’Iran

Gianni Morandi, Albano e Massimo Ranieri insieme all'Ariston

Gianni Morandi apre la seconda serata del Festival presentandosi sul palco dell’Ariston con la scopa con cui aveva ripulito il disastro di petali scaraventati da Blanco nella prima serata. “Mi sento sicuro con questa” scherza e poi intona insieme al pubblico in sala una riparatoria Grazie dei fior, primo brano vincitore del Festival di Sanremo nel 1951 da Nilla Pizzi, quella sì, una signora.

Una serata però dove la gara ha fatto spazio ad un momento di grande musica italiana, una bella lezione per i cantanti in gara. L’inedito trio Morandi-Al Bano-Ranieri, per la prima volta insieme, ha infiammato l’Ariston in una gara amichevole a suon di successi, da In ginocchio da te Vent’anni Nel sole, da Felicità a Perdere l’amore e Uno su mille. Una sfida a colpi di bravura e nostalgia per un finale alla tre tenori ne Il nostro concerto di Umberto Bindi. Applausi e commozione. A ricordare a noi e al Festival cosa è la vera canzone made in Italy.
Fra un Big e l’altro e i superospiti stranieri Black Eyed Peas, a Sanremo irrompono i diritti negati in Iran, grazie alla testimonianza di forte impatto della consulente e attivista Pegah Moshir Pour, italiana di origini iraniane, “nata con i racconti del Libro dei Re, cresciuta con i versi della Divina Commedia”. “In Iran – spiega Pegah – non avrei potuto presentarmi così vestita e truccata, né parlare di diritti umani sul palco, sarei stata arrestata o forse addirittura uccisa, è per questo che, come molti altri ragazze e ragazzi, ho deciso che la paura non ci fa più paura e di dare voce a una generazione crescita sotto un regime di terrore e repressione, in un paese bellissimo, uno scrigno di patrimoni dell’umanità”. La parola paradiso, spiega l’attivista, “deriva da un termine persiano, pardis, che vuol dire giardino protetto. Vi chiedo – si emoziona Pegah – se esiste un paradiso forzato, ahimé sì. Come si può chiamare un posto dove il regime uccide persino i bambini. Dal 16 settembre 2022, giorno in cui Mahsa Amini è stata uccisa dalla polizia morale, il popolo iraniano sta sacrificando con il sangue il diritto a difendere il proprio paradiso. Vi ringrazio a nome di tutti ragazzi iraniani, perché ricordate al mondo che la musica è un diritto umano”.
L'attivista italiana di origine iraniana Pegah

L’attivista italiana di origine iraniana Pegah – Ansa

Per spiegare ai suoi coetanei il dramma dell’Iran, si fa accompagnare sul palco da Drusilla Foer: insieme intonano le parole di una canzone diventata l’inno della rivoluzione, Baraye, scritta da Shervin Hajipour musicando i tweet dei ragazzi sulle libertà negate, che ha appena vinto il Grammy.
 
“Per ballare per strada si rischiano 10 anni di prigione, è proibito baciarsi, tenersi mano nella mano, esprimere la propria femminilità, più di 20 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà, ci sono bambini che perdono il sole e chiedono l’elemosina, cani innocenti uccisi per strada, in carcere ci sono 18 mila intellettuali e prigionieri politici, e poi rifugiati afghani, perseguitati”. Il commovente brano-preghiera si chiude con le parole chiave della rivoluzione, “donna, vita libertà”.

La giornalista Francesca Fagnani nel suo monologo invece dà voce ai ragazzi del Carcere minorile di Nisida di cui ha raccolto le testimonianze. “Vogliamo che la gente sappia che non siamo animali, bestie, killer per sempre, vogliamo che la gente ci conosca – legge la Fagnani -. Hanno picchiato, rapinato ucciso. Perché lo hai fatto? Non hanno una risposta. Bisogna andare alla vita prima, hanno occhi che chiedono aiuto. La scuola l’hanno abbandonata, ma nessuno li ha cercati e le madri e padri, quando c’erano, non ce l’hanno fatta. Quando ho chiesto ai carcerati adulti “cosa cambieresti della tua vita?” rispondono sarei andato a scuola, perche è solo tra i banchi di scuola che puoi intravedere una vita alternativa”. La giornalista accusa il sistema punitivo italiano: “ Non occorre solo repressione, ma combattere l’evasione scolastica e la povertà educativa” e critica senza citarlo il magistrato Nicola Gratteri .

Peccato che Amadeus, pur di fare parlare del Festival abbia ingaggiato un comico cosiddetto “provocatorio” come Angelo Duro avvertendo pilatescamente il pubblico di girare canale per evitare critiche dai moralisti. Il monologo dello stand up comedian siciliano proveniente dalle Iene, andato in onda all’1 di notte, ha inanellato una serie di parolacce e luoghi comuni con voluta durezza che semplicemente non fanno ridere e risultano solo offensive. Una inutile perdita di tempo in un Festival dalla durata “monstre”.

Marco Mengoni in gara all'Ariston con 'Due vite'

Marco Mengoni in gara all’Ariston con “Due vite” – Ansa

 

LA PRIMA CLASSIFICA GENERALE DELLA SALA STAMPA

​Ecco la prima classifica generale risultato della votazione della Sala Stampa:

1) Marco Mengoni
2) Colapesce e Dimartino
3) Madame
4) Tananai
5) Elodie
6) Coma Cose
7) Lazza
8) Giorgia
9) Rosa Chemical
10) Ultimo
11) Leo Gassmann
12) Mara Sattei
13) Colla Zio
14) Paola e Chiara
15) Cugini di Campagna
16) Levante
17) Mr. Rain
18) Articolo 31
19) Gianluca Grignani
20) Ariete
21) Modà
22) gIANMARIA
23) Olly
24) Lda
25) Will
26) Anna Oxa
27) Shari
28) Sethu

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