Ritrovate 147 lettere che D’Annunzio scrisse ad Alessandra Di Rudinì tra il 1893 e il 1907

di CRISTIANA DOBNER

Fu veramente un fulmine a ciel sereno quando mi raggiunse il messaggio che, nel suo primo paragrafo, bloccava la monografia, quasi pronta per la stampa, su Alessandra Di Rudinì e Gabriele D’Annunzio. Il secondo paragrafo, dandomi ragione della battuta d’arresto, esplose invece in un’ondata di sole radioso: entro breve tempo avrei avuto a disposizione un ritrovamento eccezionale che avrebbe colmato lacune e offerto chiarimenti autorevoli e irrefutabili.
Era stato messo in vendita dagli eredi Marogna attraverso la mediazione della Casa d’Aste Bloomsbury di Roma il carteggio che tanto aveva fatto parlare e scrivere: chi lo pensava distrutto, chi nelle mani di un’amica fidata che lo avesse sigillato per decenni, chi ancora sepolto negli archivi carmelitani francesi e chi miserevolmente affidato alle fiamme per non lasciare traccia. Ora invece è realmente accessibile, grazie all’intervento del presidente del Vittoriale, Giordano Bruno Guerri che ha saputo conquistare il prezioso cimelio.
La vicenda è intrigante. Esistono gli autografi di Alessandra, focosa e appassionata Nike, amante di Gabriele. Esistevano, però, anche i vuoti delle risposte dannunziane. Da qui tutta la ridda delle supposizioni. Ripercorriamone la vicenda perché, d’ora in poi, si potrà procedere in assoluta parità di botta e risposta. Il corpus ritrovato consta di ben 147 lettere dannunziane, 7 telegrammi, 2 cartoline postali, 1 foto. Le lettere sono risalenti ai diversi anni della loro passionale unione: 23 del 1903; 17 1904; 6 del 1905; 27 del 1906; 14 del 1907. Dove mai sono state conservate? Per dare risposta è necessario riandare agli anni di vita comune della coppia e alla loro divisione dolorosa, per Sandra indubbiamente, meno per Gabriele già consolatosi.
Dopo aver rifiutato di sposare il gran duca di Russia, Alessandra Di Rudinì decide di convolare a nozze con il marchese Marcello Carlotti, così descritto dal fratello Andrea: “piuttosto schivo di compagnia e casalingo (…) è uno che ama i suoi comodi e apparterrà presto – se non lo è – alla categoria di persone che si domanda de’ consuetudinari (…). Marcello vive ed esercita il mero e misto imperio”, cioè domina a Garda e a Scaveaghe. La coppia si sposa a Roma l’8 giugno 1895 in una cornice da favola, dalla loro unione nasceranno due figli maschi (nel 1896 il primogenito Antonio, nel 1898 il secondogenito Andrea). La giovane donna però deve affrontare la grave malattia del consorte, una tubercolosi che in poco tempo lo porterà alla tomba, così rimane vedova il 29 aprile 1900.
Il primo incontro con il Vate che avrebbe travolto la sua vita avviene a Roma di sfuggita, ma solo nell’ottobre 1903, in occasione del matrimonio del fratello Carlo Emanuele Di Rudinì, di cui Gabriele D’Annunzio è testimone, la conoscenza si approfondisce e, poco dopo, scocca la scintilla della passione. Alessandra, presa dal vortice della relazione, trascurò i figli e ospitò D’Annunzio, alla loro presenza, nel castello dei Carlotti a Scaveaghe, scandalizzando il personale di servizio con il suo comportamento. Perciò successivamente usò un’altra tattica, allontanandoli e mandandoli alla Ca’ Bianca dei boschi di Bré. Nel turbinio di una vita lussuosa e disordinata la marchesa aveva pure dilapidato il patrimonio familiare. Il padre di Alessandra, don Antonio Starabba Di Rudinì, agì con due sentenze di inabilitazione (dicembre 1904 e aprile 1905) confermate dalla corte d’appello di Venezia, con la conseguente perdita della patria potestà, come peraltro aveva agito con il figlio Carlo, dedito al gioco e allo sperpero, interdicendolo nel 1894. I due marchesini Carlotti furono prevalentemente affidati a domestici fino all’età in cui il collegio dei gesuiti di Mondragone avrebbe potuto accoglierli, e dove si sarebbero segnalati per lo scarso rendimento scolastico. La loro complessione fisica ereditata dal padre, ben presto, si palesò, infatti si ammalarono di tubercolosi. L’8 giugno 1904 Nike scriveva al suo Gabriel: “Ieri sono andata a Mondragone per vedere i bambini. Il più piccolo è tranquillo e contento, ma Antonio mi ha fatta una grande scena di lacrime; è disperato! Temo si abituerà difficilmente, e mi rincresce tanto!”.
Il loro precettore a Scaveaghe, il giovane abbé Gorel, ci ha lasciato una descrizione dei due rampolli: “il marchese Antonio, il più vecchio, dal viso un po’ femminile, la fronte inquadrata da una bionda capigliatura, occhi vivi, di una corporatura svelta e slanciata, era il preferito in virtù della sua intelligenza e delle sue qualità esteriori. Si intravedevano, nel suo aspetto, la finezza propria dei Carlotti, suoi avi paterni. Il marchese Andrea, più giovane di 18 mesi [in realtà 14 scarsi], assai grande ma più solidamente strutturato del fratello, che amava scherzare sul rosso dei suoi capelli tagliati a spazzola, era più confidente, più accessibile ad una direzione educativa. Buon ragazzo, assai indolente di natura, era meglio dotato di sentimenti che di intelligenza. Egli sognava di diventare ufficiale di marina”.
Da una lettera di Alessandra – citata dall’abbé Gorel e datata 16 dicembre 1912 – si viene a sapere di una “brusca malattia sopravvenuta al secondo figlio Andrea”, quindi in tempi successivi alla professione carmelitana della marchesa, che agì immediatamente: “su consiglio di quattro illustri dottori, son partita per il Sanatorio d’Inner de Sauer Arrosa, tenuto dal celebre dott. Jacobi. Questo sanatorio si trova a 1.800 m. d’altitudine tra Coira e Davosà”. Alessandra – divenuta suor Maria del Sacro Cuore – in realtà affidò il figlio alla governante Anna Sorbi e ritornò al suo Carmelo in Francia “dopo di aver fatto tutto il mio dovere”, scrive.
Pochi mesi dopo, è Antonio a venire dichiarato malato e a raggiungere il fratello Andrea nel sanatorio di Arosa (Svizzera) prima e di Brunate (Como) successivamente. Eccoci così giunti al professor Marogna [Sorso (SS)1875- Roma 1950], illustre chirurgo e ordinario di Clinica chirurgica presso numerose università italiane (Genova, Parma, Pisa, Sassari e Modena). A Sassari fu rettore negli anni Trenta. I suoi studi sperimentali e le sue scoperte sulla tubercolosi renale lo portarono a Londra e Parigi a svolgere conferenze in merito. Nel primo decennio del 1900, a Pisa, egli incontrò ed ebbe in cura i due figli della marchesa Carlotti Di Rudinì. Con Antonio, in particolare, nacque un’amicizia profonda, che fu spezzata dalla morte prematura del giovane il 25 novembre 1916. A ricordo perenne di quell’amicizia, ebbe un lascito che comprendeva il suddetto carteggio, rimasto celato negli archivi di famiglia fino a oggi. Tra non molto le lettere di Gabriele D’Annunzio chiariranno i vuoti e i dilemmi che i soli scritti di Alessandra lasciavano percepire ma non comprendere.

(©L’Osservatore Romano 1 marzo 2012)