Quanta terra per un uomo

di Marina Corradi

Anni fa mi sono trovata a guidare, sola, da Cracovia a Czestochowa. Appena 150 chilometri, ma mi colpì quanto poco abitata fosse quella regione. Rari i villaggi, la terra una brughiera apparentemente selvatica. La vastità dell’orizzonte senza uomini mi meravigliò. E mi feci una domanda, probabilmente ingenua: ma tutte le guerre che da millenni gli uomini conducono, da Alessandro Magno ai condottieri di ogni Continente fino ai giorni nostri, non tendono forse ad allargare i confini del proprio dominio, ad avere un regno su cui “non tramonti mai il sole?”. Posso capire che un porto, una rocca, delle miniere ingolosiscano, ma a che servivano certe guerre del mondo antico, per appropriarsi di estensioni sconfinate e desertiche, tanto lontane che i messaggeri a cavallo impiegavano giorni e giorni per tornare dal loro re? Quanta terra serviva a quei sovrani, e cosa li tormentava, per spingere la guerra all’infinito? La domanda, forse ingenua, potrebbe riguardare anche Putin. Governa come uno zar la Russia, quale ulteriore sete lo tormenta? “Quanta terra basta ad un uomo” è uno splendido racconto di Lev Tolstoj, dove un contadino muore d’affanno nel tentativo di cingere con i suoi passi, e possedere, più terra che può. Alla fine gli bastano tre arsin di terra: una fossa di due metri. (Ad aizzare l’avidità del contadino, per Tolstoj, era il diavolo).

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