Putin: dalla Siria all’Ucraina

di: S. Haddad

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A due settimane dall’invasione russa dell’Ucraina, le lancette del tempo tornano indietro e mi portano a quando l’aviazione russa bombardava il sobborgo di Damasco, nella Ghouta orientale, per dare supporto alle varie milizie e all’esercito del regime siriano verso l’assalto finale, dopo anni di assedio e massacri in cui non si è risparmiato nulla per affliggere i civili intrappolati. Con tutto quello che si può immaginare.

È stata la tappa che ha seguito la distruzione e la caduta, o meglio “la consegna di Aleppo”.  È superfluo dire che tutto ciò è successo con l’inerzia e la complicità internazionale. Era il 2018 e si parlava a quel tempo di intere famiglie che stavano rischiando lo sterminio: circa quattrocentomila persone.

Il fantasma del passato

Vedere quello che sta accadendo oggi in Ucraina mi fa rivivere la stessa angoscia, lo stesso dolore di quei momenti e mi paralizza il pensiero che ci sia un altro popolo che debba subire quello che hanno subito i ceceni, i siriani ed altri popoli, solo perché intenzionati a decidere in libertà il loro futuro.

Mi sento impotente, ingoio la mia rabbia e la mia impotenza, mentre tornano in mente le immagini dei volti terrorizzati, i morti, i feriti, la distruzione, e i corpi lacerati dei bambini. Così pongo una domanda: quale essere umano può immaginare anche per un attimo di stare al posto loro? Quanti sono quelli che la morte dei propri bambini ha lacerato, travolgendone l’esistenza? Tanti interrogativi e pensieri si affollano nella mia testa.

Questo è accaduto non solo per mano dei russi. In primo luogo, chiedo: perché si è taciuto e si è lasciato campo libero a Putin di agire e di portare avanti la sua politica criminale, lasciandolo gonfiarsi a dismisura? Non si sapeva forse che non si sarebbe fermato alla Siria?  Non si sapeva che la Siria per lui era il trampolino di lancio verso l’Europa? Non si è visto con l’ondata di rifugiati provocati dal suo intervento in appoggio al regime siriano?

E qui si torna al 2013, quando gli Stati Uniti e alcuni paesi europei stavano preparando la risposta militare al massacro chimico che venne accantonato in cambio di un “accordo vergogna” fra Kerry e Lavrov per la parziale consegna degli armamenti chimici e così lasciare il criminale Bashar al-Assad libero di agire, come si è visto in questi anni.

L’inerzia dell’Occidente

Ha detto l’ex presidente francese Francois Hollande alla BFM TV il 22 febbraio scorso: “Putin sta beneficiando dell’incapacità dell’Occidente di prendere decisioni su molte questioni. È questo che è successo in Siria: la riluttanza di Washington a rovesciare al-Assad ha permesso a Putin di fare ciò che voleva”.

Per noi sono evidenze, non gossip. Ma per il mondo questo non sembrava, almeno fino a quando l’ex primo ministro francese Philippe De Villepin è apparso in pubblico, pochi giorni fa, confermando quanto l’assistente vicesegretario alla Difesa statunitense Andrew Aksum aveva detto da tempo.

Aksum ha sottolineato, in una famosa conferenza davanti al Congresso degli Stati Uniti, che era dimostrato come l’America avesse avviato i contatti e il coordinamento con la Russia per intervenire in Siria quando il regime stava per cadere. Aksum ha affermato che alla fine del 2015 Stati Uniti e Israele avevano iniziato a temere il crollo del regime di Assad e la minaccia che ciò poteva rappresentare. Aksum ha ammesso che l’esistenza del regime era una valvola di sicurezza per gli interessi americani e la sicurezza di Israele in Medio Oriente. Perciò, mentre stava per cadere, Washington si è precipitata a contattare i russi per invadere la Siria e proteggere il regime.

Per De Villepin – con il consenso anche europeo – si è dunque lasciata mano libera a Putin, permettendogli di praticare in Siria la politica della terra bruciata, distruggendo tutte le aree in rivolta contro il regime e sfollando milioni di persone. L’invasore russo è stato barbaro poiché non ha badato a scuole, ospedali, asili e persino pollai e allevamenti di bestiame, ma di fatto non ha preso di mira un solo membro dell’ISIS!

La Russia

In effetti, lo stesso ministro della Difesa russo, con tutta onestà, ha ammesso che la Russia ha testato più di trecentocinquanta armi letali. In una conferenza stampa, lo stesso presidente russo non ha esitato ad ammettere che la terra siriana era il miglior banco di prova per le guerre in arrivo. Ed ecco che è arrivata, pianificata da molto tempo.

L’esercito russo e bande di mercenari si sono addestrati e hanno condotto molte manovre ed esercitazioni utilizzando il nuovo arsenale sperimentato in Siria. Tutto questo è avvenuto, secondo il politico francese, con la benedizione e il patrocinio dell’Occidente.

Quando qualche paese europeo ha cercato di discutere dell’invasione russa della Siria – della sua portata e dei suoi pericoli – è stato sottoposto a forti pressioni dall’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che ha fatto il possibile per convincere gli europei affinché accettassero l’invasione russa della Siria, sempre secondo le dichiarazioni di Philippe de Villepin al canale televisivo francese “France 2”. L’ex ministro ammette che gli Stati Uniti hanno dato ai russi carta bianca per fare quello che volevano in Siria, senza porre un limite di tempo.

Dopo gli errori, un risveglio dell’Europa?

L’invasione russa dell’Ucraina saprà svegliare, anche se tardivamente, l’Europa?  Io spero si prenda atto che non si possono lasciare i criminali internazionali agire indisturbati.

Oggi si vede pure il risveglio amaro di tanti ipocriti che adesso si stracciano le vesti, giustamente, per l’Ucraina, ma in tutti questi anni hanno chiuso gli occhi su tante tragedie, in particolare quella siriana, e non riescono a trovare il nesso fra ciò che è successo in Siria e l’invasione russa.

Tanti analisti, giornalisti, commentatori e politici non riescono nemmeno a pronunciare la parola Siria – che siano in buona o malafede – perché parlare della Siria è un atto di accusa a sé stessi: non riescono a trovare il coraggio di ammettere i loro errori, una virtù rara in questi nostri tempi.

Per noi siriani basta fare un piccolo parallelismo fra le due tragedie per trovare il collegamento: vediamo la Russia di Putin quale attore principale. In Siria l’intervento è stato fatto, secondo la propaganda russa e del regime, come lotta al terrorismo e, ora, in Ucraina per de-nazificare il paese.

Al-Assad ha distrutto la Siria con lo slogan esplicito: “Assad oppure bruciamo il paese”; ed ecco che Putin ha cominciato a distruggere l’Ucraina con lo slogan implicito: “l’Ucraina o bruciamo il mondo”.

I siriani per evitare la morte e la distruzione o il genocidio hanno invocato protezione, hanno chiesto di essere messi in condizione di difendersi e di decidere il loro futuro senza ingerenze. Siamo rimasti inascoltati.

Tante voci si sono levate in solidarietà con il popolo siriano e hanno chiesto pace e giustizia, hanno pregato perché si fermassero i massacri e gli abusi: di queste, la voce più autorevole è stata ed è quella di Papa Francesco. Purtroppo, anche la sua voce è rimasta inascoltata.

Per tantissimi europei e occidentali quello che accadeva in Siria era soltanto lotta al terrorismo che accadeva in un luogo lontano, ad un popolo “diverso” e perciò poco interessante. Tutto è rimasto così fino a quando la guerra non ha bussato alle porte d’Europa e ha messo sotto gli occhi di chi vuole vedere che nell’epoca dell’informazione e dell’interconnessione, dell’intreccio degli interessi, non c’è nessun luogo così lontano.

Déjà vu

Oggi purtroppo vediamo che gli stessi schemi di confronto e di analisi si ripetono. Se a Kiev chiedono armi si obietta che questo alimenta la guerra e allunga la sofferenza, così come in Siria vietare la fornitura di missili antiaerei al libero esercito del popolo avrebbe dovuto, secondo alcuni, fermare la sofferenza e la distruzione totale di intere città. Ma non è stato così.

Per i benpensanti – idealisti e pacifisti – bisogna disarmare i belligeranti mettendo sullo stesso piano vittima e carnefice. E chi va a disarmare Putin? Siamo a questi livelli, si vede che manca ancora la consapevolezza della portata dell’invasione russa e del suo risvolto nella scena internazionale, mediorientale e siriana in particolare.

Per noi che ci siamo trovati in una immensa tragedia – quindi immersi in una situazione stagnante e senza via d’uscita – questo evento certamente non auspicato, oltre a rinnovare il profondo senso del dolore, può forse aprire a qualcosa di nuovo: indebolire lo zar con qualsiasi mezzo economico, sanzionatorio o militare.

Il ritorno forte dell’Europa con l’appoggio dato agli ucraini potrebbero giovare alla nostra causa. Aiutare gli ucraini a difendersi dà l’impressione che ci sia una forte volontà di mettere freno a un criminale che ha superato ogni limite. Non ci illudiamo, sappiamo che gli stati agiscono per interessi propri, ma la guerra in Ucraina non può non avere conseguenze sulla causa siriana.

Ovviamente noi siriani confidiamo nella resistenza degli ucraini, per il loro futuro di popolo ma anche per evitare che si prosegua ad anteporre nel mondo gli interessi ai principi.

Confidiamo nel popolo russo e in un vasto movimento contro Putin e la sua guerra. Se la Siria è stata il trampolino di lancio di Putin verso l’Ucraina, l’Ucraina con la sua resistenza potrebbe avviare la salvezza della Siria, se tutti gli attori mondiali ne saranno all’altezza.

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