Perché Francesco non ama Cl?

(E perché i ciellini litigano tra loro?). Brutta via Crucis tra carismi e poteri

Il Foglio

errebbe da sospettare che Comunione e Liberazione sia andata “ad abbaiare alla porta del Vaticano”, per usare lo slang colorito di Francesco, almeno a stare al durissimo tono, quasi minaccioso, con cui il segretario del dicastero Pro laici, famiglia et vita – il cardinale Kevin Farrell – ha usato in una lettera, ultima per ora di un secco carteggio, indirizzata a Davide Prosperi: da un anno “presidente ad interim” di Cl e ora confermato, scrive Farrell, per “l’utilità che il suo mandato si protragga per un quinquennio”. Una vicenda che rischia di far esplodere (o commissariare?) un movimento importante nella società e nella Chiesa; ma anche di gettare qualche sospetto di un atteggiamento troppo matrigno del papato misericordioso.

La vicenda. Un anno fa un testo del dicastero (che non riguardava solo Cl) ha imposto le dimissioni dopo cinque anni a chi guida i movimenti, tranne il caso dei fondatori. Motivo: il sospetto che ne possa derivare un eccesso di potere  personalistico. Don Julián Carrón, successore di don Luigi Giussani, fu invitato a lasciare. A sollevare una serie di questioni di diritto ecclesiastico era stata una parte di ciellini non entusiasti di Carrón. Ma un’altra parte sentì l’avvicendamento come una forzatura. Ne sono seguite dispute aspre, e persino missive al Papa di contrari alla “svolta Prosperi”, di fatto imposta. Così si è arrivati all’ultimatum, in cui ci si “duole costatare” che alcuni “continuino a suggerire un clima di sfiducia”.

È noto che Bergoglio non ha mai amato la forma-movimento, e per sua ammissione conosceva molto poco Cl quando diventò Papa. Ma chiedere apertamente di “far cessare ogni azione volta a promuovere questa falsa dottrina” a proposito della guida di Cl è atteggiamento di inusitata durezza. Provoca dolore in molti il pensiero che accada ai discepoli del Gius, che per tutta la vita è stato di appassionata obbedienza alla Chiesa. Ma provoca stupore anche supporre che, tra un Vaticano ultimativo e un movimento non in pace con se stesso, il rapporto possa incrinarsi o rompersi.