Per una teologia che odora di strada

Un estratto del discorso di Papa Francesco ai membri della direzione della rivista teologica “La Scuola Cattolica” (17 giugno 2022)

«…L’esercizio vivace dell’intelligenza credente è servizio prezioso alla fede viva della Chiesa. La comunità, in effetti, ha bisogno del lavoro di coloro che tentano d’interpretare la fede, di tradurla e ritradurla, di renderla comprensibile, di esporla con parole nuove: un lavoro che occorre rifare sempre, ad ogni generazione (…), la fatica di ridefinire il contenuto della fede in ogni epoca, nel dinamismo della tradizione. Ed è per questo che il linguaggio teologico dev’essere sempre vivo, dinamico, non può fare a meno di evolversi e deve preoccuparsi di farsi comprendere.

A volte le prediche o le catechesi che ascoltiamo sono fatte in buona parte di moralismi, non abbastanza “teologiche”, cioè poco capaci di parlarci di Dio e di rispondere alle domande di senso che accompagnano la vita della gente, e che spesso non si ha il coraggio di formulare apertamente. Uno dei maggiori malesseri del nostro tempo è infatti la perdita di senso, e la teologia, oggi più che mai, ha la grande responsabilità di stimolare e orientare la ricerca, di illuminare il cammino.

Domandiamoci sempre in che modo sia possibile comunicare le verità di fede oggi, tenendo conto dei mutamenti linguistici, sociali, culturali, utilizzando con competenza i mezzi di comunicazione, senza mai annacquare, indebolire o “virtualizzare” il contenuto da trasmettere. Quando parliamo o scriviamo, teniamo sempre presente il legame tra fede e vita, stiamo attenti a non scivolare nell’autoreferenzialità.

In particolare voi, formatori e docenti, nel vostro servizio alla verità, siete chiamati a custodire e comunicare la gioia della fede nel Signore Gesù, e anche una sana inquietudine, quel fremito del cuore di fronte al mistero di Dio. E sapremo accompagnare altri nella ricerca quanto più viviamo noi questa gioia e questa inquietudine. Cioè quanto più siamo “discepoli”.

Un bravo formatore esprime il proprio servizio in un atteggiamento che possiamo chiamare “diaconia della verità”, perché in gioco c’è l’esistenza concreta delle persone, che spesso vivono senza sicure certezze, senza orientamenti condivisi, sotto il martellante condizionamento di informazioni, notizie e messaggi molte volte contraddittori, che modificano la percezione della realtà, orientando all’individualismo e all’indifferentismo.

… In questo cammino non può sottrarsi al dialogo con il mondo, con le culture e le religioni. Il dialogo è una forma di accoglienza e (…) in effetti, insegnare e studiare teologia significa vivere su una frontiera, quella in cui il Vangelo incontra le necessità reali della gente. Anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite di molti.

Né la Chiesa né il mondo hanno bisogno di una teologia “da tavolino”, ma di una riflessione capace di accompagnare i processi culturali e sociali, in particolare le transizioni difficili, facendosi carico anche dei conflitti. Dobbiamo guardarci da una teologia che si esaurisce nella disputa accademica o che guarda l’umanità da un castello di vetro (cfr Lettera al Gran Cancelliere della Pontificia Universidad Católica Argentina, 3 marzo 2015)…

Abbiamo bisogno di una teologia viva, che dà “sapore” oltre che “sapere”, che sia alla base di un dialogo ecclesiale serio, di un discernimento sinodale, da organizzare e praticare nelle comunità locali, per un rilancio della fede nelle trasformazioni culturali di oggi… Una teologia capace di dialogo con il mondo, con la cultura, attenta ai problemi del tempo e fedele alla missione evangelizzatrice della Chiesa…

Ricordiamoci sempre che è lo Spirito Santo che ci introduce nel Mistero e dà impulso alla missione della Chiesa. Per questo “l’abito” del teologo è quello dell’uomo spirituale, umile di cuore, aperto alle infinite novità dello Spirito e vicino alle ferite dell’umanità povera, scartata e sofferente. Senza umiltà lo Spirito scappa via, senza umiltà non c’è compassione, e una teologia priva di compassione e di misericordia si riduce a un discorso sterile su Dio, magari bello, ma vuoto, senz’anima, incapace di servire la sua volontà di incarnarsi, di farsi presente, di parlare al cuore. Perché la pienezza della verità – alla quale lo Spirito conduce – non è tale se non è incarnata…».

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