Per evangelizzare bisogna prima convertirsi

di Julián Carrón

Cari amici, come sapete, il tema del Sinodo era “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. Il punto di partenza era stata la constatazione, oggi palese a tutti, che la fede non è più un presupposto ovvio. Questa situazione non riguarda soltanto la fede come esperienza personale, ma ha delle conseguenze anche sulla vita delle nazioni, per cui terre feconde possono diventare deserto inospitale. Di questa “desertificazione” vediamo già non pochi segni: l’emergenza educativa, la crisi economica, la confusione politica, la mancanza di fiducia, la violenza nei rapporti, l’esasperazione della vita sociale. In questo contesto, è commovente vedere che una istituzione come la Chiesa, con duemila anni di storia alle spalle, sia ancora libera di mettersi in discussione. Tanto è vero che uno dei richiami più spesso ascoltati nell’aula sinodale è stato quello relativo all’urgenza della conversione. Tutti eravamo consapevoli che per far rifiorire il deserto non basta cambiare strategie e neppure una messa a punto dei piani pastorali. Occorre una vera e propria conversione personale ed ecclesiale. C’era la consapevolezza che senza conversione non ci può essere nuova evangelizzazione. Fin dal primo giorno del Sinodo il Papa ha posto la domanda fondamentale: “Dio ha parlato, ha veramente rotto il grande silenzio, si è mostrato, ma come possiamo far arrivare questa realtà all’uomo di oggi, affinché diventi salvezza?” (8 ottobre 2012). Sentendo la chiamata alla conversione che veniva dall’aula sinodale, non ho potuto evitare di ricordare il richiamo che ci fece don Giussani tanti anni fa a Viterbo, invitandoci a “recuperare la verità della nostra vocazione e del nostro impegno”.

(©L’Osservatore Romano 7 novembre 2012)