Pandemia e rinascita della vita

Settimana News

di: Fabrizio Mastrofini

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Il secondo documento della Pontificia accademia per la vita chiede un coraggioso sforzo per salvaguardare la salute dell’humana communitas.

Si intitola L’Humana Communitas nell’era della Pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita, ed è il secondo documento – il primo è del 30 marzo 2020 – che la Pontificia accademia per la vita dedica alle conseguenze della crisi sanitaria mondiale e alla sua interpretazione.

Il testo non è lungo (9 pagine) ma molto denso di contenuti e apre con un deciso e duro giudizio sul presente politico e sociale. Se, «nella sofferenza e nella morte di così tante persone, abbiamo imparato la lezione della fragilità», allora serve un cambio di passo: sforzi globali e una decisa cooperazione internazionale; un futuro più equo e più giusto le cui parole-chiave siano migliore assistenza sanitaria per tutti e vaccinazioni.

«Ancora non abbiamo dato sufficiente attenzione, soprattutto a livello globale, all’interdipendenza umana e alla vulnerabilità comune. Il virus non riconosce le frontiere, ma i paesi hanno sigillato i propri confini. A differenza di altri disastri, la pandemia non ha colpito tutti i paesi allo stesso momento. Sebbene questo avrebbe potuto offrire l’opportunità di imparare dalle esperienze e dalle politiche di altri paesi, il processo di apprendimento a livello globale è stato minimo. Addirittura, alcuni paesi si sono, a volte, impegnati in un gioco cinico di reciproca accusa».

I frutti di un “ethos” di prevaricazione

«Il fenomeno del Covid-19 non è solo il risultato di avvenimenti naturali. Ciò che avviene in natura è già il risultato di una complessa interazione con il mondo umano delle scelte economiche e dei modelli di sviluppo, essi stessi “infettati” con un diverso “virus” di nostra creazione: questo virus è il risultato, più che la causa, dell’avidità finanziaria, dell’accondiscendenza verso stili di vita definiti dal consumo e dall’eccesso. Ci siamo costruiti un ethos di prevaricazione e disprezzo nei confronti di ciò che ci è dato nella promessa primordiale della creazione. Per questo motivo, siamo chiamati a riconsiderare il nostro rapporto con l’habitat naturale. A riconoscere che viviamo su questa terra come amministratori, non come padroni e signori».

Tuttavia, «se paragonate alle difficoltà dei paesi poveri, soprattutto nel cosiddetto Sud Globale, le traversie del mondo “sviluppato” appaiono piuttosto come un lusso: solo nei paesi ricchi le persone possono permettersi di rispettare i requisiti di sicurezza. In quelli meno fortunati, d’altra parte, il “distanziamento fisico” è semplicemente impossibile a causa delle necessità e delle circostanze tragiche: ambienti affollati e impraticabilità di un distanziamento sostenibile costituiscono per intere popolazioni un ostacolo insormontabile. Il contrasto tra le due situazioni mette in luce un paradosso stridente, che, ancora una volta, racconta la storia della sproporzione di benessere tra paesi ricchi e poveri».

La crisi ha mostrato le possibilità e i limiti dei modelli focalizzati sull’assistenza ospedaliera: «Certamente, in tutti i paesi, il bene comune della salute pubblica deve essere bilanciato in rapporto agli interessi economici» e le case di cura e gli anziani sono stati duramente colpiti.

Si deve poi aggiungere che «discussioni etiche sull’allocazione delle risorse si sono soprattutto basate su considerazioni utilitaristiche, senza prestare attenzione alle persone più vulnerabili ed esposte a più gravi rischi. Nella maggioranza dei paesi, il ruolo dei medici di base è stato ignorato, mentre per molti, sono il primo punto di contatto con il sistema assistenziale. Il risultato è stato un aumento di decessi e di disabilità provocate da cause diverse dal Covid-19».

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Decisioni chiare e coraggiose

Sul piano dell’etica e della salute pubblica a livello globale, sono necessari tre passi:

  1. Un’assunzione e una distribuzione equa dei rischi ineliminabili nello svolgimento della vita umana, anche per quanto riguarda l’accesso alle risorse sanitarie, fra cui le vaccinazioni hanno un ruolo strategico
  2. Un atteggiamento responsabile riguardo alla ricerca scientifica, che ne tuteli l’autonomia e l’indipendenza, superando forme di sottomissione a interessi particolari di tipo economico o politico, che ne distorcono i risultati e la comunicazione
  3. Un coordinamento e una cooperazione a livello internazionale e globale per rendere effettivo il diritto universale ai livelli più elevati di cura della salute, come espressione di tutela dell’inalienabile dignità della persona umana.

«Siamo chiamati a un atteggiamento di speranza, che va oltre l’effetto paralizzante di due tentazioni opposte: da una parte, la rassegnazione che sottende passivamente agli eventi, e dall’altra, la nostalgia per un ritorno al passato, che si riduce al desiderare ciò che esisteva prima. Invece, è tempo di immaginare e attuare un progetto di coesistenza umana che consenta un futuro migliore per ciascuno. Il sogno recentemente immaginato per la regione amazzonica potrebbe diventare un sogno universale, un sogno per l’intero pianeta “che integri e promuova tutti i suoi abitanti” perché possano consolidare un “buon vivere” (Querida Amazonia, 8)».

Un’etica della solidarietà

Hanno contribuito alla stesura del documento, tra gli altri, il prof. Henk ten Have, accademico della Pontificia accademia per la vita e uno dei massimi esperti di Bioetica globale, e il prof. Roberto Dell’Oro, docente alla Loyola Marymount University.

Il prof. Henk ten Have nota che «la pandemia del Covid-19 come fenomeno globale dimostra che oggi siamo intrinsecamente interconnessi. Condividiamo tutti la stessa vulnerabilità perché abitiamo nella stessa casa comune. Questa esperienza ci rende consapevoli che il nostro benessere individuale dipende dalla comunità umana. Pertanto – come spiega la nota della Pontificia accademia per la vita –, dovrebbe essere applicata una prospettiva etica globale che articoli l’importanza morale della solidarietà, della cooperazione, della responsabilità sociale, del bene comune e dell’integrità ecologica».

Dal canto suo il prof. Roberto Dell’Oro fa presente che «l’intenzione del documento non è quella di dare ricette economiche, ma di riconoscere che insieme, come famiglia umana (humana communitas), dobbiamo tornare alle lezioni che abbiamo imparato. È la vita stessa che ci insegna, ma dobbiamo essere consapevoli e attenti. In tal senso dobbiamo cambiare insieme, per disporre di un atteggiamento diverso nei confronti della vita nel suo insieme.

La Chiesa ci chiama a interrogare le nostre esperienze più profonde, senza essere predicatori, ma con realismo: la nostra finitudine, i limiti della nostra libertà, la vulnerabilità condivisa che porti ad aprire gli occhi verso coloro che soffrono molto, specialmente nel Sud del mondo. Il documento richiede inoltre sforzi globali e cooperazione internazionale e un’etica della solidarietà. Spero personalmente che le persone di buona volontà, i credenti e i non credenti, vedano questo documento come un invito alla conversione, che è prima di tutto un cambiamento nel nostro modo di guardare alla realtà e di costruire i nostri sforzi su una rinnovata consapevolezza».