Quel giorno – in cui il Pakistan celebra la festa d’indipendenza – la piccola si è allontanata dalla folla ed è andata in un campo isolato per urinare, non lontano da casa, a Brick Klin, quartiere popolare del villaggio di Sahiwal, in Punjab. Lì una banda di cinque ragazzi musulmani l’ha sorpresa e aggredita. I giovani l’hanno violentata ripetutamente e poi strangolata. Il suo corpo seviziato è stato ritrovato il giorno successivo, fra le erbacce.
Rafique non era in casa quella tragica sera: si trovava in ospedale per assistere la moglie, operata di appendicite. È stato il fratello – a cui aveva affidato i sette figli – ad avvertirlo che Muqadas Kainat non era rientrata a casa. La famiglia, a quel punto, ha cominciato una ricerca disperata. Alla fine, una telefonata anonima ha avvisato l’impresa dove lavorava Rafique e ha detto di aver notato un corpo seminudo in un campo. I parenti l’hanno localizzato la sera del 15 agosto.
L’autopsia ha poi rivelato i dettagli dell’assassinio, l’ennesimo che colpisce la comunità cristiana nel Punjab pachistano. Una persecuzione che si accanisce con particolare ferocia sui bambini. Prima c’è stato l’arresto di Rimsha Masih, disabile mentale minorenne, accusata di aver bruciato alcune pagine di un compendio del Corano. Poi, il barbaro assassinio di Suneel Masih, 14 anni, massacrato dai trafficanti di organi. Infine, Muqadas Kainat. In realtà, quest’ultimo è stato il primo. La notizia, però, è stata rivelata solo ieri dal Pakistan Christian Post, dato che il villaggio di Sahiwal è una delle più remote del Punjab. La polizia si è limitata a registrare una denuncia contro ignoti, nessun sospetto è stato però fermato.
Sempre ieri, il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, è tornato sul caso di Rimsha. Il cardinale ha sottolineato, in un’intervista a “Radio Vaticana”, che la giovane non voleva né poteva offendere il Corano perché è analfabeta. Un appello per il rilascio della giovane – scrive l’agenzia AsiaNews – è stato rivolto ieri anche da Sajan George, presidente dell’associazione indiana “Global Council of Indian Christians”, che ha anche ribadito la necessità di abolire la legge anti-blasfemia.