Padroni in parrocchia nostra? Il tarlo del «prima noi e dopo loro» si insinua anche nei credenti più convinti

Padroni in parrocchia nostra
di Annachiara Valle | in vinonuovo.it 
Il tarlo del «prima noi e dopo loro» si insinua anche nei credenti più convinti e c’è persino qualche parroco pronto a sposare queste tesi
chiesa

In un Comune lombardo il sindaco leghista vorrebbe che nella mensa scolastica si servisse solo carne di maiale così i piccoli musulmani sarebbero costretti o a infrangere le loro norme religiose o ad andare a casa. Ha promesso che a settembre, quando riaprirà la scuola, la mensa sarà gestita con i suoi criteri. O dentro o fuori. In un altro comune, invece, non si danno aiuti per gli affitti agli immigrati, “se non ce la fanno che vadano ad abitare in un altro Comune e vengano qui solo a lavorare”. In un altro ancora hanno chiuso la ludoteca multiculturale che insegnava ai bambini di tutte le religioni – e anche a quelli che una religione non ce l’hanno – “perché tanto ci sono gli oratori”.

Il tarlo del “prima noi e dopo loro”, “padroni a casa nostra” si insinua anche nei credenti più convinti e c’è persino qualche parroco pronto a sposare la tesi che non ci sia nulla di male nell’usare la misura “quel che è mio è mio e quel che è tuo è tuo”. Dov’è il razzismo, dov’è la discriminazione? Che ognuno stia al suo posto. Qualcuno invece si scandalizza e a Messa, la domenica, legge il ritaglio di un giornale: dice che a Brescia sarà lanciata l’iniziativa di un guanto biodegradabile da indossare nei luoghi pubblici – per evitare i contatti, per una maggiore igiene -. “Stiamo diventando una città sterile, che ha paura di incontrare l’altro”, spiega dal pulpito.

Penso a Charles de Foucauld in mezzo ai lebbrosi, penso al giro di notte per Roma con il pulmino della Caritas a medicare le ferite dei senza fissa dimora, penso a Madre Teresa di Calcutta. Quanto siamo lontani! E quanto avremmo bisogno di parroci che ci aiutino a non avere paura, ad allargare il cuore, a ricordarci che anche l’uomo in giacca e cravatta che ci ha rubato il parcheggio, che il ragazzo sdraiato sulla strada che ci sputa dietro perché lo abbiamo svegliato in mezzo alla sua sbronza, che la mamma di colore che fa fatica a far salire il passeggino sulle scale della metropolitana, che la ragazza che ride al cellulare perché ha appena passato il suo esame sono tutti nostri fratelli e sorelle.

Capisco tutte le ragioni della prudenza e dell’opportunità, il timore di perdere i finanziamenti per gli oratori, di essere additati come nemici o, peggio, “comunisti”, ma non posso dimenticare quel che diceva il mio primo direttore più di venti anni fa: “dell’opportunità si risponde agli uomini e si può sempre rimediare, della verità si risponde a Dio, nell’ultimo giorno, e sarà troppo tardi. Per questo tra l’opportunità e la verità preferite sempre la verità”. E la verità  che vorrei sentire oggi dalla mia Chiesa è quella dell’ingiustizia di una divisione che dice che ciascuno “è padrone in casa propria”. La legge del “quel che è mio è mio e quel che è tuo è tuo”, ricordava qualche settimana fa Piero Stefani, “in un mondo di diseguaglianza sancisce per sempre la disparità tra gli uomini”.

Vorrei che i parroci che incontro, tutti i parroci, gridino che Dio ci ha insegnato un amore senza misura. E che mi ricordino che le braccia devono restare aperte, anzi spalancate, ad abbracciare l’umanità. Come quelle del crocifisso che tanto difendiamo.