Pace giusta. Chi vuole la pace deve volere la giustizia

Dagli archivi de “Il Regno” un documento che è ancora utile rileggere dopo 20 anni: “Pace giusta”, scritto dall’episcopato tedesco nel 2000.

 

Lo sconcerto per l’improvvisa dissoluzione dell’ordine mondiale creatosi dopo il 1989 e la spaccatura del mondo cattolico sulla lettura della guerra contro l’Ucraina hanno manifestato la mancanza di una riflessione adeguata sulla pace e la guerra nella riflessione cristiana dopo la «fine della storia».

Un documento elaborato dall’episcopato tedesco nel 2000, tuttavia, può essere riletto oggi utilmente come un tentativo di aggiornare l’etica della pace sulla base della situazione storico-politica del dopo guerra fredda.

La fine dell’ordine mondiale basato sulla contrapposizione dei due grandi blocchi costruiti intorno al Patto atlantico e a quello di Varsavia, osservava il documento Pace giusta, presentato a Berlino l’11 ottobre 2000 dall’allora presidente della Conferenza episcopale tedesca mons. K. Lehmann e dall’allora vescovo di Limburg F. Kamphaus, ha prodotto una nuova configurazione dei conflitti: da una contrapposizione armata fra stati diversi a guerre o situazioni di latente belligeranza interne a uno stato.

Ne conseguiva secondo l’episcopato tedesco la necessità di ridefinire i procedimenti politici, giuridici ed economici in grado di sviluppare dinamiche e relazioni di pace in seno alla società globalizzata.

L’impiego di procedure preventive e di accompagnamenti mirati in situazioni post-conflittuali, l’imperativo evangelico per la Chiesa a essere luogo storico in cui si risolvono i conflitti senza ricorrere alla violenza, e una severa valutazione dello strumento internazionale dell’ingerenza umanitaria, sia per quanto riguarda la sua copertura in sede di diritto internazionale, sia rispetto alla valutazione morale della Chiesa, erano tra i punti maggiori della riflessione.

Essa cercava tra l’altro di chiarire le conseguenze derivanti dal fatto di accordare la precedenza alla prevenzione non violenta dei conflitti; le esigenze derivanti dal dovere di promuovere uno sviluppo umanamente giusto e duraturo nei paesi del Sud del mondo; l’importanza della costruzione della fiducia e dell’elaborazione delle sofferenze e delle colpe passate nella prevenzione e risanamento dei conflitti; le modalità di un ulteriore sviluppo delle forme di collaborazione internazionale; le sfide poste dal disarmo e dal controllo degli armamenti. E infine il ruolo del cambiamento climatico nella minaccia alla pace. Tutte sfide che sono rimaste più o meno inaffrontate nel ventennio successivo, e che oggi ci troviamo di fronte ovviamente aggravate.

Nel testo si riflette anche sulla Chiesa e i suoi doveri. Infatti «il maggior contributo che la Chiesa può offrire alla pace nel mondo è quello di diventare in se stessa “sacramento di pace”, segno al quale possa guardare, nella sua ricerca della pace, una creazione profondamente intrisa di violenza. Dobbiamo chiederci, facendo autocritica, se questo segno sia riconoscibile».