Orizzonti: Migranti, donne e minori a rischio

La difficile situazione nella Giornata mondiale 2010. Ngo Dinh, responsabile area immigrati della Caritas diocesana: le famiglie vivono spesso nella precarietà, e i figli ne fanno le spese di Marta Rovagna

I diritti dei migranti? Devono essere rispettati da tutti e sempre, soprattutto quelli dei più piccoli, che vivono una «condizione straziante». Come scrive Benedetto XVI nel messaggio in occasione della Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato (17 gennaio) citando Giovanni Paolo II, «milioni di bambini di ogni continente sono più vulnerabili perché meno capaci di far sentire la loro voce».

Una voce che anche in Italia «a volte non prende corpo nel vero senso del termine. Basti pensare agli aborti clandestini di donne immigrate, maggiori rispetto alle coetanee italiane, e ai problemi che si trovano ad affrontare le famiglie dei migranti, sempre molto seri». A spiegarlo è Le Quyen Ngo Dinh, responsabile dell’area immigrati della Caritas di Roma. «Le famiglie degli immigrati – dice – vivono una situazione di precarietà maggiore nella tenuta delle loro famiglie, sia dal punto di vista economico che affettivo». E a rimetterci sono soprattutto i figli, quelli che nascono nel Paese di origine, quelli che vedono la luce in Italia e quelli che, semplicemente, non nascono.

Per la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, i rappresentanti delle comunità etniche di Roma, insieme ai responsabili dell’Ufficio per la pastorale delle migrazioni della diocesi e ai religiosi scalabriniani, saranno in piazza San Pietro per partecipare all’Angelus del Papa. Alle 16, inoltre, nella chiesa di San Vitale a via Nazionale parteciperanno alla Messa celebrata da monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas diocesana, organizzata dalle comunità romena cattolica, filippina e latino-americana.

L’attenzione è puntata sui tanti problemi che vivono gli immigrati, soprattutto minori, e sulle mamme. «In Italia è soprattutto sulle donne che grava il peso del lavoro – spiega Ngo Dinh – e in questo contesto i figli diventano un problema, perché è impossibile conciliare lavoro e famiglia». Le soluzioni sono tre: «O i figli vengono rimandati in patria, o, se si trovano nel proprio Paese di origine, non viene effettuato il ricongiungimento familiare o le donne abortiscono».

Il centro di ascolto per gli stranieri della Caritas, attivo in via delle Zoccolette dal 1981, accoglie ogni anno circa 5mila nuovi utenti, mentre sono 25mila i contatti annuali. «I migranti arrivano da noi per un passaparola – sottolinea Ngo Dinh – che funziona da anni. I nostri servizi vanno dall’orientamento legale all’alfabetizzazione e avviamento al lavoro». Ma quali migranti arrivano a bussare alle porte del centro di ascolto Caritas? «Da noi arriva – racconta la responsabile dell’area immigrati dell’organizzazione – chi vive difficoltà significative e non è riuscito a risolvere in altro modo i propri problemi. Si rivolgono a noi i migranti economici, coloro che arrivano in Italia per lavorare, profughi richiedenti asilo e, in misura minore, le vittime di tratta».

Le nazionalità sono sempre diverse, a seconda dei flussi migratori: «Tra i profughi c’è una forte presenza di persone che provengono dall’Africa, soprattutto da Somalia, Etiopia, Eritrea, Repubblica Democratica del Congo, Sierra Leone e Liberia. Nell’ultimo anno moltissimi sono stati gli egiziani, soprattutto minori». Tra essi gli afgani, «il cui flusso – spiega Ngo Dinh – è stato importante a partire da tre anni fa». Per loro la Caritas ha avviato un progetto di integrazione scolastica basato sul concetto dell’intercultura «in modo che ci sia un percorso di sensibilizzazione anche dei docenti ad un approccio non italiano centrico». Più facile, sottolinea ancora Ngo Dinh, «per i bambini che sono arrivati in Italia nel periodo delle elementari o che sono nati qui, rispetto ai ragazzi, magari adolescenti, che si trovano catapultati in una realtà scolastica difficile. Per loro è necessario pensare a un sostegno più istituzionale».

E poi ci sono gli adulti richiedenti asilo. Per loro non basta un corso di alfabetizzazione «ma bisogna mettere in campo una difficile azione di inclusione sociale, anche se – aggiunge – l’Italia non ha i mezzi per potere accompagnare queste persone in un reale percorso di autonomia». I «fortunati» che entrano nei centri di accoglienza possono rimanere solo 6 mesi, «un tempo risibile se si pensa che devono imparare una lingua, un mestiere e trovare un proprio orientamento. La situazione dell’immigrazione – conclude Ngo Dinh – è la cartina tornasole di tutte le lacune del sistema sociale dello Stato». (fonte: romasette – 11/01/2010)