Nuovo Testamento in cuffia a tutte le latitudini

di SILVIA GUIDI

Obsculta, o fili, praecepta magistri, et inclina aurem cordis tui… “Ascolta, figlio” si legge nel prologo della Regula di san Benedetto, che ha cambiato la vita di milioni di persone dal VI secolo dell’era cristiana a oggi. La cosa più semplice – ma non più facile, semplicità e facilità non sono sinonimi – è ascoltare, far posto dentro la propria mente e la propria vita a una voce che proviene dall’esterno; un messaggio che in un primo tempo può suonare estraneo, bizzarro e inattuale, ma che nel tempo si rivela capace di svelare l’uomo a se stesso.
L’organizzazione no profit Faith Comes by Hearing di Albuquerque in New Mexico, che quest’anno festeggia i suoi primi quarant’anni, è nata per far conoscere il Vangelo a chi non può o non vuole leggerlo, a chi non è culturalmente attrezzato per accostarsi a un testo – più della metà della popolazione mondiale – ma anche per i nativi digitali che sostituiscono volentieri un libro con un file audio scaricabile su iPod.
L’impegno di Faith Comes by Hearing è produrre versioni audio del Nuovo Testamento e delle Sacre Scritture nelle diverse lingue del mondo: in trent’anni le audioversioni hanno toccato ben seicento idiomi. L’ultimo arrivato è l'”esperanto cattolico”: un’audio versione della Neo Vulgata in latino è disponibile dal dicembre scorso; una copia del cd è stata presentata a Benedetto XVI durante l’udienza di mercoledì 11 gennaio. Accanto al Digital Bible Project, pensato per raggiungere due miliardi di navigatori on line e sei miliardi di smart phone e cellulari (con applicazioni scaricabili gratuitamente da http://Biblium.is), c’è anche Proclaimer, una sorta di “Pentecoste portatile”, se il paragone non suonasse un po’ irriverente, o meglio, un “megafono da campo” della Parola di Dio con alimentazione a pannello solare e a manovella per ricorrere all’energia cinetica in caso di maltempo, “in grado di funzionare – si legge nella brochure che lo accompagna – in ambienti con temperature dai meno 13 ai più 140 gradi Farenheit, anche all’aperto, sotto un albero, in villaggi completamente privi di corrente elettrica”.
Negli anni Settanta, Jerry and Annette Jackson, in missione in una riserva indiana Hopi, trovarono una grande quantità di Bibbie tradotte nella lingua dei nativi americani confinate in un magazzino; invece di perdere tempo a lamentarsi sul fallimento della strategia pastorale della Chiesa locale iniziarono a cercare soluzioni alternative per diffondere la Buona Novella: Faith Comes by Hearing è nato così. Think different! Si legge nel sito internet dell’organizzazione: il recupero della dimensione orale non è solo una necessità, vista la povertà materiale di gran parte della popolazione mondiale, ma è anche l’occasione di riappropriarsi di una dimensione del conoscere che la Galassia Gutenberg ha un po’ appannato nelle società del Primo mondo.
In fondo Gesù non ha scritto libri e non ha mai detto che saper leggere e scrivere è una precondizione per seguirlo: negli anni della sua vita pubblica ha fatto ricorso a parabole, immagini ed esempi tratti dalla vita quotidiana del popolo in cui viveva. Ascoltare un testo nella propria lingua madre fa scattare una conoscenza affettiva altrimenti impossibile, sostengono gli affiliati alla Fides ax auditu americana. This is the real meaning of reciting something by heart si legge nel sito. Imparare a memoria, nella bella espressione inglese by hearth, implica il ruolo attivo del cuore di chi si confronta con un messaggio, in un processo più vicino all’assimilazione del cibo che alla meccanica registrazione di un dato: it is a process where the words we hear become a part of us, as food becomes part of the body.
Fuori dal “mondo di Power Point”, analisi, schemi, unità didattiche da memorizzare non servono a molto: la cultura orale privilegia un approccio narrativo alla realtà, non è basata sul singolo ma sulla dimensione comunitaria, vive il “qui ed ora” ed è istintivamente diffidente verso tutto ciò che rimanda esclusivamente al futuro.
“Decine di milioni di americani sono comunicatori orali per scelta o per necessità – si legge nel sito dell’organizzazione di Albuquerque – ed è in rapida crescita il numero di persone in grado di leggere che preferiscono ricevere informazioni attraverso film, tv, e altri media”. Non è solo importante conoscere la Parola di Dio, ma ascoltarla nella propria lingua madre, evitando il più possibile il “tradimento” di una traduzione: per questo la lista delle lingue delle registrazioni Fcbh è vastissima (e destinata ad allungarsi ancora di più nei prossimi anni) e va dall’acholi ugandese al tukar uzbeko.
“Quando parliamo una lingua straniera – scriveva Albert Camus – c’è una voce dentro di noi che dice “no””; imparare una lingua straniera da adulti implica anche la rinuncia, o almeno la messa in discussione, degli aspetti affettivi del linguaggio che, insieme ad altri, strutturano la nostra identità. “Non si pensa alla stessa cosa dicendo cheese oppure dicendo fromage” amava ripetere Lévi-Strauss, perché sono troppo diversi i percorsi affettivi e sensoriali e le radici relazionali che caratterizzano ciascun individuo.
L’apprendimento di una seconda lingua comporta un distanziamento emozionale dalla lingua madre che può essere sentito come una perdita; c’è il rischio, per dirlo con le parole della linguista Julia Kristeva, di diventare stranieri a se stessi, come se si vivesse in una zona grigia di non appartenenza. Kristeva cita il Meursault di Camus – lo straniero per antonomasia – distante e insensibile per difesa contro un mondo a cui non appartiene e a cui forse non vuole appartenere. Viceversa, ascoltare il Vangelo nella lingua appresa da bambini, in famiglia, è un modo per eliminare ogni traccia di freddezza ed estraneità e sentirsi pienamente a casa, accolti e amati nella propria unicità irripetibile.

(©L’Osservatore Romano 12 gennaio 2012)