«Noi, che resistiamo sui monti»

Viaggio a Castelguidone, al confine tra Abruzzo e Molise, dove lo spopolamento ha svuotato le case e azzerato gli abitanti «Trent’anni fa avevo già previsto tutto, ma nessuno mi diede ascolto», ricorda il direttore della Caritas di Trivento, don Conti

inviato a Castelguidone ( Chieti)

«Quando si spegne una luce in una casa di Castelguidone, difficilmente si riaccenderà ». Girare in una serata autunnale con il parroco don Alberto Conti per le vie deserte di questo piccolo borgo di 300 abitanti arroccato sui monti dell’Alto Vastese al confine tra Abruzzo e Molise è una Spoon river.

Di ogni finestra spenta questo sacerdote, da 30 anni direttore della Caritas diocesana di Trivento, custodisce nomi e storie. Nella sua narrazione le vie, le case vuote tornano a vivere e ripopolarsi di famiglie come nelle fresche sere di agosto, quando da Roma (cui questa terra ha fornito taxisti e garagisti), dalla costa adriatica, da Milano, persino dall’America tornano gli emigrati. Lo si capisce dalle case ristrutturate e chiuse da settembre, quanto vivere qui è diventata una scelta difficile.

Se c’è un simbolo dello spopolamento delle aree interne italiane, che colpisce il 60% del territorio nazionale, è questa diocesi di 50mila abitanti – tra le più piccole del Belpaese –, divisa con i suoi suggestivi borghi arroccati tra Abruzzo e Molise. Perché don Alberto aveva previsto tutto 30 anni fa e oggi ci troviamo nel cuore della desertificazione demografica nazionale. «Appena nominato direttore della Caritas – spiega – commissionai uno studio al Cnca in cui si prevedeva lo spopolamento che si vede oggi. “Nel 2030 ci saranno solo lupi e cinghiali”, titolarono i giornali, ma non mi ascoltò nessuno, anzi».

In effetti lupi e cinghiali girano nei boschi, in più il borgo non ha negozi aperti sul corso, malinconicamente deserto a parte una farmacia e un bar gestito da Federica, 22 anni, insieme alla cugina: « Abbiamo deciso di prenderlo in gestione e riaprirlo sei giorni su sette». Nel locale bevono il caffè alcune donne anziane, che rivedono figli e nipoti la domenica se sono emigrati sulla costa adriatica vicina. Nella piazza principale due bancarelle vendono abiti e alimentari. Non c’è più il medico mentre resiste l’ufficio postale sotto la casa parrocchiale, aperto metà settimana. Il supermarket più vicino dista 10 chilome-tri, due corriere alla mattina collegano con i poli industriali costieri i pochi pendolari.

« Intanto il Molise – prosegue don Alberto – perde 11 abitanti al giorno, circa 4mila all’anno». I dati, come i fatti, sono argomenti testardi. Nel 1951 Castelguidone contava 1.051 abitanti, oggi sono un settimo. Nel 2019 ci vivevano 19 bambini sotto i 14 anni contro 116 ultra 65enni. Il fatidico 2030 della ricerca si avvicina, eppure questa è definita l’Italia più vera e genuina e va salvata. Si spopola per motivi demografici, per il clima mutato, ma soprattutto per scelte politiche che guardano troppo ai numeri e poco alle persone.

«I nostri diritti, anche quelli fondamentali, sono negati da una politica indegna. Dopo l’estate restare in questi paesi è una forma di resistenza», commenta il prete che usa una parola chiave. Sulla “resistenza” la Caritas ha impostato infatti l’attività quotidiana e quella promozionale della scuola di formazione diocesana all’impegno sociale e politico intitolata a Paolo Borsellino, organizzatore di speranza. In 30 anni ha tenuto iniziative pubbliche sullo spopolamento convocando e facendo prendere impegni agli amministratori, persino (invano) ai governatori delle due regioni. I riferimenti sono don Ciotti, il giudice Caselli e altri magistrati e uomini di cultura che ogni estate tengono conferenze. Perché legalità e diritti sono la chiave per rilanciare le attività produttive e riaprire le infrastrutture essenziali. Chi sta in città ha difficoltà a capire.

« Dobbiamo batterci – sintetizza don Alberto – per vivere». Per il diritto alla salute anzitutto, con la sanità decapitata dai tagli. Ci vogliono 40 minuti di strada dissestata per arrivare al “Caracciolo” di Agnone comune in provincia di Isernia noto per la Pontificia fonderia di campane Marinelli – che con 150 posti letto una volta era ospedale d’eccellenza e oggi è stato ridimensionato a presidio di zona disagiata. La sua sorte pareva segnata – perciò lo scorso 10 novembre la diocesi ha scelto di far partire dal pronto soccorso una marcia della pace – ma negli ultimi giorni si è riaccesa una piccola speranza di salvarlo. I posti sono di nuovo occupati dai pazienti acuti degli altri ospedali molisani la cui sorte, però, non è chiara.

Anche la mobilità automobilistica è difficoltosa. I collegamenti diretti interregionali tra Alto vastese e Alto Molise sono bloccati da quattro anni, quando il viadotto Sente Longo è stato chiuso per danni riscontrati dai controlli post tragedia del ponte Morandi a un pilone che reggeva una delle strutture più alte d’Italia. Secondo gli operatori economici locali le tortuose deviazioni per andare da Castiglione Messer Marino, provincia di Chieti, a Belmonte del Sannio, provincia di Isernia, sulla ex statale Istonia hanno fatto perdere il 30% all’economia di due territori depressi. Riaprire il viadotto costa 40 milioni, l’unica speranza di reperirli è far tornare all’Anas la gestione. Ma anche i collegamenti intercomunali sono precari come dimostra la statale Trignina, strategica per la connessione tra aree interne e costa, ribattezzata “strada killer” per i numerosi incidenti stradali. I sindaci dei paesi molisani e abruzzesi della valle si stanno battendo con le istituzioni per metterla in sicurezza e raddoppiarla.

Persino per l’acqua bisogna lottare. Razionata per la siccità, eppure il Servizio difesa del suolo regionale conferma paradossalmente che il Molise è ricco di oro blu e serve diversi acquedotti in altre regioni. La gestione dei servizi idrici è stata finora inefficiente perché frammentata in ogni Comune, con una dispersione del 59% stando ai dati che risalgono al 2004. La riforma dei servizi idrici prevede di affidare la gestione a un unico soggetto regionale. Egam, associazione tra i Comuni molisani, l’ha affidata alla società pubblica Grim che dovrebbe subentrare a breve. La regione in questi due decenni ha investito comunque sul monitoraggio riducendo le perdite stimate al 50%, ma per raggiungere i livelli fisiologici del 15-20% si conta sul Pnrr.

Come si reagisce allo spopolamento?

Una storia di successo è il borgo di Castel del Giudice con l’accoglienza diffusa, un meleto bio, un apiario di comunità, un birrificio.

«Dobbiamo puntare sulla cura del creato con la ripresa dell’agricoltura, che qui è davvero bio perché frutteti e uliveti insistono su terreni incolti da decenni – afferma don Conti – sulla tipicità dei prodotti e sul turismo sostenibile». Tra questi terreni, in contrada San Vito, don Alberto ha realizzato una chiesetta in pietra di case diroccate e accanto ha edificato le strutture in legno del “villaggio” con un locale già pronto che nel recente passato ha ospitato una pizzeria sociale.

«Ci vorrebbe, però, una famiglia o persone interessate a gestire la struttura, adatta anche al turismo religioso. Non è facile trovarle ». A fianco ha attivato un apiario con tre lavoratori.

Bellezze naturali e paesaggio sono una ricchezza poco nota di queste valli, nonostante le pale eoliche piazzate senza molti riguardi. « Bisogna puntare ad esempio sulle acque in salute del lago artificiale di Chiauci – afferma il direttore di Legambiente Molise, Giorgio Arcolesse – per accumulare risorsa idrica, per produrre energia elettrica e, in prospettiva, come attrattore turistico, date le valenze paesaggistiche e archeologiche dell’area come il Santuario italico dei sanniti a Petrabbondante». Il lago è stato creato sul fiume Trigno, deturpato dall’uomo. «L’acqua, però, – prosegue Arcolesse – è tornata pulita in un fiume attaccato da opere di dubbia utilità. A San Giovanni, ad esempio, un’orribile traversa di cemento armato ha deviato il fiume senza lasciare il deflusso minimo vitale. Ricompare sei chilometri a valle. Occorre intervenire». A Trivento c’è un’inversione di tendenza. Sono arrivati una trentina di persone dall’Argentina, spesso nipoti di emigrati. «A parecchi abbiamo concesso la residenza – spiega il sindaco Pasquale Corallo – che serve loro per chiedere la cittadinanza italiana». Si stanno integrando, piccolo segnale da una terra di mezzo accogliente che continua ad andare in direzione ostinata e contraria.

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L’abbandono delle terre e dei borghi colpisce il 60% delle aree interne. Soprattutto lungo l’Appennino. In alcune zone persino l’acqua è razionata e adesso si attendono i fondi del Pnrr per le condotte Nonostante la fatica di restare, c’è anche chi non si vuole arrendere. Come Federica, 22 anni, che insieme alla cugina ha preso in gestione il bar del paese. Tra i clienti, alcune anziane che, soltanto la domenica e in estate, vedono figli e nipoti emigrati sulla costa per lavorare Una storia di successo arriva da Castel del Giudice, borgo che punta sull’accoglienza diffusa, sulla coltivazione di meleti bio, e su un apiario di comunità e un birrificio. Anche la piccola chiesa è stata realizzata con le pietre delle numerose case diroccate

Sopra la “pizzeria sociale” di San Vito; il corso centrale di Castel Guidone, in provincia di Chieti e la chiesetta di San Vito