NICOLE COL BIMBO IN BRACCIO, LA FOTO SIMBOLO DELLA STRAGE DEI MILITARI USA A KABUL

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La marine Gee è una delle due donne tra i caduti americani durante l’ attacco all’ aeroporto di Kabul. Aveva 23 anni ed era di Roseville, in California. Su Instagram qualche giorno fa aveva pubblicato la foto mentre culla un neonato scrivendo “Amo il mio lavoro”
Un ex boy scout, un neo sposo che sarebbe diventato papà fra poche settimane. Ma anche la 23enne Nicole Gee, protagonista di una foto divenuta virale, con in braccio un bimbo durante le evacuazioni.

I tredici marines uccisi nell’attacco all’aeroporto di Kabul erano tutti giovanissimi, ventenni o poco più. Erano quindi solo dei bambini quando Al Qaida colpì l’America l’11 settembre del 2001, aprendo di fatto la guerra in Afghanistan che ha spezzato le loro vite a pochi giorni dal ritiro.

Il Pentagono ha pubblicato i loro nomi, fra i quali ci sono anche quelli di due donne: oltre a Nicole Gee c’è infatti anche Johanny Rosario. Lo scatto che immortala Gee mentre culla un bimbo, pubblicato dalla ragazza su Instagram la scorsa settimana con scritto “Amo il mio lavoro”, è divenuto uno dei simboli dello sforzo dei militari Usa in favore dei civili afghani. I corpi delle 13 vittime ora stanno compiendo l’ultimo viaggio verso casa: dopo uno scalo tecnico in Germania l’aereo che li trasporta arriverà in Delaware, dove ad attendere le bare avvolte dalla bandiera ci saranno i familiari. Proprio dalle famiglie filtrano le loro storie. Steve Nikoui, padre del 20enne californiano Kareem Nikoui, ha raccontato la comunicazione ricevuta in persona da due marines «evidentemente scossi» e non ha lesinato critiche al presidente Joe Biden per la gestione del ritiro dall’Afghanistan: «Ha voltato le spalle ai nostri ragazzi». Critiche alla Casa Bianca sono arrivate anche da Mark Schmitz, papà del ventenne Jared Schmitz che era nei Marines dal 2019. «Quanto accaduto in Afghanistan dimostra che bisogna avere paura dei propri leader», ha commentato. Fra le vittime americane della strage anche Taylor Hoover e Dylan Merola.

Con loro c’era Rylee Mccollum, 20 anni e neo sposo: aveva pronunciato il sì a febbraio e aspettava il primo figlio. Fin da bambino, hanno raccontato i suoi familiari, aveva sempre voluto fare il marine, «lo ripeteva da quando aveva due anni…». David Espinoza aveva chiamato sua madre in Texas mercoledì, il giorno prima dell’attentato che lo ha ucciso. «Ti voglio bene», sono state le sue ultime parole alla mamma, Elizabeth Holguin. Veniva invece dalla California il 22enne Hunter Lopez, che al rientro dall’Afghanistan sognava di entrare a far parte dell’ufficio dello sceriffo della contea di Riverside, seguendo le orme dei suoi genitori. Poco prima dell’attacco all’aeroporto anche Maxton Soviak aveva avuto una conversazione video con i genitori e aveva rassicurato la madre: «Non ti preoccupare mamma, i ragazzi non lasceranno che mi accada nulla», ha raccontato la donna fra le lacrime. Daegan William-Tyeler Page invece era un ex scout, tifoso dei Blackhawks e amante degli animali: una volta finita la missione a Kabul sarebbe voluto tornare a casa, in California. Ryan Knauss, di Knoxville in Tennessee, aveva già annunciato alle elementari di voler diventare un marine: un sogno che ha coronato entrando nell’esercito poco dopo essersi diplomato. Prima di indossare la divisa Humberto Sanchez, 22enne dell’Indiana, era conosciuto nella sua cittadina di Logansport per la sua capacità di riuscire a strappare sempre un sorriso a tutti. «Siamo devastati. Non aveva neanche 30 anni e aveva tutta la vita davanti», ha detto Chris Martin, il sindaco di Logansport.
Famiglia Cristiana