Nell’Unione la speranza

di ILARIA DE BONIS

Critiche a un capitalismo finanziario senza morale e senza controlli, impegno sociale a fianco degli impoveriti, ritorno alla sobrietà anticonsumistica: i vescovi del Vecchio continente sono unanimi nel tratteggiare lo stile cristiano davanti al declino economico. Ma nessuno intende mettere in discussione i vantaggi della moneta unica europea.

Le bandiere dell'Ue a Strasburgo

Le bandiere dell’Ue a Strasburgo. Foto di P. SEEGER/EPA/CORBIS

Il parroco di Peristeri, comune arroventato alla periferia dell’Attica, a giugno ha fatto sapere che la mensa della sua parrocchia avrebbe chiuso i battenti per l’estate. «Anche i volontari vanno in vacanza», ha annunciato padre Eustratios. Qualcuno ha protestato e lui s’è ingegnato per trovare un’alternativa. È un fatto inequivocabile che il pasto iperproteico di Eustratios, nella Grecia in crisi, consente a 850 cittadini di risparmiare ogni giorno almeno cinque euro. Alla fine del mese fanno 150, ossia la metà d’un sussidio di disoccupazione. Rimasto da solo, a luglio, il parroco ha avuto l’idea buona: preparare centinaia di pacchi, come quelli di Natale, con dentro riso, pasta, farina, legumi, olio e scatolette di tonno sufficienti per un paio di mesi. Li ha confezionati e regalati alle famiglie bisognose, che hanno tirato un sospiro di sollievo

Una chiesa ortodossa ad Atene. Foto di Y. BEHRAKIS/REUTERS

Una chiesa ortodossa ad Atene. Foto di Y. BEHRAKIS/REUTERS.

Più o meno in quegli stessi giorni un gruppo di agricoltori greci organizzava una distribuzione di frutta e verdura nel parco Pedion tou Areos di Atene: 2.700 cassette, 12 euro ognuna, per dodici chili di pomodori, cetrioli, paprika e zucchine. Per accaparrarsi una cassetta (la verdura al mercato non è per niente economica), la gente si è messa in fila alle otto del mattino. Ormai ad Atene tre persone su quattro, tra quelle che mangiano alle mense pubbliche, sono greche. La quarta è un immigrato. E viene dalla Turchia, dal Libano o dall’Iraq. Almeno 25 mila cittadini si rivolgono ogni giorno alle chiese ortodosse o ai servizi sociali comunali per mangiare. Il fatto che la malnutrizione sia diventata un problema serio (non solo tra i bambini dei quartieri “difficili” di Atene) è una verità che si tocca con mano: cala sensibilmente il numero degli scolari che prendono parte all’ora di ginnastica, ad esempio. «È un segreto condiviso tra gli insegnanti di educazione fisica quello che i ragazzi non partecipano più tanto alla lezione perché molti di loro mangiano poco e hanno giramenti di testa», confessa Victoria Prekate, insegnante e psicologa. Il portale CretePlus racconta una storia scioccante: un bambino di otto anni a Creta è svenuto tra le braccia della mamma e subito dopo ha chiesto pane e marmellata. Per giorni e giorni non aveva mangiato altro che pasta scondita.

Il cardinale Josè da Cruz Policarpo

Il cardinale Josè da Cruz Policarpo. Foto di J. M. RIBEIRO/REUTERS.

L’improvviso impoverimento del ceto medio in Grecia, Portogallo, Spagna e Italia preoccupa talmente tanto la Caritas, che il 26 giugno scorso Jorge Nuño-Mayer, segretario generale di Caritas Europa, ha firmato una lettera indirizzata ai ministri dell’Unione Europea per chiedere che la quota delle Politiche di coesione destinata al Fondo sociale europeo (Fse), raggiunga veramente i nuovi poveri e venga usata bene. «Queste somme dovrebbero fornire ammortizzatori sociali, salari minimi adeguati; servizi di qualità, case popolari e cure per l’infanzia», scrive. Perché l’Unione Europea non può significare solo austerità e sacrificio. «Abbiamo raddoppiato i turni nelle nostre mense», spiega Javier Hernando di Caritas Spagna al quotidiano El Mundo, «e anche così non ce la facciamo. Fra il 2005 e il 2007 la Caritas di Madrid ha assistito 182 mila persone, dal 2008 al 2010 queste sono diventate 322 mila». Numeri troppo elevati persino per chi la carità la fa per missione.

Corteo di “indignati” in Grecia. Foto di J. KOLESIDIS/REUTERS

Di fronte a certe spiazzanti realtà, finora comuni solo al Sud del mondo, la Chiesa europea da una parte corre ai ripari, soccorrendo come può i bisognosi tramite collette di cibo, cure mediche e volontariato. Dall’altra, le gerarchie ecclesiastiche vanno a scandagliare le cause profonde che avrebbero generato tanto degrado. Le diocesi portoghesi, spagnole, greche e italiane puntano il dito contro l’«accumulo di debito sovrano che deve essere restituito». E attaccano la società dei consumi per aver spronato la gente comune e i Governi a vivere al di sopra delle proprie reali possibilità di spesa. È una sorta di analisi della degenerazione del consumismo (accompagnato da una mancanza totale di «virtù» politica). Un punto di vista non lontano da quanto i governi «virtuosi» di Germania, Olanda e Finlandia vanno ripetendo da anni.

Mendicante in una via di Barcellona. Foto di 
ROBERTRKR/DEMOTIX/CORBIS

Mendicante in una via di Barcellona. Foto di ROBERTRKR/DEMOTIX/CORBIS

Appurato che «gli enormi livelli di debito pubblico e privato devono essere ripagati, nell’interesse delle generazioni future», ammoniscono i prelati della Commissione delle Conferenze dei vescovi della Comunità europea (Comece), questo «non deve però avvenire a discapito dei più poveri, né al di fuori dei requisiti di giustizia sociale». Porporati come il patriarca di Lisbona, il cardinale José da Cruz Policarpo, si scagliano contro un «finto benessere» che oggi appare drogato e che non è per niente auspicabile. Mentre in Spagna, il vescovo Josep Ángel Sáiz Meneses ricorda che «la crisi economica è il frutto di una concezione consumista ed edonista della vita». Una visione che, oltre certi limiti però, rischia di aumentare il senso di colpa tra i cittadini dei Paesi a rischio default. Così scioccati dall’improvvisa povertà da chiedersi se non sia una condizione in qualche modo “meritata”.

Un prete ortodosso fa la spesa al mercato nella capitale greca. 
Foto di P. ROSSIGNOL/REUTERS

Un prete ortodosso fa la spesa al mercato nella capitale greca. Foto di P. ROSSIGNOL/REUTERS

Campagne vocazionali a parte, la disoccupazione sta diventando una piaga così persistente in Europa che anche le parrocchie possono far ben poco se non intervenire nell’emergenza: 25 milioni di persone nei 27 Paesi dell’Ue sono disoccupate e 17,5 milioni di queste fanno parte dell’Eurozona. L’incremento maggiore si registra in Grecia (da marzo 2011 a marzo 2012 la disoccupazione è salita dal 15,7% al 21,9%) e in Spagna (nello stesso periodo è passata dal 20,9% al 24,6%). «La gente si arrangia come può mentre le tasse aumentano, i prezzi degli alimentari anziché diminuire crescono, e i portoghesi perdono il lavoro», racconta al Telegraph Firmino Pedro, insegnante di lingue in una scuola privata di Lisbona. «Ho due figli adolescenti che ancora vivono a casa con noi e hanno pochissime chance di trovare un lavoro in futuro. Questa situazione ci dà la misura di quello che è il tessuto sociale del Paese», confessa. La disoccupazione in Portogallo salirà al 14% quest’anno. Le uniche attività che non chiudono mai e che anzi vedono aumentare “i clienti” sono le mense dei poveri. Che forniscono ogni giorno qualcosa come 200 mila pasti caldi. «Una famiglia di mia conoscenza vive con appena 100 euro al mese», racconta uno degli impiegati delle mense comunali. Fernanda Zera, ex segretaria, da due anni costretta a campare con un sussidio di disoccupazione da 400 euro, dice che la classe media in Portogallo è scomparsa in pochissimo tempo: «Prima ne facevo parte anch’io. Ora non so nemmeno a quale classe appartengo. Faccio del mio meglio per sopravvivere».

Fotogramma della campagna voluta dai vescovi spagnoli, in cui si 
offre «un posto fisso» ai candidati al sacerdozio

Fotogramma della campagna voluta dai vescovi spagnoli, in cui si offre «un posto fisso» ai candidati al sacerdozio.

Il piano di salvataggio europeo dovrebbe ridare ossigeno a un’economia ridotta all’osso: gli aiuti della troika (Fmi, Bce, Ue) ammontano a 78 miliardi di euro. Lisbona ha già ricevuto oltre 48 miliardi, una quarta tranche di quasi 15 miliardi è stata stanziata ad aprile. In cambio il Governo di centro-destra ha dovuto adottare riforme e tagli oltre ogni immaginazione, mettendo mano alla riforma del mercato del lavoro. Il risultato è che, per far crescere la produttività, diminuiranno le tutele: sarà più facile licenziare, chi resta senza lavoro non godrà di validi ammortizzatori sociali e, dulcis in fundo, si dovrà lavorare di più, per cui salteranno alcune festività religiose. Una misura sulla quale i vescovi portoghesi non avrebbero mai voluto cedere. Ma dopo lungo negoziato, col placet del Vaticano, il Governo di Lisbona ha cancellato per cinque anni, a partire dal 2013, le festività cattoliche di Ognissanti e del Corpus Domini. Saltano anche le feste laiche della Repubblica e dell’indipendenza dalla Spagna. «Siamo malati spiritualmente e moralmente prima ancora che economicamente», ha detto il cardinale Policarpo. «E la Chiesa possiede l’unica medicina che può agire contro ogni crisi e guarire l’uomo da ogni infermità e malattia». Ma la medicina per ora sembra aver sortito solo un effetto placebo.

Una volontaria prepara il pasto per i poveri accanto alla chiesa di
 Agia Zonis, ad Atene. Foto di J. KOLESIDIS/REUTERS

Una volontaria prepara il pasto per i poveri accanto alla chiesa di Agia Zonis, ad Atene. Foto di J. KOLESIDIS/REUTERS.

D’altra parte, all’Unione Europea i prelati non rimproverano molto, anzi prendono quel che c’è di buono, correggendo il tiro: la competizione «è il mezzo, e il “sociale” è il fine» per muoversi in una economia di mercato competitiva ma responsabile, scrivono i vescovi europei nel documento A European Community of Solidarity and Responsibility, dando corpo e anima all’espressione contenuta nel Trattato di Lisbona «economia sociale altamente competitiva». A Jesus il tedesco Stefan Lunte, consulente dei vescovi europei per le questioni economiche e sociali, spiega che il dialogo tra Comece, Commissione europea, Europarlamento e Consiglio è serrato: «Abbiamo ricevuto apprezzamenti e lodi per questo testo. E l’impressione è che l’idea di “economia europea sociale di mercato”, nelle iniziative delle istituzioni europee, stia progredendo sempre di più. Inoltre continuiamo a ricevere riscontri incoraggianti anche da parte di diocesi lontane, come quella di San Francisco».

Un mendicante in una via del Distretto finanziario di Londra.

Un mendicante in una via del Distretto finanziario di Londra. Foto di S. RAYMER/CORBIS.

 

Eppure emerge altrettanto chiaramente che gli eccessi di austerità, caldeggiati da Angela Merkel e imposti dalla troika, non vengono contestati poi molto dalle gerarchie ecclesiastiche. Quantomeno non a Bruxelles. Si tende a considerare i tagli come necessari per rendere efficiente la spesa pubblica: «Credo che molto denaro pubblico non sia ben speso», risponde Lunte alla domanda se i tagli alla spesa in cambio di prestiti non siano eccessivamente penalizzanti per i più poveri. «I soldi pubblici fanno spesso gli interessi di gruppi particolari. Risparmiare su questo non lede i diritti dei più poveri. Così come fare riforme strutturali che aumentino l’età pensionabile, ad esempio, non incide direttamente sui più poveri. E in ogni caso trovo immorale spendere più di quanto si ha»

Un operaio durante un corteo indetto dai sindacati a Roma per 
manifestare contro i tagli voluti dal Governo

Un operaio durante un corteo indetto dai sindacati a Roma per manifestare contro i tagli voluti dal Governo. Foto di G. CICCIA/DEMOTIX/CORBIS.

È vero anche che in Portogallo la Commissione nazionale per la pastorale del lavoro, coordinata da Americo Monteiro, ha fatto scrivere nero su bianco: «Assistiamo quotidianamente a notizie di tagli che provocano ancora più disoccupazione, povertà, disgregazione familiare, condizioni di vita in cui non viene rispettata la dignità umana». La Conferenza episcopale italiana ha invece manifestato spesso sentimenti europeisti: l’Europa «per noi è un bene troppo grande perché resti un’incompiuta sospesa nell’aria», ha ricordato il cardinal Angelo Bagnasco all’assemblea generale della Cei, in un discorso che ha lasciato il segno per i tanti moniti sull’economia. «O un progetto abortito per il quale il problema di ciascun membro sia di trovare il modo più indolore per uscirne». Stare nell’Unione non può però rappresentare solo un sacrificio per i 27, a discapito dei principi di giustizia ed equità.

Un uomo pedala sulla sua bicicletta passando davanti a un murales 
di sapore antigovernativo disegnato in una via della città spagnola di 
Burgos. La scritta dipinta sul muro recita: «Cinquantamila milioni di 
euro per salvare le banche e 5 milioni (il 20%) di disoccupati

Un uomo pedala sulla sua bicicletta passando davanti a un murales di sapore antigovernativo disegnato in una via della città spagnola di Burgos. La scritta dipinta sul muro recita: «Cinquantamila milioni di euro per salvare le banche e 5 milioni (il 20%) di disoccupati». Foto di F. ORDONEZ/REUTERS.

Questo lo sanno bene i sacerdoti cattolici greci: «Dovendo pagare le tasse allo Stato, anche la Chiesa diventa più povera. Noi pagavamo il 17% di tasse, adesso siamo al 48,6%. Questo significa che possiamo aiutare di meno la gente», confessa don Mario Rigos, sacerdote di Corfù. «La Chiesa ortodossa gode di aiuti statali e lo stipendio lo paga lo Stato, a noi no. Quest’anno la Conferenza episcopale non avrà i soldi per le tasse imposte». Rigos spera molto nella capacità diplomatica dei vescovi di Bruxelles per riuscire a smussare le asperità della Germania.

Sciopero di studenti ed insegnanti a Madrid contro i tagli voluti 
dal Governo spagnolo. Foto di S. PEREZ/REUTERS

Sciopero di studenti ed insegnanti a Madrid contro i tagli voluti dal Governo spagnolo.
Foto di S. PEREZ/REUTERS.

Nella diocesi di Solsona, in Spagna, la crisi morde talmente tanto che il vescovo Xavier Novell, quarantenne in carriera, ratzingeriano, ottimo comunicatore sui social network (accattivante il suo profilo Facebook), dopo essersi ridotto lo stipendio del 25%, ha rivolto quattro richieste, piuttosto singolari ai suoi fedeli. La prima agli imprenditori, chiedendo loro di «creare nuovi posti di lavoro». Novell li ha esortati a «non essere ricchi insensati! A che serve accumulare, sfruttare, speculare?», ha chiesto. «Non delocalizzate, rimanete in Spagna e date lavoro ai concittadini». Il secondo appello lo ha rivolto agli stessi lavoratori: «È necessario che remiamo tutti nella stessa direzione», ha detto. «Quindi se lavoriamo di più, per meno soldi, e ripartiamo il lavoro esistente tra tutti», combattiamo la crisi. «Questo», ha ammesso, «è un tornare indietro, ma lo possiamo e lo dobbiamo fare. Perché non è tempo di lotta sociale, è tempo di sacrifici».

La Messa nella chiesa ortodossa di Agios Pandeleimon, ad Atene. 
Foto di Y. BEHRAKIS/REUTERS

La Messa nella chiesa ortodossa di Agios Pandeleimon, ad Atene. Foto di Y. BEHRAKIS/REUTERS.

Il terzo appello va dritto al cuore dei pensionati, che devono insegnare a figli e nipoti che è più importante dare che ricevere. L’ultima richiesta Novell la rivolge a tutta la diocesi, affinché a nessuno debba mancare niente: né luce, né acqua, né un’alimentazione sufficiente. A noi il vescovo più giovane di Spagna ha detto: «Non so se la crisi economica e sociale fa scattare un maggior desiderio di spiritualità ma è certo che fa moltiplicare i gesti di carità dei singoli cattolici e delle istituzioni e la Chiesa deve essere voce profetica contro un mercato che non è al servizio dell’uomo»

Tra i buoni segnali, in Spagna c’è l’aumento dei donatori dell’8 per mille: calano le somme offerte ma aumentano i fedeli che offrono del loro alla Chiesa cattolica. E ciò nonostante gli scandali (economici e non solo) che aggrediscono la roccaforte vaticana. Novell ammette che «tra tutti i battezzati, anche tra i sacerdoti e i vescovi, ci sono mancanze». Però sostiene che questi esempi negativi, che lui chiama vere e proprie «contro-testimonianze al Vangelo», sono amplificate dai mass media.

Nella verde Irlanda invece i vescovi del Consiglio per la giustizia e la pace della Conferenza episcopale hanno messo a punto un documento piuttosto dettagliato dal titolo From crisis to hope. Per passare dalla crisi alla speranza, secondo i prelati irlandesi, bisogna lavorare in direzione del bene comune. Alcuni suggerimenti: il giusto bilanciamento tra libertà e solidarietà si raggiunge tramite l’efficienza economica (anche per gli irlandesi l’economia non può non essere efficiente), la libertà individuale, la protezione dell’ambiente e la giustizia sociale.

Infine resta la nota sempre più dolente: l’euro. La prospettiva di uscire dalla moneta unica è davvero così inquietante? Risponde Lunte: «Non posso parlare a nome dei vescovi europei di questo tema, ma a livello personale posso dire: sì certo che è preoccupante! L’alternativa è quella di ritornare a valute nazionali scoordinate nell’Ue, il cui mercato comune inevitabilmente fallirebbe». Sulla stessa linea Luciano Larivera, gesuita, scrittore de La Civiltà Cattolica, che si chiede quale utilità possa avere tornare alle monete nazionali, mentre propone di puntare da una parte, «su una rimodulazione delle scadenze dei debiti sovrani, salvando sia le banche sia le persone», e dall’altra di «pensare subito a degli investimenti per creare nuova occupazione». Il gesuita si domanda anche come abbiamo potuto far crescere il debito fino a questo punto e come pretendiamo che sia soltanto la Bce a salvarci, cambiando il suo statuto

In pratica, si deve fare il possibile per non buttare all’aria la moneta unica e rispettare i Trattati, dice quasi unanimemente il clero dei Paesi europei a rischio, ma senza dover «morire d’Europa», come sta accadendo ai cittadini greci o portoghesi. Nella sua recente prolusione all’assemblea generale della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco ha parlato dell’illusione dei 27 Stati membri di «poter annegare o confondere le debolezze nazionali in una realtà più grande». Quella dell’Unione Europea, appunto. «Se poi si considera che l’incontrollabilità della situazione è il frutto di scelte frettolose anche per l’unico comparto allora considerato, quello economico, bisogna davvero che si chieda scusa agli europei e si domandi loro di ricominciare da capo, includendoli però, e senza sminuire il significato di qualche loro verdetto», ha concluso.

Tornando alla teoria, e dunque alla dottrina, il modello di riferimento per tutti è uno solo: l’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, un’attualizzazione della dottrina sociale della Chiesa. «Il documento più completo e forse l’unico di così ampio respiro», spiega Larivera. «Non posso donare all’altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro», recita l’enciclica di Papa Ratzinger datata 2009.

La soluzione a lungo termine, individuata dai cattolici europei, fa perno su concetti tutt’altro che astratti, come quello di sussidiarietà. «Che non coincide affatto con la tendenza al disimpegno progressivo del settore pubblico e alla privatizzazione del Welfare», avverte la Comece – guidata fino al marzo scorso dal vescovo di Rotterdam, Adrianus van Luyn – ma con la valorizzazione della gratuità e del dono, in una dimensione che va «oltre il pubblico e oltre il privato». Sempre entro i confini di un’Unione Europea «che è molto più dell’euro, più del crollo del sistema finanziario, della crisi del debito sovrano e più dell’economia», per dirla con le parole del cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e nuovo presidente della Commissione degli episcopati dell’Ue.

Ilaria De Bonis

jesus agosto 2012