Nella liturgia una visione multipla del mistero dell’Incarnazione. La Nascita è già annuncio della croce

di Giuliano Zanchi

Le celebrazioni liturgiche del Natale sono senza dubbio quelle attorno a cui si concentra la maggiore adesione affettiva. Per coloro che frequentano solo saltuariamente la liturgia, la partecipazione alla messa di Natale appare come l’atto religioso per definizione. Nel sentire comune gode di un affezione capace di lasciare in secondo piano anche le liturgie della Pasqua. L’immagine di Gesù come bambino ispira tenerezza. Ma il senso di quella immagine sta appunto nel grandioso e inconcepibile gesto di Dio di “scendere” nella condizione umana. Questo gesto in realtà lo si vede nel modo più evidente quando Gesù accetta di rinunciare alla sua sopravvivenza fisica piuttosto che alla sua amicizia con gli uomini. In questo Gesù fa vedere com’è Dio veramente. Dio muore lui piuttosto che costringere un solo uomo a volergli bene. Anche Dio, come noi, vuole essere desiderato e non subìto. La nascita di Gesù come figlio dell’uomo è già annuncio della grande libertà della croce. I racconti evangelici dell’infanzia di Gesù infatti, se si legge con attenzione, sono traboccanti di tragedia. Appena nato Gesù deve già essere messo in salvo dai poteri del male. Gli evangelisti Matteo e Luca sono perfettamente coscienti che raccontando la nascita di Gesù stanno già annunciando la sua passione. Il Gesù bambino dalle braccia allargate, dipinto da quasi tutti i pittori, è difatti già il Gesù in croce. Nella figura di Gesù bambino la logica del dono connessa al mistero della croce si presenta come legge stessa della condizione umana. Ogni uomo che viene al mondo è sempre un mistero di “passione”, che significa, nello stesso tempo, “amore” e “sofferenza”. Nella nascita del Figlio dell’uomo dunque i cristiani in realtà annunciano già la grazia pasquale dell’uomo nuovo.

(©L’Osservatore Romano 23 dicembre 2012)