Natura e religione

di Giancarlo Rocca

Lo studio di Olivier Landron, Le catholicisme vert. Histoire des relations entre l’Église et la nature au xx siècle, (Paris, Cerf, 2008, pagine 527, euro 48), è interessante fin dal titolo. L’autore insegna storia del cristianesimo contemporaneo nella facoltà di teologia dell’università di Angers in Francia ed è già noto, non solo in Francia, per la sua tesi di dottorato in storia sulle nuove comunità francesi, sintetizzata nel libro Les nouvelles communautés (Paris, Cerf, 2004). Basato su una notevole informazione e su una vasta bibliografia, Le catholicism vert è strutturato in quattro parti, la prima delle quali ("Nature et réflexion") è dedicata a un esame dei numerosi pensatori (teologi e filosofi in particolare) che nel corso del ventesimo secolo hanno riflettuto sui rapporti tra natura e religione. In questo quadro un posto particolare occupano sia il concilio Vaticano i che il concilio Vaticano ii, il pensiero dei Pontefici (in particolare Paolo VI, che già nel 1972 alla Conferenza di Stoccolma aveva ricordato lo stretto legame tra uomo e ambiente, e Giovanni Paolo II, il cui messaggio per la pace del primo gennaio 1990 costituisce, secondo Landron, una specie di manifesto della Chiesa sul tema della protezione dell’ambiente) il gesuita Teilhard de Chardin, la teologia della liberazione, la teologia femminista e, in una ricostruzione storica che Landron ovviamente desidera completa, anche i movimenti ecologici anticristiani, tra i quali la New Age. Nella seconda parte, "Nature et contemplation", Landron si sofferma su alcuni movimenti religiosi e artistici (pittura, musica, cinema, letteratura) nei quali il rapporto con la natura acquista un ruolo notevole. Nota come l’eremitismo, in ripresa in Francia dopo il 1960, è certamente diverso dalle nuove comunità neo-rurali, ma alla base di entrambi c’è il "deserto": un luogo di rifugio, di riparo per un avvicinamento a se stessi, di contemplazione, di stretto rapporto tra uomo e Dio. E questo tema (deserto, Eden, salmi, e così via) trova espressione anche nelle arti: pittura, cinema, letteratura, qui con Léon Bloy, Charles Péguy e Paul Claudel. La riscoperta di Ildegarda di Bingen, con i suoi lavori di teologia ma anche di medicina e sulla natura, nonché di san Francesco d’Assisi – designato da Papa Giovanni Paolo II nel 1979 "patrono degli ecologisti" – con il suo Cantico delle creature, senza ovviamente dimenticare la sua attrattiva per l’eremitismo, documentata dalla sua regola per i frati che vogliono vivere nei romitori, costituiscono un ulteriore capitolo di questa seconda parte del lavoro. La terza parte, "Nature et animation" prende in considerazione i tanti movimenti e iniziative che hanno voluto porre la natura al centro delle loro riflessioni. In questo ambito l’interesse della Chiesa per la natura si è manifestato anche attraverso la fondazione di movimenti e di istituzioni a favore dell’infanzia e della gioventù: in primo luogo le colonie di vacanze, lo scoutismo, i campi estivi, i pellegrinaggi, la pastorale del turismo, la difesa della terra. Uno spazio particolare è assegnato, in questa rassegna, ai Compagni di san Francesco, fondati in Francia nel 1927, la cui posizione è significativa per la rivalorizzazione del pellegrinaggio e la critica al mondo industriale. E in questa terza parte non poteva mancare un esame dei rapporti tra politica e religione, sempre sul tema natura (che però Landron aveva in qualche modo già anticipato, ricordando nel primo capitolo una religiosa americana, suor Dorothy Mae Stand, che si era prodigata in difesa dei contadini senza terra e dell’Amazzonia e che nel 2005 era stata assassinata) nonché un capitolo sugli animali e sul loro ruolo terapeutico. La quarta parte, "Nature et protection", prende in esame la posizione della Chiesa, qui intesa come istituzione, nei confronti della natura, e quindi: i vari movimenti a protezione della natura, il movimento Pax Christi, il commercio equo e solidale (secondo cui la miglior difesa a favore del commercio equo è quella di "consumare di meno") lo sviluppo durevole, la salvaguardia dell’acqua, degli oceani, l’agricoltura biologica, la protezione degli animali, e la questione della corrida in Spagna. Il quadro che risulta da questa ricostruzione storica è ricco di luci e ombre. A ritardare la presa di coscienza del valore dell’ambiente da parte della Chiesa starebbe il fatto, secondo Landron, che il cristianesimo ha anzitutto poggiato sul rapporto uomo-Dio, considerando, sulla base di Genesi, 1, 26, che l’uomo avrebbe avuto a sua disposizione tutto il creato. D’altro canto c’è il fatto, testimoniato dallo stesso Landron, che la prima esperienza di valorizzazione delle colonie di vacanze venne avviata da don Bosco nel 1848, quando ancora nulla esisteva in ambito civile e quando non v’era alcuna teorizzazione circa la salvaguardia dell’ambiente. Inoltre, alcune discussioni di principio (per esempio, se gli animali abbiano o no un’anima, se il creato possa essere considerato una reale espressione di Dio, in una visione panteistica) hanno certamente contribuito in alcuni ambienti a frenare l’entusiasmo e la stima per il creato, così come aveva suscitato discussioni il portare gli animali in chiesa per la messa e una loro benedizione. C’è dell’ambiguità, di fatto, o, se si vuole, qualche cosa di discutibile in questo ritorno alla natura e Landron non manca di annotarlo: nei "verdi" che misconoscono qualsiasi legame con la trascendenza; il rischio di panteismo nel modo di considerare il creato; l’amore esagerato degli animali in bambini (e anche in adulti) che sembra rimandare al bisogno di spiegazioni psicologiche sulla mancanza di amore. In tutte queste esperienze un ruolo notevole giocano i religiosi, sia nella elaborazione teorica di una difesa dell’ambiente, e quindi dell’ecologia; sia nelle numerosissime iniziative che consapevolmente i religiosi hanno sviluppato, legandosi in vario modo alla natura. Nell’elaborazione teorica trovano posto, e forse in primo piano, i gesuiti (Paul Beauchamp) e i francescani, accusati di essere rimasti a una visione un po’ romantica del Poverello, hanno ripreso lo studio del loro fondatore vedendolo come "protettore della natura", in contrasto con la società industriale che tende invece a dominarla e a sfruttarla. Per quanto riguarda le iniziative pratiche, esse spaziano dalle colonie di vacanze al microcredito elargito da tante congregazioni religiose nelle missioni per facilitare lo sviluppo locale; dalla difesa della terra (in Francia e all’estero) all’agricoltura biologica (in questo contesto interessante risulta quanto fatto dai monaci dell’abbazia de La Pierre-qui-Vire, una delle prime abbazie francesi ad adottare l’agricoltura biologica) dalla promozione dello scoutismo (il gesuita padre Jacques Sevin vi occupa un posto di rilievo) alla difesa degli animali (il padre Carré, domenicano, diventa membro del Comitato consultivo della Lega francese dei diritti dell’animale). Le esperienze presentate nel volume di Landron sono fondamentalmente francesi, anche se non mancano indicazioni per altre di carattere internazionale (come per esempio, quanto viene detto circa la cosiddetta "ecologia francescana") o sovranazionale, come il pellegrinaggio a Santiago di Compostella, e sarebbe facile indicare altre esperienze analoghe in tante nazioni, arricchendo l’informazione: i pellegrinaggi ad Assisi e a Loreto, per l’Italia; i tanti eremiti ed eremite negli Usa; le nuove comunità che hanno fatto del legame con la natura la base del loro nuovo monachesimo. Se poi si volesse andare indietro nel tempo, ricordando, nel monachesimo i giardini, la medicina (e i tantissimi orti presenti in quasi tutti i monasteri per la coltivazione delle erbe medicinali) l’astronomia, la botanica nella congregazione di Vallombrosa o addirittura la viticultura (il monaco Pierre Pérignon che nel 1698 avviava la produzione dello Champagne) si otterrebbe certamente un quadro di stretta vicinanza tra religiosi e mondo della natura molto più ricco di quanto le riflessioni teoriche in difesa della natura, necessariamente più tardive, possono lasciar supporre. (©L’Osservatore Romano – 5 settembre 2010)