Natale nella stalla come 2000 anni fa

Chiodo scaccia chiodo, si di­ce. Così in pochi ricordano che cinque mesi prima del­le due grandi scosse che a maggio hanno portato lutti e distruzione in Emilia Romagna, la terra aveva già tremato forte. Era il 25 gennaio, quasi un anno fa, e una scossa di 5,1 gradi Richter alle 9 del matti­no faceva sussultare tutto il Nord Italia, con epicentro nella Pianu­ra Padana emiliana… Un preallar­me che, riletto oggi, fa impressio­ne, ma che allora fu sottovalutato: «Molta gente è fuggita per le stra­de a Parma ma anche a Milano, in Toscana, in Trentino, in Alto Adi­ge e in Val d’Aosta – riferivano le a­genzie di stampa – mentre gli edi­fici oscillavano in modo vistoso e qualche mobile e suppellettile ca­deva a terra frantumandosi. Ma non si registrano al momento dan­ni rilevanti agli edifici…».

«E così il ‘nostro’ terremoto’ è fi­nito cancellato prima ancora del­la conta dei danni», allarga le brac­cia don Pierluigi Rossi, 44 anni, parroco di Cavacurta, in provin­cia di Lodi, che quel 25 gennaio immediatamente corse in chiesa a controllare la situazione. «Sul pa­vimento e sulle sedie era pieno di calcinacci e tra gli affreschi si era­no aperte crepe. La cosa più preoccupante era il cosiddetto ar­co trionfale, tra le navate e l’alta­re, squarciato dalla crepa più vi­stosa ». Da quel giorno i Vigili del Fuoco dichiararono la struttura i­nagibile e la comunità di Cava­curta non ha più una chiesa.

San Bartolomeo Apostolo alle spalle ha una storia secolare: risa­le al 1600 e fu edificata dai Servi di Maria, che alla fine del 1400 si stanziarono a Cavacurta con un piccolo insediamento sulle rovine di un antico castello. In seguito i religiosi costruirono il complesso del monastero, che rimase fioren­te fino a quando Napoleone Bo­naparte soppresse gli ordini mo­nastici. «Io sono arrivato nel 2009 – spiega don Pierluigi – e subito segnalai una piccola crepa che non mi lasciava tranquillo nella cappella laterale, sintomo del fat­to che la struttura antica non era più sicura… Diciamo che non tut­ti i mali vengono per nuocere: se­condo i tecnici la scossa del 25 gennaio ha dato solo il colpo di ‘grazia’, nel vero senso della pa­rola, perché rendendo inagibile la chiesa forse ha evitato una trage­dia peggiore e ha costretto a pren­dere provvedimenti».

Senonché il terremoto di Cava­curta è stato definitivamente can­cellato quattro mesi dopo dalla tragedia dell’Emilia Romagna, «e noi abbiamo continuato a gridare nel deserto», racconta il parroco, che però può contare non solo su una personale scorta di energia e iniziativa, ma anche su una co­munità agguerrita di fedeli: «Ca­vacurta ha solo 900 abitanti ed è quasi incredibile che in questi me­si abbiamo tirato su, autonoma­mente, 61mila euro», sorride sfo­gliando un quadernetto su cui ha appuntato fino all’ultimo centesi­mo entrato dalle fiere di paese, dalle torte fatte in casa, dai mer­catini, dalle esibizioni della banda e del coro, dalle tante donazioni private.

Un bel contributo, poi, è arrivato dalla Banca di Credito Cooperati­vo Centropadana «e dalla Fonda­zione della Banca Popolare di Lo­di, il cui presidente Duccio Ca­stellotti si è presentato da noi sen­za che lo conoscessimo: ha solo detto ‘qui c’è una parrocchia sen­za la sua chiesa’ e ha stanziato 34mila euro, che ci arriveranno appena iniziamo i lavori».

Ed è questa la nota fino a oggi do­lente, perché tra lungaggini buro­cratiche e qualche amnesia di troppo i mesi sono passati senza fare nulla. La chiesa di San Barto­lomeo Apostolo è stata intera­mente puntellata e i rilievi tecnici hanno evidenziato che l’arco trionfale rischia ogni momento di aprirsi, facendo collassare le na­vate. «Rimetterla in sesto e ria­prirla ai fedeli costerà 300mila eu­ro, la Cei ha già stanziato i contri­buti e, non appena la Soprinten­denza darà il nulla osta, ce li farà avere… Le carte ci sono tutte, ora speriamo a primavera».

Intanto in questi mesi le Messe si sono celebrate grazie alla genero­sità dei Cavacurtesi. In particola­re un piccolo imprenditore, Aldo Reccagni, ha interamente riordi­nato e messo a disposizione il lo­cale più vasto che aveva nell’anti­ca cascina, la stalla. È lì che don Pierluigi dice Messa da mesi, quando le celebrazioni non sono ospitate nella chiesa della attigua Camairago, i cui 800 abitanti han­no gareggiato con i vicini Cava­curtesi in spirito di iniziativa per raccogliere i fondi, o nei giorni fe­riali nella cappelletta della Regina Pacis (venti sedie in tutto), eretta da un gruppo di volontari ex atei, di ritorno da Medjugorje.

«Qui nella stalla diremo Messa an­che il giorno di Natale. Proprio co­me nella notte di 2000 anni fa», confermano le signore del paese, che arrivano alla spicciolata da o­gni direzione armate di secchi e spazzoloni per farla lucida… «Il si­sma del 25 gennaio ha dato una bella scossa alle coscienze, in­somma, creando un circolo vir­tuoso specie tra gli umili: le cose si fanno con le intenzioni dei ric­chi e i soldi dei poveri», nota don Pierluigi. Che, in fondo, anche al sisma dell’Emilia deve una bella scossa personale: «Poiché da mag­gio anche alcune parrocchie limi­trofe si sono accorte di noi e han­no raccolto aiuti, per gratitudine ho preso 2.000 euro tra le nostre offerte e sono partito per l’Emilia, decidendo che li avrei portati alla prima chiesa diroccata che avrei incontrato. A Cavezzo mi sono fer­mato».

 

Lucia Bellaspiga – avvenire.it