Mons. Shomali: Gerusalemme città condivisa e ritiro dai Territori

Il Vescovo ausiliare del Patriarcato latino sui negoziati di pace israelo-palestinesi

ROMA, domenica, 22 agosto 2010 (ZENIT.org).- La spartizione di Gerusalemme fra israeliani e palestinesi e il ritiro di Israele dai Territori occupati. Sono questi per mons. William Shomali, Vescovo ausiliare del Patriarcato latino di Gerusalemme, i due nodi chiave per la buona riuscita dei negoziati di pace in questo lembo di terra mediorientale. Ai microfoni della Radio Vaticana, il presule ha così commentato l’annuncio della ripresa dei colloqui diretti – senza precondizioni, con un limite temporale di un anno e senza un’agenda prefissata – tra israeliani e palestinesi, promossi dal presidente statunitense Barack Obama per il 2 settembre a Washington. Ai negoziati che avranno luogo alla Casa Bianca prenderanno parte il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e il presidente dell’Autorità palestinese (Ap), Abu Mazen, leader di Al Fatah. Saranno presenti anche il presidente egiziano, Hosni Mubarack, e il sovrano saudita Abdallah Ibn Husayn. Nell’intervista mons. William Shomali ha quindi indicato in primo luogo “il ritiro dai Territori occupati. Israele non aveva l’intenzione di lasciare e abbandonare tutto”. “Il secondo punto – ha aggiunto – è Gerusalemme, ma Gerusalemme fa parte del problema territoriale. Per Israele, Gerusalemme è la capitale esclusiva di Israele. Se accetta di condividere e dare la vecchia città ai palestinesi tutto andrebbe bene. Se non accettano, sarebbe un problema grosso e dunque sono due i problemi: il ritiro e Gerusalemme come città”. Sul buon esito dei negoziati, tuttavia, il presule si è detto un po’ scettico “perché questa è l’ennesima volta che riprendono le trattative, quindi abbiamo un ottimismo limitato”. “Tutto dipende – ha continuato – da quanta pressione gli americani sono capaci di esercitare sui due e specialmente su Israele per ritirarsi. L’obiettivo principale, tuttavia, resta quello dei due Stati, perché “senza i due Stati non c’è pace”. “Anche Benedetto XVI – ha ricordato il presule –, quando era il Terra Santa, lo ha detto. Ma la domanda è: lo Stato palestinese che nascesse sarà duraturo, sarà capace di avere tutte le componenti di uno Stato? Ciò vuole dire avere tutti i suoi territori, la sua capitale, le condizioni di vita. Dunque, non solo uno Stato, ma uno Stato ‘valido’, con tutte le condizioni per vivere”. Per mons. William Shomali, inoltre, la buona riuscita dei negoziati “sarebbe il migliore fattore per fermare l’esodo dei cristiani di Terra Santa con il miglioramento della situazione politica ed economica”. “Per quanto riguarda il ritorno dei cristiani – ha poi osservato – tutto dipende dall’accordo perché fra le clausole imposte da Israele finora c’era il non ritorno dei profughi palestinesi, quelli che non hanno carta di identità palestinese che vuol dire quanti erano qui nel 1967. Tutti quelli che sono partiti prima del 1967 praticamente finora sono sotto boicottaggio israeliano per tornare”. “Dunque tutto dipende dai negoziati e anche dalla buona volontà dei cristiani che sono autorizzati a ritornare, perché molti di loro stando bene fuori non vogliono ritornare – ha concluso –. Speriamo e preghiamo perché un certo numero accetti di ritornare in caso fossero autorizzati, dopo i negoziati.