Ministeri “amazzonici” (solo?)

Settimana News

di: Eugenio Chiossi

Il Sinodo per l’Amazzonia ha chiesto dei ministeri idonei a rispondere alle sfide locali, alle emergenze ambientali e al rischio della sparizione delle comunità indigene che già contano dei martiri, coinvolgendo le donne e disponendo l’eucaristia nelle comunità che ne sono prive per mesi.

Sulle donne ha chiesto di riprendere il discorso delle diacone (n. 103), che la Commissione istituita dal papa nel 2016 non ha concluso, anche interagendo con essa. Nel discorso di chiusura del 26 ottobre Francesco ha detto sì e ha sollevato un applauso.

Invece dell’ordinazione sacerdotale dei viri probati – come immaginato alla vigilia del Sinodo – si mette a fuoco quella dei diaconi (n. 111).

Sull’idoneità dei diaconi (quelli che tali rimangono) a rispondere alle sfide che più preoccupano le Chiese della regione, il documento finale dice alcune caratteristiche (104ss).

Le reazioni dei pastori che guardano con superiorità all’attuale vescovo di Roma, per lo più dottori che delle sfide non ne vogliono sapere e che alzano la voce perché teologi sopravvalutati, toccano due aspetti; sul fronte femminile equiparano il diaconato al sacerdozio e ritengono anche il primo indisponibile per i cattolici; sull’ordinazione presbiterale dei diaconi invece nulla da eccepire perché conforme alla teologia tridentina.

Le reazioni degli interessati all’aggiornamento sono caute, visto che non sanno se davvero il diaconato femminile ha delle possibilità teologiche e perché vorrebbero superare la legge del celibato ecclesiastico, un argomento diverso che si può tenere a parte.

Formare e ordinare diaconi

L’indicazione sinodale di formare e ordinare dei diaconi appare del tutto valida e in linea con la promozione della loro figura nel continente. Negli ultimi 30 anni il numero dei diaconi è cresciuto nel mondo in ragione del 342%, in America Latina e Centrale del 687%, il doppio di crescita. Questo ha fatto sì che, nel 2015, in America Latina e Centrale, il numero di abitanti per un diacono diminuisca a circa 60 mila, poco più che in Europa (50 mila), molto meno che nella media del mondo (160 mila).

Anche l’investimento della formazione sul fronte della salvaguardia del creato appare serio e conforme al dna storico-teologico dei diaconi che sono stati impiegati nella tradizione, e devono essere impiegati, per le soglie. Con eguale sapienza del profilo e dei tempi, il Sinodo per l’Africa chiese di investire i diaconi della questione della riconciliazione, scelta che riformulava quella di Cipriano nella persecuzione dell’Africa romana, quando egli affidava ai diaconi di assistere i confessori e avviare la riconciliazione dei lapsi.

Un altro fronte che i padri della Chiesa combattevano – e che è bene tener presente – è quello del discernimento relativo ai carismi e ministeri laicali; per esempio, Basilio di Cesarea affidava ai diaconi la prima disamina, il vaglio e la formazione dei ministeri idonei al periodo e alla regione.

Viste le domande della vigilia del sinodo amazzonico inerenti la materia, sembra utile riconoscere ai diaconi un estro e una competenza (certo da formare) per discernere i collaboratori che il vescovo e il presbiterio devono comunque incaricare. I pastori non devono far da soli ma chiedere ai diaconi il loro apporto.

L’accenno del documento finale che i vescovi desiderano accompagnare da vicino i diaconi è importante perché riflesso della interrelazione del ministero ordinato e ciò ha valore sul piano teologico, rinviando all’interrelazione delle persone divine fra loro e con la storia nella Chiesa, e promuovendo interrelazione intorno; i vescovi dimostrano qualità di regìa affidando ai diaconi dei compiti di discernimento ministeriale.

I compiti di soglia dei diaconi sono verifica ed emblema di un episcopato che funziona, perché, affidando la ministerialità di soglia ai diaconi, i vescovi animano la diaconia facendola guidare da ministri ordinati e sollecitano tutta l’ecclesia in questa pastorale di soglia. I diaconi a questo sono sempre stati chiamati e devono esserlo anche oggi, tutelandone il profilo a ogni livello. Per questo appare un pasticcio l’indicazione sinodale di ordinare preti i diaconi. Il bene dell’eucaristia non è superiore a quello delle relazioni di soglia e, anzi, l’eucaristia, senza i legami con le persone, celebra se stessa.

Nella Chiesa antica i ministri principali non si dedicavano primariamente all’eucaristia ma alle relazioni che fondavano (evangelizzazione) le Chiese stesse. La scelta che i padri sinodali non hanno osato chiedere al papa bisogna chiederla per prima: si ordinino preti dei viri probati, dove veramente occorre, non dei diaconi, di cui la Chiesa perderebbe l’apporto. Ordinare, forse, bisogna dei viri probati con la disciplina dei diaconi (sposati, celibi o religiosi) il cui stato di vita è fissato al momento dell’ordinazione. Non appare intelligente scegliere i viri probati fra gli anziani, come ventilato alla vigilia del Sinodo per l’Amazzonia, perché l’investimento formativo che viene giustamente richiesto e che deve essere esigente sul piano teologico e capace di rispondere alle sfide richiede dei giovani.

Il futuro dei ministri ordinati non possono essere i ministri tridentini tutti dediti al culto e si manderebbe il messaggio che i chierichettoni sono il profilo giusto dei diaconi, deprivando le periferie a favore delle sagrestie. I ministri ordinati devono assomigliare piuttosto ai collaboratori di Paolo che egli cooptava come custodi dell’opera divina e non lasciava alle case-Chiesa di eleggere da sé e per sé. I ministri del futuro non devono essere concepiti come una variabile della Chiesa locale e addirittura particolare, pena l’eccesso di maternità che rende i ministri delle comunità evangelicali dei mantenitori delle dinamiche tribali.

E le diacone?

La questione delle diacone ha valore e non si può sbrigare senza studio. Nella Tradizione apostolica non si hanno ordinazioni sacerdotali di donne quanto se ne hanno di diaconali; Febe nella Lettera ai Romani (16,1s) appare una diacono incaricata, non ancora con un ufficio universale ma una diacono; probabilmente le «donne» della Prima a Timoteo inserite nella presentazione delle caratteristiche dei diaconi (3,11) vengono indicate, se pur senza titolo, come donne con un ufficio diaconale simile a quello dei diaconi maschi.

Se le Chiese devono attenersi, aggiornandola, alla Tradizione apostolica, come norma delle proprie istituzioni, il magistero romano dovrebbe indicare con la stessa chiarezza l’indisponibilità dell’ordinazione sacerdotale e la validità di quella diaconale delle donne, e le comunità ecclesiali dovrebbero investire nelle ordinazioni diaconali e non in quelle sacerdotali. Forse nella Traditioromana e certo nella Didascalia siriaca il profilo liturgico e pastorale delle diacono le assimila ai diaconi al fianco del vescovo-presbiterio. Nelle Costituzioni ancor più il valore dell’imposizione delle mani è lo stesso di quello delle ordinazione dei diaconi, a sua volta simile a quello delle ordinazioni di vescovi e preti e dissimile dall’istituzione degli ordini minori.

Le diacone appaiono, più dei diaconi, le ministre idonee a sostenere i progetti laicali di tutela della casa comune, perché le conforma lo Spirito che apre la Terra alla sua vocazione, sull’esempio di Maria (e della Chiesa) che, nell’assunzione, dice la speranza del compimento del creato.

L’accenno del documento sinodale a trattare delle diacone «universalmente» (n. 111) ha pure valore perché la questione è teologica. Forse si potrà fare come il Concilio dispose per i diaconi con Lumen gentium 29 e Ad gentes 16: la scelta la fa il vescovo di Roma, dichiarando che si possono ordinare donne diacone, anche sposate e permanenti, mentre alle conferenze episcopali delega di discernere l’assetto idoneo alle sfide regionali. Un compito che anche per i diaconi maschi, bisognosi come noto di un “tagliando”, i Sinodi e le Conferenze continentali dovrebbero svolgere con cura.