MEETING DI RIMINI. L’uomo? È in libertà vigilata

«Emergenza uomo» è il tema del prossimo Meeting di Rimini, che si apre il 18 agosto. Un rimando anche alla cosiddetta «questione antropologica», a quel mutamento radicale della nozione “classica” di natura umana che ha superato da tempo i confini del dibattito specialistico con ricadute più che mai concrete, dalla sfera legislativa e politica a quella del costume e della vita quotidiana. In un evento che nasce nell’ambito di Comunione e Liberazione non poteva mancare un approfondimento del tema dal punto di vista, appunto, della liberazione – o meglio della libertà.

Costantino Esposito, ordinario di storia della filosofia all’Università di Bari, che presiederà una tavola rotonda ad hoc, mette luce un’aporia da cui partire per la riflessione. Ovvero la presenza oggi «da una parte di un’idea di libertàabsoluta, svincolata da ogni rapporto, puro feeling individuale»; la libertà come «pratica di diritti», la cui richiesta si allarga a dismisura. Dall’altra parte, la presenza di una visione riduzionista dell’uomo influenzata dalle scienze, che svaluta o nega tout court la possibilità di un agire veramente libero. «In entrambi i casi – spiega Esposito – la libertà non è intesa come qualcosa di originario, ma di costruito: l’uomo è libero quando gli vengono riconosciuti certi diritti, quindi è il riconoscimento da parte dello Stato che fonda la sua libertà; oppure questa è l’esito di dinamiche puramente naturali». Al fondo di tale apparente contraddizione c’è quindi un elemento comune, «il non intendere la libertà come una irriducibilità originaria. Mentre noi siamo dati a noi stessi e la nostra libertà non è “costruita” da noi o dal potere culturale». Per Esposito la libertà è al contrario «uno dei modi più interessanti, più stringenti in cui l’uomo si può accorgere del mistero», di qualcosa cioè che lo supera e in rapporto al quale «scopre in se stesso una capacità di apertura che non è riconducibile a qualsiasi altro antecedente».

Per Salvatore Natoli, già ordinario di filosofia teoretica all’Università di Milano Bicocca, il problema in questione lo si può vedere in una duplice prospettiva. Una è quella della «libertà negativa» e delle sue innegabili conquiste: «L’uomo nella storia ha dovuto emanciparsi da comandi che reprimevano la sua soggettività e gli impedivano di scegliere quello che la sua intelligenza gli indicava. Ci sono processi storici e situazioni in cui alcuni uomini condizionano l’agire di altri. Ora, c’è un tipo di libertà “impediente” – secondo Hobbes lo Stato moderno nasce da questo – dove c’è un potere che impedisce agli uomini di distruggersi, c’è un’interdizione che costringe coloro che vogliono essere nocivi agli altri a non farlo; ma ci sono anche poteri che non permettono all’uomo di realizzare le proprie potenzialità, oppure lo tengono schiavo per sfruttarlo. La storia della modernità, nella sua dimensione più positiva, la possiamo chiamare storia dell’emancipazione, nel senso che i soggetti hanno allargato sempre di più l’ambito della loro decisione. Uno di questi esiti è la democrazia, nella sua forma più corretta, in cui nessuno ha il diritto di restringere la libertà di un altro, ma si discute insieme per decidere la tutela delle reciproche libertà». Questo è insomma il successo, innegabile, della libertà negativa: si sono rimosse le costruzioni autoritarie «che impedivano agli uomini di vivere liberamente e di confrontarsi su un piano di parità circa le loro scelte». Altra cosa, però, continua Natoli, è porsi sul piano della «libertà positiva», che non è semplicemente libertà dalla costrizione, ma l’essere liberi per fare qualcosa. Per il bene o per il male. «Io non posso essere privato della libertà – continua il filosofo – però nel momento in cui scelgo, posso essere uno che fa un cattivo uso della libertà. Anche qui c’è un paradosso: l’uomo è libero di scegliere, perché può fare anche il male. Ma se fa il male la sua diventa una libertà distruttiva. La ragione per cui un uomo non può compiere certi atti non è quindi perché “non li può fare”, ma è perché praticando il male arriva al punto in cui distrugge la possibilità stessa di decidere. Se si guarda la cosa dal punto di vista dell’intenzione del soggetto, la libertà per il bene diventa, quindi, quasi una necessità, perché non si può andare contro la natura. Come dicevano già gli antichi: se vai contro la tua natura alla fine la paghi. Oggi il vero problema è decidere che cosa è bene e che cosa è natura».

Eugenio Mazzarella, ordinario di filosofia teoretica all’Università degli Studi di Napoli, anche lui una voce della tavola rotonda al Meeting, sposta l’attenzione sul piano sociale: «Nelle nostre società liberal-democratiche siamo abituati a raccontarci un’incondizionatezza della libertà che poi si scopre non essere tale. La libertà si scopre essere una libertà vigilata a causa di strutture politiche, economiche, finanziarie, ossia di dimensioni che ci travalicano. E non siamo nemmeno condizionati in modo eguale: c’è un’asimmetria tra chi si può permettere spazi di libertà in funzione dei propri mezzi e chi invece non può. Una libertà disuguale che satura le relazioni sociali di conflittualità». Mazzarella cita Zygmunt Bauman, secondo cui «nella modernità liquida» la libertà che viene promessa o attesa si rivela spesso un miraggio: senza la sua «forma», «la libertà negativa mostra cioè tutto il suo vuoto». E invita a concentrare l’attenzione sulla crisi antropologica in corso, che è «una sorta di inversione dei tre beni fondamentali che Kant aveva individuato e ordinato: prima il bene dell’anima, poi il bene politico, infine il bene del corpo. La società contemporanea vede invece al primo posto il bene del corpo, che è l’asset principale della libertà oggi. Viviamo nella società delle tre “s”: sesso, soldi, successo. Dovremo ripensare questa gerarchia. Il bene non può ridursi a bene del corpo nell’accezione appena citata. Dev’essere un bene che coinvolge anche gli altri, un bene del “noi”, ma anche un bene capace di porsi in un orizzonte di trascendenza. Perché, rifacendomi a un detto napoletano: si può vivere senza sapere perché, ma è molto complicato…».

Andrea Galli – avvenire.it
Meeting-Rimini-2013
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