Mariss Jansons, un Brahms “corale”

Il Requiem tedesco di Johannes Brahms (1833-1897) è una partitura densa e complessa che, nel cammino di un interprete, rappresenta inevitabilmente un punto d’arrivo, a cui avvicinarsi con estrema cautela e doveroso rispetto; un’opera che non ammette cali di tensione e richiede una precisa visione d’insieme, tanto ricco e intricato si rivela l’intreccio di riferimenti formali, stilistici e testuali a cui attinge. La lettura firmata da Mariss Jansons, a capo della Royal Concertgebouw Orchestra e del Netherlands Radio Choir, appare convincente e coinvolgente sin dal primo movimento – Selig sind, die da Leid tragen (“Beati gli afflitti”) – vera e propria dichiarazione d’intenti che si apre con una trama sonora alquanto cupa e sinistra, fra le tessiture scure e tenebrose dell’introduzione affidata a viole e violoncelli sull’accompagnamento di corni, violoncelli, contrabbassi e organo.
Al di là del suo evidente impatto emozionale, quella del direttore lettone è una interpretazione basata soprattutto su un approccio “corale”, nel senso più esteso e partecipativo del termine, che coinvolge tutte le parti chiamate in causa – orchestra, coro e cantanti solisti (il soprano Genia Kühmeier e il basso Gerald Finley) – in una profonda meditazione sul mistero dell’esistenza che, a dispetto dell’organico e della monumentalità della struttura, conserva scrupolosamente la dimensione intima e privata propria di «uno tra i più grandi e personali colloqui con la Morte», come l’illustre critico Alfred Einstein ha definito il capolavoro di Brahms.
Lungo queste traiettorie Jansons e compagni affrontano il Deutsches Requiem essenzialmente come un maestoso inno in cui i temi della consolazione dei viventi e del riposo dei defunti si affiancano in una prospettiva che trova compimento nell’episodio finale, estremo canto suggellato dalle parole tratte dall’Apocalisse di san Giovanni: «Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono».
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