Manipolare la vita? La scienza (forse) ci ripensa

Sono tre gli appelli recenti di autorevoli scienziati per una moratoria sugli esperimenti di manipolazione genetica di gameti ed embrioni umani. Pubblicati sulle riviste Nature e Science i primi due, e formulato dalla International Society for Stem Cell Research il terzo, pur con differenze nei toni, esprimono tutti forti preoccupazioni per l’uso di una particolare tecnica – il gene editing, una sorta di ‘chirurgia genetica’ –per modificare ovociti, spermatozoi ed embrioni umani. Come ha già scritto Avvenire, si tratta di una manipolazione genetica molto promettente per alcune patologie incurabili, che però è stata messa a punto per cellule somatiche, cioè tutte le cellule del corpo umano tranne quelle riproduttive. Di conseguenza, le modifiche introdotte adesso nelle persone malate non vengono trasmesse alle generazioni successive, cosa che invece accadrebbe se a essere manipolati fossero spermatozoi, ovociti o embrioni.

Allo stato attuale dei fatti non è possibile prevedere le conseguenze sui bambini nati a seguito di queste modifiche. Gli esiti potrebbero essere devastanti, e oltre al danno incommensurabile per le persone direttamente coinvolte sarebbe screditata una tecnica che potrebbe invece portare benefici enormi, se applicata negli altri tipi di cellule.

L’allarme è stato lanciato all’inizio di marzo da una lunga inchiesta della
Mit Technology Review, di Antonio Regalado: ha visitato laboratori e intervistato scienziati, a partire da George Church, della Harvard Medical School, dove è docente di Genetica. Church ha firmato l’appello suScience.

Nel laboratorio di Church lavora Luhan Yang, uno studioso cinese che ha avuto un ruolo importante nella messa a punto di una variante del
gene editing (con una sigla impronunciabile, Crispr-Cas9), per ora applicata sul Dna di maiali e mucche. È proprio Yang a rivelare che nel laboratorio di Harvard è in corso una ricerca per stabilire come la stessa tecnica possa essere applicata a gameti umani.

Secondo Yang sarebbe proprio questa – una tecnica per alterare l’ereditarietà – la grande conquista del nostro tempo, equivalente a quella delle vaccinazioni del secolo scorso. Attualmente la possibilità di introdurre modifiche ereditabili nel Dna umano è vietata in molti Paesi, condannata da società scientifiche e da convenzioni internazionali, come quella di Oviedo. Ma sono dichiarazioni fatte quando ancora non era possibile alcuna modifica genetica delle cellule riproduttive, mentre adesso questa possibilità c’è, ed è relativamente accessibile. Diversi laboratori al mondo sono già all’opera in questo campo: a Boston, in Cina e in Gran Bretagna. A Cambridge c’è un’azienda che se ne occupa, con un nome molto evocativo: «OvaScience» – ricorda le Uova Fatali di Bulgakov – fondata quattro anni fa.

Alcuni intervistati hanno ammesso che esperimenti di questo tipo sono già stati condotti in Cina, e che risultati su embrioni umani manipolati geneticamente sono all’attenzione di riviste scientifiche.

D’altra parte già adesso al McGovern Institute for Brain Research del Mit (Massachusetts Institute of Technology) si sta studiando come modificare in alcune scimmie un gene coinvolto nell’autismo.

Allo stato attuale la tecnica ha un’efficacia scarsa, perché il ‘taglio’ del Dna non sempre avviene nelle posizioni desiderate, portando quindi a modifiche genetiche imprevedibili. Ma l’interesse è enorme. Lo scorso 17 dicembre a Manhattan, al Benjamin Hotel, si è svolta una presentazione di OvaScience destinata agli investitori del settore: la compagnia vuole aumentare il capitale di 132 milioni di dollari. Ha preso la parola David Sinclair, docente di Genetica alla Harvard Medical School, indicato dalTimes fra le cento persone più influenti al mondo. Sinclair ha annunciato gli sviluppi che «veramente cambieranno il mondo» e che consentiranno ai genitori di determinare «quando e come avranno figli e quanto questi bambini saranno in salute». Una volta messa a punto, la tecnologia sulle cellule staminali ovariche, a cui anche OvaScience si sta dedicando, le donne infertili potranno produrre centinaia di uova, e quindi di embrioni, e grazie alla possibilità di sequenziarne il Dna, sarà possibile
scegliere il più in salute fra tutti.

Sinclair ha illustrato la possibilità di utilizzare il gene editing per far nascere bambini senza malattie genetiche. Una tecnica attualmente sperimentale, ha ammesso, a cui lavora insieme al professor Church. In questo settore di ricerca OvaScience non ha ancora pubblicato risultati: molti ricercatori dubitano fortemente della effettiva possibilità che ve ne siano, almeno in tempi brevi. Anche la American Medical Association è contraria alla manipolazione di gameti perché «incide sul benessere delle future generazioni» e ne possono seguire «risultati imprevedibili e irreversibili».

Dichiarazioni fatte quando la tecnica non era praticabile. «Non era difficile rinunciare a qualcosa che non si poteva fare», osserva Greely, docente di etica della Stanford University.

Anche se per ora applica il gene editing solo agli animali, George Church sta guardando con interesse alla possibilità di poterla usare, in futuro, per curare patologie ma anche per migliorare l’umanità, potenziandola. Ai congressi mostra spesso una diapositiva con un elenco di dieci varianti di geni associati a particolari qualità o resistenze a patologie: dalla possibilità di avere ossa pressoché impossibili da rompere all’insensibilità al dolore, alla resistenza a virus, fino alla protezione contro l’Alzheimer e qualche forma di diabete. Ci sarebbe quindi la possibilità, almeno teoricamente – ma non astrattamente – di utilizzare questa tecnica come ‘prevenzione’ estrema per via genetica.
La parola chiave è, naturalmente, ‘eugenetica’. Il dibattito è enorme. Finora riguardava solo possibilità ipotetiche, ma ora la domanda si fa urgente: una volta risolti i problemi legati a efficacia e sicurezza, se e quando i benefici supereranno con sufficiente evidenza i rischi, applicheremo tutto questo all’uomo?

Il 24 gennaio una ventina fra scienziati, giuristi e bioeticisti si sono riuniti per discuterne, convocati da Jennifer Doudna, la ricercatrice di Berkley che ha inventato una tecnica di gene editing. Fra i convocati anche Paul Berg, un biochimico di Stanford noto per aver organizzato la storica conferenza di Asilomar, nel 1975, quando gli scienziati si accordarono – con successo – per una moratoria sulle tecniche per il Dna ricombinante. Doudna adesso vorrebbe fare altrettanto, ma i tempi sono radicalmente diversi, e una replica di Asilomar per il gene editing sembra una possibilità remota. «La ricerca biotecnologica è globale, impiega un gran numero di persone. Non è facile far tornare il genio dentro la lampada», commenta l’autore dell’inchiesta. Doudna ritiene che questi esperimenti vadano fatti «in sistemi non umani»: sono questioni che «vanno al cuore di ciò che noi siamo come persone, e pongono il problema se gli esseri umani possano esercitare questo tipo di potere. Se il gene editing è condotto sugli esseri umani cambierà l’evoluzione umana». E non solo la ricerca, ma tutti dovremmo fermarci a riflettere, oltre che sulle questioni di sicurezza ed efficacia, su cosa effettivamente vogliamo fare del nostro futuro.

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