Mancanza di fede e nullità matrimoniale

di: Emanuele Tupputi – settimananews.it

Sono sempre più frequenti, nelle nostre parrocchie, i matrimoni celebrati tra una persona battezzata nella Chiesa cattolica e credente e una persona che, pur essendo stata battezzata nella Chiesa cattolica, non si dichiara più credente o ha dubbi di fede, o vive la fede senza un’assidua pratica sacramentale, che considerano facoltativa e liberamente disponibile[1].

Queste fattispecie creano non poche difficoltà tra i Pastori, i quali, da una parte, si pongono il problema di quale percorso di preparazione proporre a questi nubendi, dall’altra, si domandano che tipo di matrimonio celebrano e se assistono ad un matrimonio di fatto nullo, a causa della mancanza di fede di uno dei due nubendi.

Inoltre, con la pubblicazione del Mitis Iudex Dominus Iesus (MIDI) di papa Francesco si è divulgata un’errata interpretazione di un articolo del documento pontificio, precisamente l’articolo 14 § 1 delle Regole procedurali del MIDI[2] (dove si parla della mancanza della fede come circostanza che può essere considerata per la trattazione della nullità matrimoniale per mezzo del processo più breve davanti al vescovo), secondo cui si ritiene che la mancanza di fede possa essere invocata come un nuovo capo di nullità matrimoniale.

In realtà, così non è, in quanto è dottrina costantemente insegnata dal Magistero della Chiesa che la situazione soggettiva di fede del nubendo, non incide sulla validità del sacramento del matrimonio (cf. Familiaris consortio n. 68). Secondo il Codice di diritto canonico, infatti, ciò che fa sorgere il sacramento del matrimonio è il consenso degli sposi, il quale consiste in un atto di volontà attraverso il quale si vuole costituire il patto coniugale (cf. can. 1057). Così, ciò che fa sorgere il matrimonio non è la fede degli sposi, ma la volontà di sposarsi secondo il disegno di Dio sul matrimonio.

Pertanto, un matrimonio si costituisce validamente anche se uno dei due nubendi (sebbene battezzato) si dichiara non credente, purché voglia celebrare un matrimonio come lo intende la Chiesa. Perciò non si richiede una fede piena e totale sull’insegnamento della Chiesa sul matrimonio, ma si richiede di volere un matrimonio sacramentale come lo intende la Chiesa.

Questa affermazione, però, non significa chiedere ai nubendi non credenti un atto fede sul sacramento del matrimonio, bensì di verificare che la loro volontà sia orientata al contenuto del matrimonio come voluto da Dio.

Fare ciò che vuole fare la Chiesa significa volere, e quindi non escludere, che il matrimonio sia un patto tra un uomo e una donna, esclusivo e indissolubile, finalizzato al bene degli stessi sposi e a quello della prole. Qualora i pastori non riscontrassero questi requisiti, sono chiamati a differire la celebrazione del matrimonio o, in alcuni casi, a proibirla, poiché assisterebbero ad un matrimonio nullo per mancanza di volontà.

Alla luce di queste precisazioni, si comprende che la mancanza di fede non costituisce un nuovo capo di nullità e, nell’art. 14 § 1 del MIDI, tale mancanza viene menzionata «sia in quanto è alla base dell’errore che determina la volontà circa l’unità, l’indissolubilità o la sacramentarietà del matrimonio (per es.: “Voglio un matrimonio che si possa sciogliere o che non sia sacramentale”), sia in quanto causa o motivo per escludere il matrimonio o una sua proprietà/elemento essenziale (per es.: “Escludo il bonum coniugum, i figli, l’indissolubilità, la sacramentalità”). Tuttavia, non si può negare che la fede personale abbia un ruolo importante nel matrimonio cristiano.

La fede si colloca allora non direttamente al livello della validità del matrimonio, ma a quello della sua fruttuosità [NdA (cf. Sacrosanctum concilium, n. 59)]. Occorre quindi un’evangelizzazione o una catechesi pre e post-matrimoniale, perché ogni persona possa celebrare il matrimonio non soltanto validamente, ma anche fruttuosamente.

Non per nulla papa Francesco, nell’allocuzione alla Rota Romana del 21 gennaio 2017, ha insistito sulla formazione dei giovani a riscoprire il matrimonio e la famiglia secondo il disegno di Dio[3], parlando di “un nuovo catecumenato”.

Il papa ha ribadito questa idea nella sua allocuzione alla Sacra Rota del 29 gennaio 2018 con queste parole: “Ho già avuto modo di raccomandare l’impegno di un catecumenato matrimoniale, inteso come itinerario indispensabile dei giovani e delle coppie destinato a far rivivere la loro coscienza cristiana, sostenuta dalla grazia dei due sacramenti, battesimo e matrimonio”.

Dopo aver insistito sul fatto che “matrimonio e famiglia sono il futuro della Chiesa e della società” e che “la fede è luce che illumina non solo il presente, ma anche il futuro”, papa Francesco ha ricordato la necessità di “favorire uno stato di catecumenato permanente, affinché la coscienza dei battezzati sia aperta alla luce dello Spirito”.

L’intenzione sacramentale non è mai frutto di un automatismo, ma sempre di una coscienza illuminata dalla fede, come il risultato di una combinazione tra umano e divino. In questo senso, l’unione sponsale può dirsi vera solo se l’intenzione umana degli sposi è orientata a ciò che vogliono Cristo e la Chiesa»[4].

[1] Su questo tema si rinvia al documento della Commissione Teologica Internazionale, Reciprocità tra Fede e Sacramenti nell’economia sacramentale, pubblicato il 3 marzo 2020, il cui testo integrale è edito nel sito ufficiale della Santa Sede (www.vatican.va). Cf. anche: D. Marrone, «Fede e matrimonio. Il matrimonio tra battezzati non credenti», in L’amico del Clero 104 (2022/5), 282-286. In questo articolo l’A. evidenzia come la crisi sacramentale che è in atto ha a che fare: «con un più generale smarrimento del senso di Dio che imperversa in Occidente, con la perdita dei significati simbolici o la sua riduzione a pura emotività, con un certo tramonto della dimensione festiva del tempo e della vita perlopiù ridotto a puro godimento estetico nello stordimento del consumismo, con l’emorragia della pratica credente soprattutto tra i giovani, con l’avanzare di un secolarismo individualista che induce alla dimensione comunitaria, con l’incomprensibilità di cui gesti e parole cristiane, e in generale la stessa ars celebrandi, sono vittime. I motivi di una tale crisi sono variegati e numerosi e in generale ci riferisce ai modelli culturali del secolarismo occidentale, a quel graduale svuotamento di significati, di domande, di speranze e di sogni cui ci conduce il principio della merce di scambio che regola la nostra società e che – come già affermava il teologo tedesco Metz – ci vuole rendere tutti “analfabeti felici”, “adatti alla routine” […] La crisi sacramentale, a ben vedere, è complessa e ha radici profonde e lontane e richiede una riflessione generale e approfondita di tipo ecclesiale e pastorale. Pastorale significa, a mio avviso, anzitutto mettere al centro di ogni riflessione il compito fondamentale della Chiesa di annunciare il vangelo del matrimonio e della famiglia alle donne e agli uomini del nostro tempo […] un aspetto così determinante per la solidità e verità del sacramento nuziale, richiama i parroci ad essere sempre più consapevoli del delicato compito che è loro affidato nel gestire il percorso sacramentale matrimoniale dei futuri nubendi, rendendo intellegibile e reale in loro la relazione tra «foedus» («patto») e «fides» («fede»). Occorre passare da una visione prettamente giuridica e formale della preparazione dei futuri sposi, ad una fondazione sacramentale ab initio, cioè a partire dal cammino verso la pienezza del loro foedus elevato da Cristo a sacramento».

[2] «Tra le circostanze che possono consentire la trattazione delle cause di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve […] si annoverano per esempio: quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà»: Francesco, Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2015, 32.

[3] NdA: A tal proposito è stato saggiamente evidenziato come il tempo della preparazione al matrimonio debba essere «un tempo favorevole per rinnovare il proprio incontro con la persona di Gesù Cristo, con il messaggio del Vangelo e con la dottrina della Chiesa. La finalità di questa preparazione consiste, quindi, nell’aiutare i fidanzati a conoscere e vivere la realtà del sacramento del matrimonio che intendono celebrare, perché, lo possano fare non solo validamente e lecitamente, ma anche fruttuosamente, e perché siano disponibili a fare di questa celebrazione una tappa del loro cammino di fede […] È necessario promuovere nei nubendi la consapevolezza che l’esperienza antropologia del patto coniugale è portatrice di un riferimento teologale, così da non poter essere assunta integralmente senza la minima apertura al trascendente. Abbiamo un chiaro riferimento di tutto questo al n. 52 della Lumen fidei: “Fondati su quest’amore, uomo e donna possono promettersi l’amore umano con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede”»: D. Marrone, «Fede e matrimonio. Il matrimonio tra battezzati non credenti», 286.

[4] G-H. Ruyssen, «Mancanza di fede e nullità matrimoniale. La questione dei battezzati non credenti», in La Civiltà Cattolica II (2018), 444-445.