«Ma noi non ci saremo». Mondiali di calcio. Come un Natale senz’albero. E spero che vinca il Senegal

Alle 17 a Mosca, stadio Luzhniki, comincia il Giudizio Mondiale. «Ma noi non ci saremo», che non è solo il caro, triste refrain di una canzone dei Nomadi scritta da Guccini , ma l’italica realtà pallonara che ci vuole amaramente fuori dai giochi. Un nomade della panchina come Bora Milutinovic ha detto una santa verità: «Un campionato del mondo senza l’Italia è come un 25 dicembre senza albero di Natale».

Sono nato nel 1969, undici anni dopo Svezia 1958, l’ultima assenza degli azzurri a un Mondiale di calcio, e non mi era mai capitato di assistere a uno di essi da semplice spettatore neutrale. In questa melanconica vigilia confesso che non sarà facile appassionarsi, a partire da una gara inaugurale che, specie agli amanti del pallone, propone un non augurabile Russia-Arabia Saudita. Roba da rimpiangere il Mundialito per club dei primi anni 80 del Novecento a San Siro: era un torneo infarcito di squadre blasonate, con rose miste piene di globetrotters – anche immensi – a caccia di ingaggio, tipo Johan Cruyff che giocava con la maglia del Milan. Ma almeno quelle erano esibizioni estive, con l’obiettivo dichiarato del lancio dello spettacolo calcistico come mero prodotto televisivo. Quasi quarant’anni dopo obiettivo straraggiunto: il calcio esiste solo grazie a nostra Signora Tv e, proprio come il Mundialito di allora, anche il Mondiale lo si può vedere solo su Canale 5.

È il calcio degli amici e dei figli di Putin, quello dei potenti e dei poteri forti. Ecco, sarà perché noi non ci saremo, ma questo Mondiale, diciamoci la verità, lo vivremo quasi tutti con l’aria un po’ seccata di chi va al cinema quando non ha di meglio da fare o del telespettatore distratto disposto anche a sorbirsi la finale di “Amici” di Maria De Filippi con il classico rantolo disperato della moglie che, mentre stira montagne di panni, sospira: “Stasera non c’è proprio niente in tv”.

Miseria e nobiltà, che fu. Non c’è più neanche un Balotelli o un Cassano in campo a dividere il Paese reale o un qualsiasi Pellè a far disperare il Bar Sport mentre calcia alle stelle un eurorigore. Si era ai tempi della Nazionale di Conte, il ct Antonio, da non confondere con il Conte premier. Non ci resta che piangere, anche al pensiero che qualora ci fossimo stati a questo Mondiale di Russia, e magari ci andava anche di lusso di arrivare fino in fondo, poi nella tribuna delle autorità chi avremmo inviato? Visto che questo si annuncia come il Mondiale più “politicizzato” del millennio giro la domanda a voi italiani, ai “ragazzi tristi” come me, a quelli che in queste notti per niente magiche, magari almeno per 90 minuti si appassioneranno al piccolo Panama o alla nuova saga dell’Islanda. Costretti a tifare per tutti e per nessuno. Io tifo per la speranza, che a volte nasce proprio da un pallone.

E allora spero che prima o poi sia il Senegal, o comunque un’africana (beati gli ultimi!), ad alzare questa benedetta Coppa. Ma spero soprattutto che non ci sia mai più un altro Mondiale in cui girare a vuoto per la città e canticchiare tristemente «ma noi non ci saremo».

da Avvenire