Lo “Stabat Mater” siciliano di Sollima abbraccia la Croce e Gesù Bambino

Fa uno strano effetto, non c’è dubbio, sentir risuonare sulla soglia del Natale lo Stabat Mater, il racconto in parole (e musica) del dolore di Maria sotto la croce. Succede a Catania dove ieri sera (replica oggi alle 17.30) è stato eseguito in prima assoluta al Teatro Bellini (che lo ha commissionato) lo Stabat Mater di Giovanni Sollima modellato non sul latino della sequenza che la tradizione attribuisce a Jacopone da Todi, ma su un testo in siciliano scritto appositamente da Filippo Arriva. «Madunnuzza, Madunnuzza, anneja lacrimi l’armuzza. A la cruci ’ncugnata di lu figgjio ca poinneva » canta il coro in un siciliano pastoso e denso che traduce il celeberrimo incipit latino «Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa, dum pendebat Filus». La scena del Calvario, di Maria sotto la croce. Passaggio essenziale per la Pasqua di Resurrezione che non potrebbe compiersi se non ci fosse il Natale, se non ci fosse l’Incarnazione. Tanto più che, lo hanno fatto notare in molti, il legno della mangiatoia dove Maria pone Gesù Bambino non può non richiamare il legno della croce.

Ecco il filo rosso, i rimandi che rendono “natalizia” una pagina tipicamente pasquale che Sollima ha scritto per controtenore, coro, theremin e orchestra. Il compositore e violoncellista siciliano sarà sul podio di orchestra e coro del Teatro Bellini, Lina Gervasi al theramin mentre a dare voce al dolore di Maria, un dolore che trasfigurato dalla musica si fa universale, sarà il controtenore Raffaele Pe. «Ho fatto leggere il testo del mio Stabat Mater siciliano a Riccardo Muti e lui mi ha indirizzato da Giovanni Sollima» racconta Filippo Arriva, catanese, classe 1952, giornalista, scrittore, autore televisivo e radiofonico. Una partitura commissionata a Sollima dal Teatro Bellini. «Un impegno qualificante per il nostro teatro che promuove la commissione di nuove opere a prestigiosi autori siciliani, affidandone l’esecuzione alle proprie formazioni orchestrali e corali» spiegano il commissario straordinario Daniela Lo Cascio e il sovrintendente Giovanni Cultrera.

«Il dolore è una forma espressiva estremamente forte in musica. Noi abbiamo bisogno di raccontarlo dandogli una forma atemporale, universale. Nella scrittura, nel mettere in musica il testo siciliano mi sono mosso tra il rituale e i tanti risvolti di un dolore, evitando ogni forma di folklore» racconta Sollima. Una partitura in otto movimenti, frammentati a loro volta in più segmenti nei quali vengono esplorate diverse vocalità. «La scrittura è visionaria, febbrile per assecondare il testo che è interamente in siciliano anche arcaico. Io ho cercato diverse forme di vocalità che vanno dalla voce incredibile del controtenore Raffaele Pe al theremin che si fa voce tra le voci fino ad arrivare a un uso molto particolare delle percussioni » spiega il compositore. «Figghiu me picciriddum’arricogghi lu pinseri cuannu scausu currevi bambineddu n’da sti vrazza» immagine poetica e potente di una madre che, tenendo tra le braccia il corpo del figlio morto, ricorda quando da piccolo lo abbracciava. La canta Raffaele Pe. «Mi sono emozionato a leggere il testo di questo Stabat Mater. Credo che questo siciliano in cui è stato scritto abbia davvero qualcosa da dire e ce lo dica in maniera diretta e profonda: questa lingua ci avvicina al senso profondo del dolore della madre e al tempo stesso lo sublima, lo rende sostenibile perché lo fa apparire familiare» spiega il controtenore lodigiano impegnato in una parte «notevole per le mille sfaccettature espressive: il pianto della madre, lo sconvolgimento della natura, il disfacimento del figlio» racconta Pe che dà «voce a questa immagine di dolore straziante e bellissima allo stesso tempo». Un dolore che, spiega Filippo Arriva, «è proiettato verso un desiderio di pace». E le note che chiudono la partitura di Sollima sono note dolci. «Ninna nanna ninna ò, chistu figghiu s’addurmò. Ninna nanna ninna ò, di la mammuzza so ca lu teni strittu strittu» intona la voce del controtenore contrappuntata dal coro. Note di una ninna nanna cantata da una madre che ai piedi della croce tiene tra le braccia il figlio morto. Quasi lo culla. Così l’immagine della Pietà si trasfigura in quella natalizia di Maria che nella grotta di Betlemme tiene tra le braccia Gesù Bambino.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Al “Bellini” di Catania il debutto della toccante composizione dell’autore palermitano con il testo di Filippo Arriva «Nel musicare questa opera mi sono mosso tra il rituale e i tanti risvolti di un dolore, evitando ogni forma di folklore»