LE SILLABE DELLA VERTIGINE

GIOVANNI D’ALESSANDRO

Il vangelo di Giovanni ha una conclusione ( 20, 30-31 ) che non è proprio l’epilogo, ma lo precede di poco. In essa si legge una frase che ha un ritmo straordinario, che se non fosse enunciazione del metodo dell’evangelista, avrebbe, e forse ha, una struggente valenza mistico-poetica, perché fonde la fine e il fine di tutto. La frase è: «Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome». Zoèn échete , dice il testo greco, abbiate la vita. In cinque sillabe ci sono la sorte dell’umanità, il disegno di salvezza, la sua redenzione, declinati in scabri suoni. Sono ancora più scabri in Luca 10,28: un dottore della legge chiede a Gesù cosa deve fare per «ereditare la vita eterna» ( zoèn aiònion). Gesù gli risponde con una domanda, richiamandolo alla risposta scritta nella legge, che il dottore sa e ripete: amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, ed il prossimo tuo come te stesso. E Gesù: «Hai risposto bene. Fa’ questo e vivrai». E vivrai. Kài zèse, in greco. Non è un’altra vita che rinasce. È la stessa vita che non s’interrompe. Si rianima, per protrarsi infinito. L’ha detto in tre sillabe: e vivrai. Sono le sillabe della vertigine di ogni essere.  (avvenire)