Le qualità di un amico. I versi del poeta esule greco Teognide e la giornata mondiale dell’amicizia

August Macke, «Quattro ragazze» (1912–1914)

I versi del poeta esule greco Teognide e la giornata mondiale dell’amicizia

29 luglio 2020

Teognide fu un poeta esule greco vissuto tra vi e v secolo a.C. di cui si è conservato un libro, le Elegie, il cui contenuto è soprattutto sentenzioso e che, con molta probabilità non è neppure tutto suo, per via delle diverse stratificazioni gnomologiche che si sono aggiunte ad esso nel corso dei secoli.

Nei suoi versi è contenuta molta sapienza greca, un distillato di osservazioni e di lezioni di vita ricavato soprattutto dalle sue esperienze di uomo lontano dalla patria, che ha dovuto, per vivere, avere necessariamente rapporti con altra gente, che ha dovuto scontare il disinganno e l’amarezza delle delusioni ma che pure, quasi in controluce, riesce a dare un’immagine molto forte dei rapporti umani e tra questi sicuramente un posto importante lo occupa nel suo libro il sentimento dell’amicizia. Le Elegie danno un’immagine netta di quanto sia importante per l’uomo questo affetto e traccia un perimetro attorno a essa che mira a definirla e che nello stesso serve a preservarla e custodirla meglio.

Quali sono dunque per Teognide le qualità di un amico? Innanzitutto la capacità di adattamento: «Anima mia, a seconda degli amici fai variare/ il tuo carattere, adegua la tua indole a quella/ di ognuno; segui l’istinto del polipo dai molti tentacoli,/ che assomiglia alla pietra a cui resta stretto» (citazione dall’edizione Edmonds; la traduzione è di chi scrive). L’amicizia richiede proprio questa sensibilità, questa «facoltà mimetica», direbbe Walter Benjamin, di aderire con il proprio carattere a quello altrui. A suo modo è questa una particolare forma di attenzione che rappresenta quasi il presupposto di ogni amicizia.

Poi nella scala di valori rappresentata dal poeta di Megara per mantenere salda un’amicizia c’è la comprensione: «Non perdere un amico per un motivo banale/ convinto da un’accusa ingiusta»; occorre infatti ricordare che «gli errori vanno con gli uomini» e che «solo gli dei non devono portarseli con sé», perciò avendo a che fare con un amico, tenere sempre presente che «diversi difetti sono negli uomini», ma che, allo stesso tempo, «diverse sono anche le virtù e le qualità».

La nobiltà di questo sentimento è comprovata anche dal carattere della non invadenza che esso deve conservare. L’invito infatti è quello «di non lamentarsi troppo nei guai» e a non richiamare troppo l’attenzione su di sé: «Se qualcosa non va», oppure «se si sta male». L’ideale per costruire l’amicizia è quello apollineo della misura, dell’equilibrio, del rispetto che deve sempre innervare e animare il rapporto. Perciò egli guarda con orrore alla condizione di chi è costretto a dire: «Me misero, sono diventato una gioia per i nemici e un cruccio per gli amici per via delle mie sofferenze».

Un’altra virtù importante che rende solida l’amicizia è la sincerità. Egli ricorda infatti che «chi pensa diversamente da come parla è un cattivo compagno: meglio nemico che amico» e invita a «non lodare nessun amico se è malvagio». In questa costellazione di virtù che definisce l’amicizia c’è anche posto per la fiducia, nella consapevolezza che «è difficile per un nemico ingannare un nemico,/ facile per l’amico ingannare l’amico”.

Teognide, come si è accennato, era un uomo che era stato provato dalla vita. Egli infatti aveva dovuto lasciare la sua patria greca, Nisea, città dorica sull’istmo di Corinto, al tempo delle lotte tra aristocratici (la sua classe di appartenenza) e democratici. Nella sua vita aveva dovuto fare i conti con la condizione di esule e naturalmente si era fatta una certa esperienza degli uomini. Perciò riferendosi al suo stato di apolide a un certo punto arriva a scrivere a proposito dell’amicizia: «Nessun amico e nessun compagno fedele per l’esule:/ più triste dell’esilio questa pena». Così, quasi come un contrappunto all’ideale alto di amicizia che le sue sentenze tratteggiano, si possono avvertire nei suoi distici elegiaci le note basse della delusione e della disillusone che descrivono bene i mali che possono attaccare alla radice questo sentimento.

Per tale motivo sono sicuramente frutto di situazioni di vita non sempre fortunate e felici, affermazioni, improntate certamente a pessimismo, come: «Non confidare sempre a tutti ciò che ti accingi a fare: pochi sono gli amici veramente fidati»; oppure: «Fidandomi ho perso tutto, non fidandomi l’ho salvato/ amare verità entrambe»; o anche: «Beato e fortunato e felice chi, senza aver sofferto,/ scende nella nera dimora di Ade, prima di aver fatto esperienza/ delle offese dei nemici, della violenza della necessità/ e provato quale animo abbiano gli amici».

Eppure anche attraverso il negativo che il poeta di Megara tratteggia e evoca, torna a delinearsi chiara e netta l’immagine dell’amicizia che Teognide vagheggia: un sentimento puro e nobile, ispirato a disinteresse, a comunione d’intenti e a solidarietà fraterna, che trova forse in questo pensiero di un altro greco, il filosofo Democrito di Abdera  forse la sua sintesi migliore: «Non è degno di vivere chi non ha neppure un solo buon amico».

di Lucio Coco / Osservatore Romano