“Le pecore ascoltano la mia voce e io le conosco”. Si basa su questo reciproco legame una fede che può rassicurare e consolare

IL brano del Vangelo che la IV Domenica di Pasqua ci propone è brevissimo (Gv 10,27-30), ma è come un rosario: ogni grano – ogni espressione – pur strettamente collegato agli altri, chiede di fermarsi a pensare. A partire dal fatto che Gesù, il maestro, si propone usando l’immagine del pastore, una categoria che all’epoca non godeva certo di buona fama, ma che resta tra le più amate in ogni epoca.

LE PECORE ASCOLTANO LA MIA VOCE. Tutto comincia da qui: dall’ascolto. Ma è interessante il fatto che Gesù non dice “ascoltano la mia parola”, bensì “ascoltano la mia voce”. Il suono della voce è sufficiente a comunicare che c’è qualcuno là fuori. Ed è una voce amica, che ci dice che non siamo soli: c’è qualcuno che chiama e che parla e forse anche, come tutti i pastori, ordina, e se lo ascolteremo comprenderemo il significato delle sue parole, ma intanto comunque c’è. Siamo come i bambini, che già nel ventre della mamma ne riconoscono la voce, anche se non conoscono il significato delle parole.

IO LE CONOSCO. Il pastore conosce le sue pecore: significa che anche lui le ha ascoltate, distingue la loro voce, sa riconoscerle. Che cosa avranno mai da dire, delle pecore, che valga la pena stare ad ascoltarle? Viene in mente l’episodio del libro dei Numeri (cap. 22) che racconta dell’asina che si rifiuta di obbedire al mago Balaam, perché le è apparso un angelo con la spada sguainata e le ha fatto capire che ciò che il mago vuole fare è male. E poi l’asina discute con il mago e gli apre gli occhi. «Anche un’asina può diventare la voce di Dio», ha commentato Papa Francesco, «aprirci gli occhi e convertire le nostre direzioni sbagliate. Se lo può fare un’asina, quanto più un battezzato, una battezzata, un prete, un Vescovo, un Papa» (Discorso ai fedeli della diocesi di Roma, 18 settembre 2021). Il pastore conosce le sue pecore, perché anche le pecore hanno un valore e hanno qualche cosa da dire.

ED ESSE MI SEGUONO. L’ascolto e la conoscenza reciproca hanno creato un clima di fiducia: lì, al seguito del pastore c’è la vita buona. E sicura anche. E quindi, anche se sei una pecora fifona e incerta, scegli di condividere il cammino del pastore ed esci con lui dal recinto. E non importa se lui quel giorno camminerà davanti (per indicare la strada), in mezzo (per incoraggiare), o   dietro (per non lasciare indietro nessuno). Ciò che conta è che lui c’è e che puoi percorrere la sua stessa strada.

IO DÒ LORO LA VITA ETERNA. Ma quella voce così amichevole, che ci ha convinto a seguirla, è la voce di un seduttore, di un influencer qualunque o è la voce di un Maestro? Che cosa ci sarà in fondo alla strada: una breve fuga dai problemi quotidiani o la vita? Il pastore non è un influencer: a chi lo segue dà la vita vera. Ed è da notare che Giovanni usa il verbo al presente: il suo dono è adesso, non alla fine dei tempi.

IL PADRE ME LE HA DATE. Gesù prima ha detto “le mie pecore”, ora sottolinea che il Padre le ha date a lui. C’è un’idea forte di appartenenza che risulta ancora una volta rassicurante: siamo suoi, di nessun altro. Lui ci dà la vita, lui c’è, lui ci proteggerà, come dice il passo successivo.

NESSUNO LE STRAPPERÀ DALLA MIA MANO. L’immagine bucolica del pastorello con le pecorelle in mezzo ai prati svanisce e lascia spazio alla consapevolezza che non c’è strada senza pericoli, senza insidie. Giovanni ce lo dice indirettamente, nel momento stesso in cui ci rassicura che la mano di Gesù è forte. Le pecore stiano tranquille: anche quando scende la notte, anche quando arrivano i ladroni, anche quando un precipizio taglia la strada, lui c’è e la sua mano è sempre tesa verso di noi.

IL PADRE MIO È PIÙ GRANDE, SIAMO UNA COSA SOLA. E d’altra parte, come potrebbe qualcuno o qualcosa riuscire a strappare le pecore dalla mano del pastore, se quel pastore è una cosa sola con Dio Padre e la sua mano è quella del Padre? Gesù è il Messia perché è il figlio di Dio: alla fine tutto converge qui. È da questo rapporto tra Dio e il Padre che discende tutto il resto.

Questo brano del Vangelo è rassicurante, consolatorio. Non dobbiamo vergognarci a dire che la fede consola: anche se la ragione fa fatica ad ammetterlo, non dobbiamo vergognarci ad ammettere che ne abbiamo bisogno.

di Paola Springhetti – Vino Nuovo