Le norme mancanti. E i «caregiver» si sentono abbandonati

I familiari di persone con disabilità illusi e rimasti senza il provvedimento che doveva tutelarli. Chiarini (Confad): noi rivendichiamo quell’impegno. E insistiamo per i progetti di vita autonoma
E i «caregiver» si sentono abbandonati

Ansa

Avvenire

Nelle famiglie con persone con disabilità, la delusione è forte. Rischia di sfociare nella sfiducia verso l’intero sistema politico in questa vigilia di elezioni. Se non fosse che a non venir meno sono i bisogni speciali di queste famiglie e la loro speciale volontà di impegnarsi perché siano finalmente riconosciuti e in qualche modo soddisfatti.

La delusione, dicevamo, è innanzitutto per la mancata approvazione, dopo un lungo iter, della legge sui cosiddetti ‘caregiver familiari’, ovvero di quella persona che «gratuitamente assiste e si prende cura in modo continuativo del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile o del convivente di fatto (…) di un familiare o di un affine (…) che a causa di malattia, anche oncologica, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata».

Così si era arrivati a definire, nel testo della legge 205 del 2017 e poi nel disegno di legge 1.461 i tanti mariti e mogli che assistono un coniuge malato o le madri e i padri che per decenni si prendono cura di figli con gravi disabilità, le sorelle e i fratelli che sacrificano parte della loro vita ad occuparsi di chi non è autosufficiente. Ma il ddl presentato nel 2019 al Senato, si è subito incagliato prima per lo scoppio della pandemia, poi per ragioni di bilancio.

A gennaio di quest’anno, infatti, una verifica tecnico- politica aveva già escluso, perché ritenuto troppo oneroso per lo Stato, uno tra i principali obiettivi della norma: assicurare contributi figurativi o scivoli per il prepensionamento dei caregiver, in ragione del loro impegno che, spesso, impedisce loro di lavorare o ne compromette i percorsi di carriera. In primavera, dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, la relatrice del provvedimento, Barbara Guidolin (M5s), si era impegnata a far ripartire la discussione del provvedimento in commissione Lavoro – per verificare la possibilità di introdurre almeno un assegno specifico che indennizzasse in parte i caregiver – ma il disegno di legge è finito in realtà su un binario morto e lì lasciato scadere con lo scioglimento delle Camere.

«È l’ennesima delusione di una legislatura in cui è stata sì approvata la legge delega sulla disabilità ma che, in mancanza dei decreti attuativi non ha portato alcun beneficio concreto. L’anno dell’introduzione di un sistema di assegno unico per i figli annunciato come una riforma epocale, che invece si è concretizzata in una inaccettabile e ingiusta penalizzazione per tante, troppe famiglie con disabilità», commenta Alessandro Chiarini, presidente della Confad. Per l’organizzazione che rappresenta circa 20mila famiglie con disabilità ci sarebbe da disperare dell’attenzione delle forze politiche ma l’impegno per garantire diritti e tutele alla persone con disabilità e ai loro familiari continua con decisione su quattro obiettivi principali. Anzitutto, appunto, «far approvare una legge che tuteli in modo adeguato i caregiver familiari, in materia economica, assicurativa, sanitaria e previdenziale».

Poi «promuovere i progetti di ‘Vita indipendente’ per le persone con disabilità, secondo quanto previsto dalla legge 328/2000 ancora inapplicata». Ancora, «provvedere ad una seria verifica dell’applicazione della legge 68/99, sull’inclusione lavorativa delle persone con disabilità».

Infine, ma non ultima, «sanare l’odiosa penalizzazione ai danni delle famiglie con disabilità che si sono viste decurtare l’importo del previgente assegno familiare in favore dell’assegno unico universale». Obiettivi comuni a un’altra associazione di famiglie con disabilità, i ‘Genitori tosti in tutti i posti’. Che, sottolinea anche altre due priorità sintetizzate in altrettante sigle: Asacom e Peba. La prima è l’acronimo degli Assistenti all’autonomia e alla comunicazione per gli alunni con disabilità psicofisiche o con disturbi dello spettro autistico.

«Devono essere ‘statalizzati’, assunti e adeguatamente pagati dallo Stato. Oggi invece fanno parte di cooperative e sono sotto-pagati. Eppure parliamo di lavoratori laureati, spesso con master di specializzazione – dice apertamente la presidente Alessandra Corradi –. Oggi queste cooperative vengono pagate dalla Regione ma i fondi sono assai limitati e le ore assicurate per alunno del tutto insufficienti ». L’altro nodo evidenziato è quello dei Piani per l’eliminazione delle barriere architettoniche. «Siamo scandalosamente indietro – conclude la presidente Alessandra Corradi –. Anche in una città che dovrebbe essere all’avanguardia come Milano, accedere a metrò e autobus è un’impresa per i disabili». I bisogni sono speciali e numerosi, le risposte finora ordinarie e soprattutto scarse.