Le (inutili) regole di Legrenzi per evitare la stupidità leggere, rileggere

di Cesare Cavalleri

Lo psicologo Paolo Legrenzi ha scritto un libretto dal tito­lo accattivante: Non oc­corre essere stupidi per fare sciocchezze (Il Muli­no, pp. 148, euro 10 acquista il libro su ibs a euro 8 con il 20% di sconto clicca qui)  . Il testo, tuttavia, non è all’altezza del titolo. Legrenzi sembra voler polemizzare a distanza, sia pur civilmente, con Carlo M. Cipolla (1922­2000), autore di quel­­l’ Allegro ma non troppo, apparso nel 1988 e più volte ristampato, un pamphlet ormai classi- co nel quale sono enun­ciate le cinque leggi fondamentali della stu­pidità. Legrenzi accusa di staticità le categorie degli intelligenti, degli sprovveduti, dei banditi e degli stupidi, formula­te da Cipolla, ma questa è solo la terza delle leg­gi cipolliane: dall’insie­me della teoria di Alle­gro ma non troppo, e dai commenti dell’au­tore, si evince che uno non è stupido o intelli­gente o bandito o sprovveduto sempre e in ogni caso, come cia­scuno di noi può tran­quillamente ammettere per esperienza. Il fatto è che di aver commesso una scioc­chezza ci si accorge sempre «dopo», e l’ana­lisi legrenziana che sembra avere uno sco­po diagnostico preven­tivo, lascia il tempo che trova, oltretutto senza l’intelligente levità dell’umorismo cipollia­no. Prendiamo il caso Clin­ton- Lewinsky che Le­grenzi esamina in lungo e in largo. Innanzitutto, secondo le categorie ci­polliane, quella volta il Presidente si comportò non tanto da stupido (come sostiene Legren­zi) quanto da sprovve­duto, perché fece del male solo a sé stesso (Legrenzi non prende in considerazione le riper­cussioni sulla consen­ziente Lewinsky). Ecco dove, secondo Legrenzi, Clinton avrebbe sba­gliato: – «Stima errata del ri­schio, basata esclusiva­mente su quello che ci è successo in passato». Bella scoperta: se Clin­ton, o ciascuno di noi, sapesse valutare esatta­mente i rischi, nessuno commetterebbe scioc­chezze. – «Pensiero ‘desideran­te’, e cioè la tendenza a scambiare quella che vorremmo fosse la realtà con quella che purtroppo è»: ma, ap­punto, che la realtà è diversa lo sappiamo sempre ‘dopo’. – «Proiezione delle e­sperienze passate sul futuro»: è normale che sia così; se pensassimo che il futuro è sempre diverso o fortuito ri­spetto al passato, sareb­be preclusa ogni azione. – «Incapacità di cogliere il cambiamento di cli­ma dell’opinione pub­blica »: non tutti, pur­troppo, abbiamo le pos­sibilità di Berlusconi di commissionare specifi­ci sondaggi. – «Sottovalutazione del­le conseguenze dell’e­voluzione degli stru­menti tecnologici, e quindi della tracciabi­lità dei nostri discorsi e movimenti»: Legrenzi auspica forse una seve­rissima legge anti-inter­cettazioni? – Infine, «eccessiva fi­ducia in sé stessi». Cer­to è difficile pensare che un presidente degli Stati Uniti diffidi siste­maticamente di sé. Come si vede, si tratta di un’analisi a posterio­ri, e non è realistico che Clinton potesse tener presenti di questi ele­menti di valutazione al momento di un’avven­turetta con una stagista (nessuna benevolenza da parte mia). In con­clusione, Legrenzi so­stiene che di fronte al pericolo di incorrere in una sciocchezza (ma si confonde la sciocchez­za con la colpa morale) non resta che la strate­gia di Ulisse con le sire­ne: tappare paternali­sticamente le orecchie dei marinai, e farsi lega­re all’albero della nave sperimentando il fasci­no delle sirene, ma evi­tando gli effetti negativi a lungo termine. Strate­gia inutile, perché non si può andare sempre in giro con le orecchie tappate, o legati all’al­bero della nave. Il pro­blema resta decifrare preventivamente la pe­ricolosità del canto del­le sirene. Insomma, con facile parafrasi del tito­lo legrenziano, «non oc­corre essere stupidi per scrivere un libro inuti­le ».
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