L’assedio del “pensiero unico”

Nell’udienza del 4 aprile Papa Francesco ha evocato Genesi, la creazione dell’uomo e della donna, all’origine del genere umano, ricordando che «il matrimonio è l’icona dell’amore di Dio con noi». Nei giorni successivi si è soffermato sul ruolo complementare che padre e madre svolgono nell’educazione dei figli, che non può essere negato per via ideologica: di qui l’invito a non cedere, a non piegarsi al «pensiero unico» che vuol impossessarsi delle menti, rovesciare i valori della persona, cancellare le parole più belle. In passato avremmo considerato questo magistero come memoria dei doveri primordiali della coscienza cristiana e d’ogni persona. Oggi ci accorgiamo che leparole della vita pronunciate dal Papa sono motivo di stupore, appaiono come delle verità ferite. Forse perché qualcuno vuole farle dimenticare, insieme alle nostre origini, e d’improvviso ne sentiamo nostalgia. O perché c’è chi le vuole inquinare, e mette a rischio la nostra identità.

Il rapporto tra uomo e donna è sperimentato da ciascuno di noi nel momento in cui nasciamo, lo percepiamo nell’armonia delle loro diversità, lo scorgiamo negli occhi, nelle mani, nei corpi della madre e del padre, che ci curano fin sulla soglia della prima autonomia. Ma dal pensiero socratico e lungo i secoli, fino a Martin Heidegger, sappiamo che l’autonomia per l’essere umano non è mai totale, si realizza nel rapporto con gli altri, anzitutto con l’altro-da-sé. Ciò che all’inizio è essenziale per entrare nella vita, avere amore e protezione, poi diventa gioioso e fecondo per realizzare un progetto comune in cui convergono le aspirazioni più intime, compresa l’apertura a nuove esistenze. Quel «fiunt una caro» ricordato dal Papa con le parole bibliche costituisce il punto decisivo nel quale uomo e donna mettono insieme tutto ciò che hanno, corpo e psiche, desideri e progetti, perché la vita dia loro molto di più, si proietti in altri esseri umani, doni un surplus di significato e di valore a ciò che fanno.

Oggi queste realtà naturali, che costituiscono l’orizzonte dell’essere umano, rischiano d’essere offuscate, inquinate, con danno soprattutto per i giovani. Nelle pieghe della società si muove qualcosa di distruttivo che non ha memoria storica, né sponda o appiglio in alcuna cultura o religione: qualcosa che dice che maschio e femmina non esistono, esiste solo ciò che vogliamo essere, diventare, c’è un vocabolario vuoto che possiamo riempire a volontà, e il matrimonio può essere usato da chiunque, e rifiutato quando si vuole. Questo frammento di pensiero unico dice ancora che il figlio può aversi in tanti modi, anche per acquisizione, con genitori sociali diversi dai naturali, senza fruire di padre e madre insieme, per contratto più o meno oneroso, divenendo, da soggetto di diritti, oggetto di desideri altrui, perdendo la qualità di persona.

Quasi a riassumere il pensiero neo-nichilista, un filosofo italiano esperto di bioetica è giunto a porre una domanda prima inconcepibile: «Perché mai dovremmo dogmaticamente assumere che la nozione psicologica di Io o identità personale esige necessariamente che si conosca il proprio padre e madre, il proprio luogo e anno di nascita, i propri familiari?». Già, perché mai? Forse perché ce lo chiedono la nostra coscienza, il nostro essere persone e non oggetti. Forse perché sappiamo che ogni giorno, ogni minuto, su tutto il pianeta, nasce da donna un bambino, abbracciato e amato dai genitori che l’hanno messo al mondo, e il nuovo nato ha diritto a conoscere la verità su sé stesso.

Anche in Italia stiamo sperimentando una sorta di accelerazione del «pensiero unico», a seguito di provvedimenti giudiziali sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, e per la sentenza della Consulta sulla fecondazione eterologa, che spezza il rapporto tra genitori naturali e genitori sociali. Una riflessione più ampia si potrà fare quando si conosceranno le motivazioni della sentenza, ma avvertiamo come l’incrinarsi di una diga, il rischio che la Costituzione, ispirata a princìpi umanistici, divenga un contenitore nel quale invece che diritti e doveri solidali, si convoglino desideri, pretese individuali contrarie ai diritti degli altri, certo dei più deboli. È un vulnus che colpisce la «famiglia naturale» tutelata dal patto costituzionale del 1948, e suggerisce un’attenzione particolare per il rischio di altri strappi in materia di matrimonio, adozione, diritti dei minori. Ogni giorno che passa sentiamo l’urgenza di un impegno per difendere le parole della vita, il loro più autentico significato, e recuperare nell’esperienza collettiva, nella scuola, nelle istituzioni, il senso di solidarietà e di cura per le nuove generazioni, dei più indifesi. Il periodo pasquale che abbiamo appena vissuto evoca la morte e la risurrezione di Gesù, parla ai cristiani in tanti modi, a tutti gli uomini ricorda che insieme alla sofferenza dai tanti volti, e dell’innocenza ferita, deve unirsi la fede nella risurrezione che riguarda il destino personale di ciascuno di noi, ma anche la rinascita di valori universali che il cristianesimo ha introdotto nella storia umana, cambiandola ed elevandola.

È un impegno pieno di difficoltà, ma ricco di prospettiva perché ancorato a quell’umanesimo che è a base dei diritti umani che l’Europa e l’Occidente hanno elaborato e offerto a tutto il mondo, e che oggi corrono il rischio di un declino proprio sul punto nevralgico della tutela dei più deboli.

 

Carlo Cardia – avvenire
teologia.bibbia