L’anafora

Settimana News

di: Elide Siviero

Anafora preghiera eucaristica

Don Ubaldo conosce molto bene la sua gente: è parroco da molti anni in quel paese. E proprio quella gente, che lui ama e serve, spesso è fonte di distrazione durante la messa: quando predica guarda i loro volti e gli riemergono le storie personali, i lutti, i dispiaceri, le difficoltà, le speranze di quel popolo di Dio che attende una sua parola. A volte si sente travolto, schiacciato dal peso di tutta questa gente e gli pare di essere come Mosè che gridava: «L’ho forse concepito io tutto questo popolo? O l’ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: Pòrtatelo in grembo?» (Nm 11, 12) e, proprio mentre pensa questo, si ricorda che Dio rispose a Mosè con il dono delle quaglie, della carne che scendeva dal cielo per tutto il popolo. Allora lentamente ritrova pace, mentre si rifugia nella Preghiera eucaristica che recita lentamente per tutto il suo popolo, perché Cristo sia la carne che lo nutre.

Se la liturgia della Parola è una sorta di circolarità attorno al sepolcro vuoto di Cristo (rappresentato dall’ambone), dove non c’è lezzo di cadavere, ma profumo di vita, la liturgia eucaristica, invece, ha una dinamica completamente diversa: potremmo chiamarla anaforica, cioè elevante, “che porta su…”. Per mezzo del dialogo e del Prefazio noi siamo presi e portati davanti al trono di Dio, della sua santità, e lì, davanti, vediamo l’invisibile, che è Dio, e lo vediamo guardando il volto del Figlio suo Gesù Cristo. E, di fronte a questo mistero, con la Chiesa del Cielo, con gli angeli e i beati, cantiamo la santità di Dio.

Le prime testimonianze cristiane che ci parlano di questa preghiera di azione di grazie, la chiamano semplicemente “eucharistia”, ringraziamento, ed è per questo che anche il pane e il calice saranno chiamati “eucharistia”. Successivamente, questo termine sarà utilizzato in modo specialistico solo per il pane e per il vino: sarà dunque necessario che nasca un’altra terminologia per indicare la Preghiera eucaristica.

In Oriente abbiamo il termine “anafora” che deriva dal verbo greco “ana-phero” che significa innalzare, mandare verso l’alto, offrire. Il prefisso “ana-” sottolinea fortemente che la preghiera viene inviata in alto, ossia elevata a Dio.

Subito dopo il concilio Vaticano II, con il Messale di Paolo VI, si è prodotto un nuovo corso della liturgia eucaristica nella Chiesa romana, caratterizzato fino ad allora dalla pluralità di testi anaforici, mentre, almeno a partire dal terzo secolo, la tradizione era stata caratterizzata da un’unica preghiera eucaristica: il Canone romano.

Il centro del cambiamento avvenne con la promulgazione della costituzione liturgicaSacrosanctum concilium che prevede che «i riti splendano per nobile semplicità; siano chiari nella loro brevità e senza inutili ripetizioni; siano adatti alla capacità di comprensione dei fedeli né abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni» (SC 34).

Oggi i testi in vigore in Italia sono dieci, con l’eccezione della liturgia ambrosiana che conosce alcuni testi ricavati dalla sua propria tradizione. Esistono anche le Preghiere eucaristiche dei fanciulli I – II – III, che sono delle proposte propedeutiche alla celebrazione domenicale (quindi non si dovrebbero mai usare di domenica, nemmeno nella messa di prima comunione).

Proprio perché i testi del Messale di Paolo VI hanno preso come modello alcuni testi orientali, sia per il contenuto sia per la struttura, è ormai invalso l’uso del termine “anafora” per designare le nuove preghiere eucaristiche della Chiesa di Roma.

La Preghiera eucaristica è l’elemento originario della messa. Senza la preghiera eucaristica la messa sarebbe come un corpo senza cuore. Tutto ciò che precede, liturgia della Parola e riti offertoriali, e tutto ciò che segue è rispettivamente preparazione e conseguenza della Preghiera eucaristica, «momento centrale e culminante dell’intera celebrazione» (OGMR 78).

La Preghiera eucaristica ha per matrice la grande benedizione che il padre di famiglia ebreo pronuncia durante il pasto delle feste. Questa benedizione si compone di tre grandi sequenze: una lode al Dio creatore; un’azione di grazie per gli interventi di Dio nella storia di Israele; una supplica in favore di Gerusalemme. Nell’Ultima Cena, Gesù ha pronunciato questa preghiera introducendovi però delle parole nuove per mezzo delle quali egli ha istituito l’eucaristia. Nella messa, la Chiesa riprende la traccia della preghiera ebraica, ma la cristianizza:

a) Una lode al Padre per le sue meraviglie, soprattutto per averci inviato suo Figlio;

b) Un’azione di grazie per tutti gli interventi di Dio nella storia della salvezza – soprattutto in Gesù – la quale, ripetendo in mezzo a noi ciò che egli ha fatto la notte in cui fu tradito, rende presente l’offerta del suo corpo e del suo sangue donati in sacrificio per noi;

c) Una supplica per la Chiesa, per quelli che la guidano e per «noi qui presenti», affinché si compia questo annuncio e venga il mondo nuovo. «Il significato di questa preghiera è che tutta l’assemblea si unisca con Cristo nel magnificare le grandi opere di Dio e nell’offrire il sacrificio» (OGMR 78).

La preghiera è, quindi, di tutti, cioè della Chiesa, e infatti i testi sono con il “noi”, ma viene pronunciata solamente dal sacerdote, dato che rappresenta Cristo che presiede il pasto della Cena.

La Preghiera eucaristica, però, non è solo il testo eucologico di maggiore importanza di tutta la messa, ma è anche e soprattutto la sintesi più alta ed espressiva della preghiera cristiana. La Preghiera eucaristica, per la sua struttura, la sua dinamica e il suo contenuto, rappresenta il microcosmo della preghiera cristiana.

Fai bene, caro don Ubaldo, a rifugiarti in questa preghiera quando vedi le necessità della tua gente!

In essa è Cristo che prega per noi, prega in noi, è pregato da noi.