La vita eterna per amore di giustizia

Si dice che Luigi Gonzaga, mentre stava giocando in piazza a Roma con alcuni ragazzi a palla avvelenata, venisse interrogato su cosa avrebbe pensato di fare se avesse saputo che di lì a mezz’ora il mondo sarebbe finito. Ed egli avrebbe risposto tranquillamente: tornerei a giocare a palla avvelenata. Il gesuita, che sarebbe morto a soli 23 anni dopo essere stato contagiato dalla peste, probabilmente per essersi accollato sulle spalle un malato per portarlo al lazzaretto, non fa trapelare nessuna inquietudine grazie alla tenacia della sua fede. Un po’ come gli apostoli e i discepoli di Gesù dopo la sua morte, i quali nella certezza della resurrezione non ebbero alcun timore delle persecuzioni inflitte dall’Impero romano.

Di questa certezza ci parla il teologo protestante Jurgen Moltmann nel libro Risorto nella vita eterna, edito da Queriniana (e presentato da Maurizio Schoepflin in queste pagine lo scorso 3 luglio).

Famoso in tutto il mondo per la sua Teologia della speranza, pubblicata nel 1964, e per molte altre sue opere ove mette a confronto i temi forti del cristianesimo con la complessità del mondo contemporaneo, Moltmann ha scritto questo saggio dopo la morte della moglie Elisabeth, avvenuta nel 2016, e spiega che l’essersi occupato spesso a livello teologico del tema della resurrezione di Gesù Cristo ora ha assunto un significato anche personale. Di qui una serie di domande che riguardano certamente, oggi come ieri, gli studiosi e i teologi ma anche ciascuno di noi.

Che cosa verrà dopo la morte o dopo non ci sarà più nulla? E come si rapporta la morte degli altri alla nostra vita? In particolare, la morte dei nostri cari? C’è una vita dopo la morte della moglie o del marito o di un figlio che abbiamo così tanto amato? Moltmann si interroga su cosa accadrà dopo la morte individuale di ciascuno, spiegando che «c’è una differenza tra la risurrezione di Cristo e il nostro risuscitamento. Egli apparve fisicamente alle donne e ai discepoli in una corporeità resa viva dallo Spirito delle risurrezione e trasfigurata dalla gloria di Dio, eppure i discepoli poterono riconoscerlo dalle ferite del suo corpo morto. Noi invece non siamo risuscitati dalle nostre tombe, ma nell’ora della nostra morte. Non è il nostro cadavere a essere risuscitato dalla tomba, ma tutta la nostra vita vissuta è risuscitata a vita eterna nell’ora della nostra morte». Perciò, quando seppelliamo il cadavere, possiamo essere certi che l’anima del defunto è già stata risuscitata. Come ha detto ai suoi compagni di cella Dietrich Bonhoeffer prima di essere giustiziato dai carnefici nazisti: «È la fine. Per me l’inizio della vita eterna». Ma quale corpo avranno i risorti? Il nuovo corpo della risurrezione, risponde Moltmann, sarà un corpo pienamente vivente nella forza vitale di Dio e corrisponderà al corpo trasfigurato del Cristo risorto: «Avrà quella forma che Dio ha previsto per noi nel suo mondo futuro». Tutta la vita, anche quella non vissuta, non amata o dissipata, sarà guarita e trasformata. Nell’ora della morte, la persona viene messa a confronto con la totale verità della sua vita e si fa giudice di se stessa. «Molto nella nostra vita rimane incompiuto. Abbiamo iniziato qualcosa, ma non l’abbiamo terminato.

Abbiamo fallito. Abbiamo taciuto dove avremmo dovuto parlare. Non abbiano detto la verità, perché avevamo paura e non abbiamo creduto. Come può una vita essere completa e conclusa? Ma ciò che Dio incomincia, lo porta a compimento».

Moltmann ammette che possa esistere un tempo di purificazione dei propri peccati affinché possa verificarsi «la perfezione della persona» secondo la determinazione di Dio.

In attesa del Giudizio finale, c’è un giudizio particolare che è l’anticipazione individuale del grande giudizio del mondo. Infine, c’è da considerare la vita di coloro la cui esistenza è stata spezzata prematuramente, di chi è stato vittima di tragedie ed orrori, di chi ha sopportato una vita di fatica a causa di un handicap: come si arriva al compimento?

Anche qui Moltmann ha parole che per la loro chiarezza preferiamo riportare: «L’idea che con la loro morte tutto è finito farebbe precipitare nell’assurdità il mondo intero.

Infatti, se la loro vita non ha senso, ha senso allora la nostra vita? Non dobbiamo forse coltivare l’idea di una storia di Dio che va avanti dopo la morte con questa vita spezzata e distrutta, per poter affermare e ciò malgrado amare la vita in questo mondo di esistenza disabili, malate, assassinate e interrotte? Così come il Gesù terreno ha guarito i malati, così il Risorto guarirà le malattie di cui la vita ha dovuto soffrire e per le quali muore. Egli solleverà la vita violentemente distrutta affinché possa essere pienamente vissuta. Quindi penso che, a quanti sono infranti, disturbati e rovinati, la vita eterna darà spazio, tempo e forza per vivere la vita che era loro destinata e per la quale erano nati. Lo penso per amore della giustizia, che credo sia la natura e la passione di Dio».

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