La vita del prete? Una vera «profezia»

POVERTÀ, OBBEDIENZA, CELIBATO: LE «SCELTE EVANGELICHE» IN UN LIBRO DI TETTAMANZI


 DA MILANO MATTEO
LIUT – avvenire
P
overi, obbedienti e celibi, ma ancora capaci di essere «profeti»? I sacerdoti oggi sono ancora il segno più evidente di una fede in grado di cambiare le vite, di costruire comunità, di segnare il corso della storia? Lo sono ancora, risponde il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, se continuano a radicare la propria opera nelle tre scelte che ogni ministro ordinato compie nel giorno della consacrazione: povertà, obbedienza e celibato. Raccogliendo l’eredità dell’Anno Sacerdotale appena concluso, nell’intento di continuare a contribuire al continuo rinnovamento cui la Chiesa è perennemente chiamata, il cardinale Tettamanzi ha voluto soffermarsi proprio sulle tre promesse per coglierne l’origine più autentica e l’attualità più viva.

  Un lavoro che si è concretizzato in un libro presentato ieri sera in un incontro nel cortile del Palazzo arcivescovile di Milano, appena restaurato. Libro: Scelte evangeliche del prete oggi
(144 pagine, 11 euro) è il titolo del volume pubblicato dalle Edizioni San Paolo. Pagine che raccolgono le parole pronunciate da Tettamanzi nel corso di tre omelie pronunciate nella solennità di san Carlo Borromeo, copatrono della diocesi ambrosiana, di cui il prossimo 1° novembre si celebreranno i 400 anni dalla canonizzazione.

A confrontarsi sulle meditazioni di Tettamanzi sono stati Gian Antonio Stella, editorialista del Corriere della Sera, ed Elio Guerriero, vicedirettore editoriale delle Edizioni San Paolo e firma di Avvenire, e il regista Francesco Patierno. «Con la sua riflessione Tettamanzi invita i sacerdoti a non chiudersi in un’autoanalisi – ha sottolineato Guerriero – ma a fare della propria identità un motore per continuare a vivere la propria missione, a mettersi al servizio di chi ne ha bisogno». Invito che il cardinale, secondo Stella, lancia «mostrando una totale condivisione con i preti che vivono nel territorio. È un libro scritto bene – ha notato il giornalista – e dimostra che ‘don dionigi’ sa parlare alla gente anche facendo discorsi in controtendenza».
  «Sembrano discorsi marginali e poco ‘commerciale’ – ha sottolineato Patierno – ma la verità è che anche nel mondo della comunicazione, dell’arte e della cinematografia se ne sente la mancanza». Il tema delle tre scelte evangeliche, spiega Tettamanzi nel libro, «ha bisogno di essere costantemente mantenuto nella sua originale ispirazione di fondo: quello della profezia. Tale è, infatti, per sua intima natura e per suo inarrestabile dinamismo il Vangelo di Gesù, la sua buona e lieta notizia, che con la novità intramontabile di cui è segnato si fa ‘provocazione’: una provocazione – precisa il porporato – che denuncia, inquieta, condanna determinate scelte di vita, mentre altre le esalta mostrandone la bellezza e il fascino». In questa prospettiva, quindi, l’agire del sacerdote porta con sé sempre e in ogni luogo un «compito profetico» che in realtà è affidato a tutta la «famiglia» dei credenti ma che nella vita dei ministri ordinati deve avere un’incisività maggiore. Per questo le scelte di povertà, obbedienza e del celibato non sono solo semplici «comportamenti» o atteggiamenti «sociali» ma dimensioni
esistenziali che spingono a guardare al trascendente e che hanno il loro «’segreto’ incandescente» nel Vangelo. Partendo da questo fondamento unico il cardinale entra nello specifico delle tre scelte evangeliche in altrettanti capitoli, ognuno arricchito da ampi estratti di testi magisteriali della Chiesa locale e pontifici, oltre che dei vescovi di Milano Borromeo, Montini e Martini. «La povertà – nota il porporato nel primo capitolo – non fa altro che manifestare a tutti che ci stiamo fidando veramente del Signore, e non di altri signori». Quella del prete, aggiunge, è una povertà «sempre pronta a prestare o a donare» e «non ha timori, perché prima di tutto è abbandono filiale nelle mani di Dio». Questa condizione si lega a doppio filo con la seconda promessa sacerdotale: la povertà del prete è tale, nota Tettamanzi, «perché è obbediente, in quanto è condizione per essere disponibili a servire il Vangelo».
  L’obbedienza del presbìtero, infatti, «è anzitutto un’obbedienza ‘apostolica’, nel senso che riconosce, ama e serve la Chiesa nella sua struttura gerarchica». Su questa prospettiva, aggiunge Tettamanzi, si gioca il futuro della Chiesa, inserita in un contesto in rapido e profondo mutamento, che richiede la capacità da parte di tutti di mettersi in ascolto del territorio, delle comunità locali, dei confratelli. Il celibato – la terza delle scelte evangeliche – diventa allora il segno più visibile di questa disponibilità totale a mettersi «al servizio del popolo di Dio». Dal punto di vista personale esso non nasce da una rinuncia ma è anzi una scelta attraverso la quale «si compie – in una vita rinnovata, virtuosa e bella – l’umanità di una persona». È così che esso diventa «segno dell’amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa», e viceversa. Se vissuto con trasparenza, anche nei momenti difficili, se coltivato con una «fede orante» e una «fedeltà perseverante», il celibato condurrà il sacerdote a essere fino in fondo «esperto di umanità». E non c’è «segno» più grande della profezia che fiorisce dal Vangelo anche nel mondo contemporaneo.

 



Sacerdoti al recente Incontro internazionale di Roma (foto Siciliani). Nel riquadro, la copertina del libro del cardinale Tettamanzi sui preti