La Via Crucis degli innocenti contro la mafia

Ci sono persone che hanno segnato stagioni e storia del nostro Paese. E le parole di alcuni, spesso, sono la chiave per far passare la luce della verità nella coscienza serrata dalle abitudini, dall’indifferenza, dalla rassegnazione e scalzano la crosta di frasi fatte come quel «è tutto inutile» con cui troppe volte si liquida ogni resistenza agli abusi e ai soprusi. Anche quelli delle mafie, cancro che si nutre di denaro e di omertà.

Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992, annotava: «La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità». Peppino Impastato, giornalista siciliano, ha vissuto la barbarie della mafia, che lo ha ucciso il 9 maggio 1978, e usava le parole per denunciare le ingiustizie e smuovere gli animi. «Fiore di campo nasce dal grembo della terra nera, fiore di campo cresce odoroso di fresca rugiada, fiore di campo muore sciogliendo sulla terra gli umori segreti», scriveva in una delle sue poesie. Come un ciclo vitale che non si spegne e che continuerà, lasciando comunque tracce di sé. Certamente di speranza e nella memoria.

E Pippo Fava, anch’egli giornalista siciliano, osservava: «Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità». Ritroviamo le parole di Borsellino, Impastato, Fava e di altri tra le pagine in cui don Tonino Palmese, salesiano e referente in Campania di “Libera-Associazione, Nomi e Numeri contro le mafie”, ha meditato la sua particolarissima Via Crucis “in memoria delle vittime di mafia”, sottotitolo esplicativo del libro Patì sotto il peso delle mafie, (edizioni Paoline).

Non a caso dunque alla Via Dolorosa fa da introduzione il brano da La notte in cui Elie Wiesel racconta del piccolo Pipel, bambino internato anche lui in un lager nazista, impiccato dalle S.S. Lettura cruda di un gesto inumano che come in quei giorni fa gridare ancora oggi: «Dov’è Dio?», insieme ai compagni di prigionia di Pipel. Lo stesso Wiesel dà la risposta: «Eccolo: è appeso lì, a quella forca…». In ogni morto innocente c’è il Dio sofferente e oltraggiato. Ma le mafie irridono l’innocente anche senza ucciderlo, con insulti che non hanno voce né frusta, con la prevaricazione, con la sudditanza forzata, con i traffici illeciti.

«La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci» scrive profetica Rosa Atria, che a diciassette anni decise di denunciare il sistema mafioso del suo paese, Partanna in Sicilia, vendicando così l’assassinio del padre e del fratello, e suicidatasi per la troppa solitudine a luglio del 1992, una settimana dopo l’omicidio di Paolo Borsellino. E se mafie e Pasqua può apparire un accostamento inaccettabile, don Luigi Ciotti, nella prefazione al libro, chiarisce che «anche quel mattino di duemila anni fa è in grado di illuminare le negazioni di vita, giustizia e speranza che siamo soliti chiamare mafie.

Un fascio di luce – continua don Ciotti – non solo per illuminare realtà che approfittano del buio, dell’ambiguità e della menzogna, ma anche per consegnare a chi è tentato dalla rassegnazione una logica nuova: di contrasto, di cambiamento, di rinnovata fiducia nella legalità». Un invito forte e attuale perché, chiosa don Ciotti, «mai come oggi sono tante le persone uccise perché non siamo stati capaci di essere abbastanza vivi. Perché la speranza non cessi di avanzare e perché fame e sete di giustizia continuino a nutrire le nostre esistenze».

Ad accompagnare le meditazioni del testo biblico dei giorni della Passione ci sono dunque le parole di Paolo Borsellino, don Pino Puglisi, Peppino Impastato, Giancarlo Siani, Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone, Rita Atria, Attilio Romanò, Pippo Fava, Rosario Livatino, don Peppe Diana. Persone libere, come lo era Gesù perché il vero debole non è chi subisce violenza, ma chi la esercita. E alcuni sono martiri e hanno pagato con il proprio sangue il coraggio di seguire la strada diritta della giustizia e l’amore per l’uomo e per la verità.

via-crucis

Valeria Chianese – avvenire.it