La venuta del Cristo è il grande evento che scuote i cuori

di Gianfranco Ravasi

Quest’anno il periodo natalizio è scandito per molti lettori dal libro di Benedetto XVI dedicato ai Vangeli dell’infanzia di Gesù. Non vogliamo, perciò, sovrapporci alla sua lettura di quei 180 versetti distribuiti nei primi due capitoli dei Vangeli sia di Matteo sia di Luca. Abbiamo pensato solo di ritagliare una scena a prima vista un po’ marginale del capitolo 2 di Luca e su di essa di intessere una riflessione di carattere spirituale, quasi da lectio divina. La scelta è caduta sull’episodio in cui il neonato Gesù viene presentato ritualmente al tempio di Gerusalemme, puntando innanzitutto sulla figura di Simeone. Sappiamo che il percorso drammatico di Giobbe aveva come approdo definitivo una stupenda professione di fede: “Io ti conoscevo per sentito dire, ora i miei occhi ti hanno visto” (42, 5). Lo stesso approdo è raggiunto da Simeone che, quando incontra Gesù nel tempio, esclama: “I miei occhi hanno visto la salvezza” (Luca, 2, 30). Il brano si trasforma, quindi, nella storia di un’attesa e di un incontro sorprendente. Come dice Samuel Beckett in Aspettando Godot, “l’aria è piena dei nostri gridi”. E il grido dell’attesa e della speranza non è deluso.
La venuta del Cristo è il grande evento che scuote i cuori, che atterrisce Erode e, con lui, Gerusalemme, ma che esalta i giusti. Un testo gnostico del III secolo affermava: “Quando apparve il Verbo divino, che è nel cuore di quanti lo proferiscono, tra i vasi si produsse un generale turbamento perché gli uni erano vuoti e gli altri erano pieni, gli uni erano diritti e gli altri rovesciati”. Prima di introdurre sulla scena la figura di Simeone, evochiamo sinteticamente il fondale che, in verità, è molto quotidiano. Eppure, questa è la prima visita del Signore nel suo tempio. Egli ora viene presentato per essere purificato secondo la normativa del Levitico (12, 6-8) e del libro dell’Esodo (13, 1-2); in realtà egli è colui che purifica, come aveva annunciato il profeta Malachia: “Ecco, io manderò un mio messaggero (…) subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e per purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento perché possano offrire al Signore un’oblazione secondo giustizia” (3, 1-3).
Gesù bambino entra, invece, coi suoi genitori come un semplice e povero membro del popolo dell’alleanza. Maria obbedisce alle norme legali e rituali e si sottopone alle prescrizioni della Legge che per quaranta giorni dal parto la tenevano lontana dal tempio perché considerata impura. Il quarantesimo giorno doveva recarsi al tempio e, nell’atrio delle donne, alla cosiddetta porta di Nicanore, era dichiarata pura da un sacerdote. Per la cerimonia era imposto il sacrificio di un agnello e di una colomba. Per i poveri, per i quali l’agnello era un lusso eccessivo, si poteva ricorrere a due colombe, stancamente ricevute da un sacerdote certamente più attento alla purificazione di un’aristocratica o della moglie di un collega. Maria è una donna osservante ed è una donna povera.

(©L’Osservatore Romano 27-28 dicembre 2012)