La sinodalità, eredità conciliare

Osservatore

La processione dei padri conciliari in piazza San Pietro

L’11 ottobre 1962 iniziava il Vaticano II

12 ottobre 2020

La sinodalità  (evidentemente più praticata dall’Ortodossia che dalla Chiesa cattolica) non è stata oggetto di speciale attenzione da parte dell’ultimo concilio ecumenico; perciò, non è possibile studiare storicamente la dottrina della sinodalità in esso: semplicemente non c’è materiale per farlo. Non si trova traccia di tale tema né nei suoi 16 documenti né nei suoi testi preparatori. Questo è un dato di fatto; né autorizza a dire il contrario il fatto che in essi, per 136 volte, troviamo menzionata la parola synodus  (usata per indicare il concilio stesso) (cfr. G. Alberigo [ed.], Storia del Concilio Vaticano  II , voll. 1-5, Peeters-Il Mulino, Leuven-Bologna 2001, pp. 734-762).

Il Vaticano II, per così dire, non ha voluto confiscare per la sua ecclesiologia la categoria della sinodalità, optando invece per l’utilizzazione delle categorie ecclesiali della comunione  e della collegialità . Ora siamo nell’ora ecclesiale che permette, dopo l’assimilazione di esse e per le condizioni storiche sollecitanti, di declinare o di tradurre sinodalmente  la comunione  e la collegialità. Insomma, possiamo e, anzi, siamo chiamati a trovarne e a descriverne il risvolto giuridico e ad adottare, conseguentemente, stili e comportamenti sinodali: «Il termine sinodale […] potrebbe essere usato per esprimere la struttura operativa della “comunione ecclesiastica” a tutti i livelli» (E. Corecco, Note sulla Chiesa particolare e sulle strutture della diocesi di Lugano , in Id., Ius et Communio  2, Piemme, Casale Monferrato [AL] 1997, p. 351).

La primalità  del “popolo di Dio”, seme conciliare per la sinodalità

Paradossalmente il Concilio, senza mai nominare la parola sinodalità e senza mai alludervi esplicitamente, ha presentato di fatto l’idea di sinodalità innervandola nella categoria biblica di “popolo di Dio”, per intero sacerdotale, profetico e regale, arricchito peraltro della qualificazione di “pellegrino”: si tratta, perciò, di un popolo che attraversa la storia, come segno del Regno per tutta la famiglia degli uomini. Ebbene, proprio la riscoperta del “popolo di Dio”, come parola capitale e centrale dell’ecclesiologia del Vaticano ii , è la causa della riscoperta della sinodalità che era stata idea-madre del primo Millennio cristiano.

Oggi è scoccata felicemente l’ora della sinodalità ma, è più che evidente, non dal nulla. Gli è che l’albero sinodale è una filiazione dell’albero conciliare. Ora, serve indicare i semi gettati dal Vaticano II  per riconsegnarci la splendida parola della sinodalità Si può subito dire che la radice della sinodalità è data dal Battesimo perché, mediante esso, si entra a far parte del “popolo di Dio” pellegrino, asse misterico della Lumen gentium  (cfr. H. Legrand, La sinodalità al Vaticano  II  e dopo il Vaticano  II  Un’indagine e una riflessione teologica e istituzionale, in Associazione Teologica Italiana [ed.], Chiesa e sinodalità . Coscienza, forme, processi,  a cura di R. Battocchio e S. Noceti, Glossa, Milano 2007, pp. 75-77).

L’istanza della conciliarità

Inoltre. Emerge dall’evento assai complesso e ricco del Vaticano ii  un’istanza di fondo: la conciliarità. È accaduto che «intorno agli anni Sessanta del XX secolo si è generalizzata, anche per l’influsso dell’enorme eco suscitata dall’inattesa decisione di Giovanni XXIII di convocare un nuovo concilio, un’attenzione crescente per la dimensione conciliare della Chiesa, denominata “conciliarità” o “sinodalità”» (G. Alberigo, Conciliarità, futuro delle Chiese , in A. Melloni-S. Scatena (ed.), Synod and Synodality. Theology, History, Canon Law and Ecumenism in new contact [International Colloquium Bruges, 2003], [Christianity and history 1], Münster 2005, p. 463).

La conciliarità, che porta a ricordare che gli atteggiamenti sinodali sono antichi quanto la Chiesa, s’è espressa di fatto nel Vaticano II e nelle sue fruttuose esperienze ecclesiali, maturate, ad esempio, con la celebrazione dei numerosi Sinodi diocesani post-conciliari, in termini di esercizio del convenire e del consigliarsi. Questo tipo di conciliarità è stata, di fatto, l’anima del Vaticano II  che, perciò, racchiude in sé la memoria e la profezia di una diffusa sinodalità, fino a potersi dire che, da un lato, la conciliarità è matrice di sinodalità, mentre, da altro lato, questa la fonda e la ispira (cfr. R. Battocchio – S. Noceti [a cura di]), Chiesa e sinodalità.  Coscienza, forme, processi. Atti del XIX  Congresso nazionale dell’Associazione Teologica Italiana di Camposampiero [PD] del settembre 2005, Glossa, Milano 2007).

L’esplicitarsi della sinodalità nel post-concilio

La sinodalità  è una riscoperta (non un’invenzione) del post-concilio, come la collegialità è una riscoperta (non un’invenzione) del concilio. L’assenza del concetto sinodale  e della sua terminologia astratta (sinodalità, sinodale, ecc.) nei documenti conciliari porta solo alla conclusione che questo tema era nascosto nel concilio stesso. Storicizzando questo problema, si trovano importanti tracce di sinodalità , soprattutto nelle premesse teologiche  ad essa, ma anche in ragioni teologiche implicite o indirette . Queste premesse e queste ragioni vanno cercate, snidate e portate in piena evidenza. Serve trovare con pazienza tutti i semi gettati dall’ultimo concilio per fare rinascere l’albero della sinodalità, i più importanti dei quali sono stati già ricordati (popularitas  e communio ) (cfr. M.G. Masciarelli, Le radici del Concilio.  Per una teologia della sinodalità, Dehoniane, Bologna 2018, pp. 33-36).

Fin dalla chiusura del concilio di Giovanni XXIII  e di Paolo VI , all’interno della Chiesa cattolica latina ha preso a fermentare il principio sinodale  che, sebbene non abbia avuto immediata ed evidente fioritura nella teologia, tuttavia, a ben vedere, immerge le radici nel suo humus  più profondo e s’impone, per essa, lo sforzo di evidenziarlo e di favorirne una buona fioritura.

Oggi l’ecclesiologia è chiamata a collaborare per diffondere e far diventare familiare la categoria della sinodalità proprio partendo dalla matrice della conciliarità, la quale, a sua volta, va da essa aiutata ad essere compressa come il genio che la Chiesa ha di riunirsi, di convenire, di vivere paternità, fraternità e sororità non solo in modo affettivo, ma in modo strutturale, regolato e stabile. In tal modo, nel vivere testimoniale della Chiesa e nella sua missione, continuerà a fervere il ricordo efficace di come la Chiesa vive, pensa, decide quando celebra i suoi concili.

La “communio”, lascito del concilio  alla teologia della sinodalità

Fra le diverse immagini della Chiesa usate dal Vaticano II una delle più importanti è la mistericità, che si precisa nell’indole trinitaria, la quale caratterizza l’intera realtà ecclesiale. Tutti gli insegnamenti del concilio sul mistero della Chiesa portano il “sigillo della Trinità”. Ma il mistero trinitario è anzitutto icona della Chiesa: proveniente dalla Trinità come da suo atto creatore, la Chiesa porta in sé, in qualche modo la forma trinitaria, che è la comunione (cfr. B. Forte, La Chiesa icona della Trinità.  Breve ecclesiologia, Queriniana, Brescia 1984, pp. 16-42; 44-60).

La comunione è il tema perenne del mistero della Chiesa e uno dei suoi nomi più antichi, oltre ad essere uno dei fuochi più pregnanti della riflessione conciliare. Lo può essere perché è un’espressione dell’intima vita della Trinità che è comunione perfetta, origine di ogni esistenza comunionale e comunitaria. Va anzitutto osservato che la comunione riguarda ogni singolo membro della Chiesa. «Quando noi diciamo “comunione” pensiamo a quel dono dello Spirito per il quale l’uomo non è più solo né lontano da Dio, ma è chiamato a essere parte della stessa comunione che lega fra loro il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e gode di trovare dovunque, soprattutto nei credenti in Cristo, dei fratelli con i quali condivide il mistero profondo del suo rapporto con Dio» (Conferenza Episcopale Italiana, Doc. Comunione e comunità , [1.10.1981], n. 14.).

Dunque, la sinodalità all’ultimo concilio fu affrontata più in maniera seminale che in quella esplicita e piena, più in maniera indiretta che in quella diretta e pienamente svelata. Riflettendo sulle tematiche fondamentali dell’ecclesiologia conciliare (Chiesa come “popolo di Dio”, Chiesa come comunione, come “corpo”, “tempio”, ecc.) ci si accorge che esse sono i basamenti e le travature per la costruzione di una solida teologia sinodale. Tutto questo è assai di più di un’allusione, di un’evocazione, di un cenno: sono le strutture intime del “principio sinodale”.

L’ora della sinodalità è anche l’ora del concilio

È passato più di mezzo secolo dalla chiusura del Vaticano II , ma non è da scoraggiarsi se i semi dei suoi testi non sono diventati un rigoglioso bosco e un gran giardino fiorito. C’è chi ha pensato che appena il venti per cento del concilio sia stato realizzato e c’è anche chi ricorda che i concili ecumenici hanno cominciato ad aver davvero presa sulla Chiesa dopo una cinquantina di anni dalla loro celebrazione: è questa, dunque, la data giusta per tornare anche allo spirito sinodale  e alla “lettera” nascosta del Vaticano II .

Oggi certamente è l’ora della sinodalità  e il Vangelo è il suo codice. L’invito sinodale a camminare insieme è l’invito ad essere Chiesa perché il camminare è il suo destino , è la sua postura dinamica. Invitare a pellegrinare significa invitare ad essere “Chiesa in uscita” che s’accompagna alla grande carovana degli uomini, tutti nati in avanti, e perciò viandanti verso l’Oltre e verso l’Altrove. Questa è la Chiesa sinodale fondata da Gesù: è un “popolo di figli” e, di conseguenza, un “popolo di fratelli” e di “sorelle” in cammino verso il volto del suo Signore. Questo popolo verticale , che nasce dall’Alto, diviene popolo orizzontale  proprio nell’essere una Chiesa pellegrina sulla via della bellezza, perché tale è la strada tracciata da un pastore “bello e buono”, qual è Gesù, che vuole radunare i figli di Dio dispersi e condurli al Regno.

La sinodalità non fa dimenticare il concilio e, tanto meno, lo contraddice perché ne è una irradiazione che si presenta come uno sviluppo del suo corpus  ecclesiologico. La sinodalità si lega alla collegialità (riscoperta grandiosa del Vaticano II ) e le crea intorno un magnifico e più vasto orizzonte. Intatti, lo spettro della sinodalità è indubbiamente più ampio di quello della collegialità, anche se questa ne è un plinto necessario a tanti livelli, anzitutto in quello sacramentale: «La “sinodalità”, perciò, ha una tensione maggiore della “collegialità”: quella infatti si riferisce a pastori e fedeli in forza della relazione di comunione che si crea con il battesimo fra tutti i rigenerati in Cristo; questa invece comprende tutti e solo i vescovi in virtù del sacramento dell’ordinazione episcopale e della comunione con il collegio episcopale» (A. Anton, «Strutture sinodali dopo il Concilio. Sinodo dei vescovi – Conferenze episcopali», in CredereOggi , 13 [1993/4] 91). Sinodalità  e collegialità , pertanto, sono da tenere in mutua congiunzione, ma non vanno confuse, equiparate o variate nella sequenza della “logica dei misteri”.

Il concilio, perciò, continua nella esperienza sinodale, che ne sa anche prolungare l’insegnamento, lo spirito e lo stile. La sinodalità è l’eco  più importante e più pregnante dell’ecclesiologia del Vaticano II.

di Michele Giulio Masciarelli